RASSEGNA STAMPA S.

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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

venerdì 10 ottobre 2025

L’ACCORDO DI GAZA DEL 9 OTTOBRE 2025: TREGUA FRAGILE O SVOLTA POLITICA (2025)


Dopo quasi due anni di guerra, un conflitto estenuante e un bilancio umanitario devastante, il 9 ottobre 2025 Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo di cessate il fuoco che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe porre fine alle ostilità nella Striscia di Gaza. L’intesa, mediata dagli Stati Uniti con il sostegno di Egitto, Qatar e Turchia, rappresenta la prima vera tregua organica da quando il conflitto è esploso nel 2023, segnando una tappa potenzialmente decisiva ma anche estremamente fragile nel percorso verso la pace. L’accordo è strutturato in fasi operative precise, scandite da tempi brevi e verificabili. La prima prevede un cessate il fuoco immediato e il ritiro graduale delle truppe israeliane su una linea predefinita all’interno della Striscia – la cosiddetta “Linea Gialla” – entro 24 ore dall’approvazione formale dell’intesa. In parallelo, entro 72 ore, dovranno iniziare le operazioni di scambio tra gli ostaggi israeliani ancora in vita (circa una ventina secondo le stime ufficiali) e un ampio gruppo di prigionieri palestinesi, il cui numero complessivo si aggirerebbe intorno ai duemila. Il documento prevede inoltre un massiccio piano umanitario, coordinato dalle Nazioni Unite, per garantire l’ingresso immediato di aiuti, cibo e medicinali destinati a circa due milioni di persone. Il piano d’emergenza prevede anche la ricostruzione di ospedali, scuole e reti idriche essenziali, distrutte dai bombardamenti, e un sistema di monitoraggio con la presenza di personale statunitense ed europeo per verificare il rispetto del cessate il fuoco. Sul piano politico, l’accordo segna una vittoria diplomatica per Washington, che ottiene un successo visibile dopo mesi di negoziati falliti e tensioni con il governo israeliano. Tuttavia, all’interno dello stesso Israele l’intesa ha generato forti tensioni politiche: l’ala più radicale della coalizione di governo, guidata dai ministri di estrema destra, accusa Netanyahu di aver ceduto a pressioni internazionali e di aver “premiato il terrorismo” con la liberazione dei prigionieri palestinesi. Sul fronte palestinese, Hamas ha dichiarato di aver ottenuto “garanzie dirette dagli Stati Uniti” sulla fine delle operazioni militari israeliane e sull’avvio di un percorso politico che dovrà portare, nelle fasi successive, a una nuova forma di governance per Gaza. È proprio questo il nodo più delicato: chi controllerà la Striscia dopo la fine del conflitto? Israele rifiuta categoricamente un ritorno di Hamas al potere, mentre l’Autorità Nazionale Palestinese, indebolita e divisa, non appare in grado di assumere il pieno controllo amministrativo. Gli Stati Uniti e l’Unione Europea propongono una amministrazione transitoria sotto supervisione internazionale, ma si tratta di un’ipotesi ancora lontana da una definizione concreta. Sul terreno, intanto, la tregua resta precaria. I bombardamenti si sono ridotti ma non cessati del tutto, e l’ingresso dei primi convogli di aiuti procede a rilento per questioni logistiche e di sicurezza. Il numero delle vittime, in due anni di guerra, supera ormai le 65.000 persone, con una media stimata di oltre 90 morti al giorno: una tragedia che ha trasformato Gaza in una delle aree più martoriate al mondo. Gli osservatori sottolineano che la tregua non è ancora una pace, ma un cessate il fuoco condizionato, vincolato a un delicato equilibrio di garanzie reciproche. L’ONU ha invitato le parti a “non sprecare questa finestra di speranza”, ma gli analisti avvertono che ogni errore, ogni provocazione o incidente, potrebbe far saltare l’intero impianto negoziale. L’accordo, inoltre, non affronta ancora i nodi più strutturali del conflitto: lo status finale di Gaza, la questione dei rifugiati, la sicurezza di Israele e, soprattutto, la prospettiva – sempre più lontana – di una soluzione a due Stati, che resta la cornice teorica ma oggi quasi simbolica del processo di pace. In sintesi, l’accordo del 9 ottobre rappresenta un passo necessario, forse inevitabile, dopo mesi di sofferenze e isolamento internazionale di entrambe le parti. È un gesto di realismo politico più che un atto di riconciliazione, una tregua nata dall’esaurimento delle risorse e dalla pressione dei mediatori, piuttosto che da una volontà autentica di convivenza. Ma anche una tregua “fredda” può generare conseguenze positive se consolida un meccanismo di fiducia e di controllo multilaterale. Nei prossimi giorni, il successo o il fallimento di questo accordo dipenderanno dalla capacità di tradurre le parole in atti concreti, dall’apertura dei valichi e dal ritorno, almeno parziale, alla normalità per la popolazione civile. La pace, come spesso accade in Medio Oriente, rimane più un orizzonte che un traguardo. Tuttavia, dopo due anni di guerra e un’intera generazione di bambini cresciuti sotto le bombe, anche un orizzonte può diventare un inizio.