RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

mercoledì 8 ottobre 2025

DALLA RESISTENZA ALLA STRISCIA DI GAZA LA SOTTILE LINEA TRA TEHERAN E HAMAS

L’Iran, divenuto una Repubblica islamica teocratica con la rivoluzione di Khomeini del 1979, si muove in Medio Oriente con un obiettivo chiaro: opporsi all’influenza degli Stati Uniti e di Israele e costruire intorno a sé una cintura di alleati che ne aumenti il peso negoziale. Per farlo non punta solo su alleanze con governi ufficiali, ma soprattutto su una fitta rete di “proxy”: gruppi armati o movimenti politici non statali che ricevono dal regime iraniano fondi, armi, addestramento e copertura diplomatica e che, in cambio, contribuiscono a estendere l’influenza di Teheran. Questi “proxy” – letteralmente “delegati” o “intermediari” – agiscono come braccia esterne dell’Iran: Hezbollah in Libano, le milizie sciite in Iraq, i ribelli Houthi in Yemen, la Jihad islamica e Hamas nei territori palestinesi. È ciò che gli analisti chiamano “Asse della Resistenza”. Questa strategia spiega anche l’ambivalenza iraniana sul tema del terrorismo. Per Teheran gruppi come Hezbollah o Hamas non sono “terroristi” ma movimenti di resistenza contro Israele; per molti governi occidentali, invece, il loro uso della violenza contro civili li colloca a pieno titolo nella categoria delle organizzazioni terroristiche. Allo stesso tempo l’Iran combatte duramente i jihadisti sunniti come l’ISIS, che considera una minaccia diretta ai propri interessi e al proprio territorio. Ne deriva un quadro paradossale: accusato da molti Paesi di essere il principale sponsor statale del terrorismo, l’Iran si presenta come vittima del terrorismo altrui. Il rapporto con Hamas è il caso più emblematico. Hamas nasce nel 1987, durante la Prima Intifada, come braccio palestinese dei Fratelli Musulmani: un movimento sunnita islamista che voleva distinguersi dall’OLP laica. In questa genesi paradossale ebbe un peso anche Israele: negli anni ’70-’80 le autorità israeliane, nel tentativo di indebolire l’OLP, tollerarono e in alcuni casi favorirono la crescita delle associazioni islamiche che poi avrebbero dato vita ad Hamas, ritenendole un contrappeso utile al nazionalismo palestinese di stampo laico. Questo non significa che Israele abbia “creato” Hamas nel senso diretto del termine, ma che alcune sue scelte contribuirono involontariamente a rafforzare quella corrente islamista che, con l’Intifada, si sarebbe trasformata nel nuovo attore militante. All’inizio i rapporti tra Hamas e Teheran erano quasi inesistenti: sunniti contro sciiti, contesti molto diversi. Ma con il passare degli anni, e soprattutto con l’isolamento internazionale di Hamas dopo la vittoria elettorale del 2006 nella Striscia di Gaza  e la conseguente presa di potere nel 2007, l’Iran diventò un partner indispensabile: finanziamenti, addestramento, armi, copertura politica. Hamas, pur mantenendo una sua autonomia, trovò nell’Iran l’unico grande sponsor disposto a sostenerlo quando altri lo abbandonavano. La cornice di questa politica è data dai rapporti di Teheran con gli Stati Uniti e con il resto del mondo arabo. Con Washington il rapporto è di ostilità cronica: dal rovesciamento dello Scià nel 1979 e dalla crisi degli ostaggi in poi, le relazioni diplomatiche sono interrotte. Le sanzioni americane hanno colpito duramente l’economia iraniana, e ogni tentativo di accordo – come il negoziato sul nucleare – è stato fragile e controverso. Con il mondo arabo la situazione è più sfumata: l’Iran compete con le monarchie sunnite del Golfo (Arabia Saudita, Emirati) per l’egemonia regionale, ma negli ultimi anni sono apparsi anche tentativi di disgelo e negoziati bilaterali per ridurre le tensioni. Molti Stati arabi, pur ostili all’espansionismo iraniano, vedono naturalmente anche Hamas come parte della questione palestinese e oscillano fra condanna e sostegno. Nel complesso l’Iran resta un attore centrale ma sotto pressione. Le sanzioni e i problemi economici limitano la sua capacità di sostenere i movimenti amici; gli attacchi israeliani contro le sue strutture e contro i suoi alleati aumentano il rischio di escalation diretta. Allo stesso tempo alcuni Paesi del Golfo provano a stabilire rapporti meno conflittuali con Teheran, creando nuovi equilibri. Così, mentre continua a usare la leva dei “proxy” per difendere e proiettare la propria influenza, l’Iran deve muoversi con prudenza per non ritrovarsi coinvolto in una guerra aperta. E Hamas, nato come movimento locale palestinese, è diventato una pedina importante di questo gioco regionale, in cui ideologia, interessi strategici e sopravvivenza politica si intrecciano costantemente.

Roberto Rapaccini