RASSEGNA STAMPA S.

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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 7 ottobre 2025

LA RAGIONE BELLICA

 


Recentemente è stato pubblicato un interessante saggio che smonta il mito della guerra come evento inevitabile, ribaltando quindi la lettura tradizionale sostenuta dal realismo politico, ovvero quella che considera la guerra come fatto naturale. In realtà i conflitti non sono la norma ma solo l’interruzione della pace, che non è un punto di arrivo, bensì un principio originario e fondante. Il celebre motto latino si vis pacem, para bellum (se vuoi la pace, prepara la guerra) ha alimentato una visione politica bellica. Al contrario, la pace non può ridursi a tregua precaria o a difesa estrema: deve diventare regola organizzativa della vita collettiva. Nella società contemporanea l’opzione pacifista o quella bellica dipendono da scelte politiche e culturali. Per garantire la pace è necessario il rafforzamento delle istituzioni internazionali, come ONU e Unione Europea, congiuntamente allo  sviluppo del diritto e al ricorso a sanzioni realmente afflittive, come alternativa concreta alla logica militare. La pace si costruisce come impegno quotidiano, radicato nel dialogo e nella fiducia reciproca. Questa prospettiva propone un rovesciamento: la pace non è un risultato da conquistare dopo il conflitto, ma il punto di partenza delle politiche e delle relazioni sociali. Diversamente secoli di pensiero occidentale hanno considerato lo stato di natura come guerra. L’idea è sostenuta dalla cosiddetta ragione bellica,  ossia dal sistema di pensiero che giustifica il conflitto come inevitabile. Criticare la ragione bellica non è un esercizio accademico, ma un’urgenza politica. Continuare a credere nella guerra come destino significa condannare l’umanità a un futuro autodistruttivo, fondato  sulla diffidenza. Invertire lo sguardo significa riconoscere che la normalità è la pace, mentre la guerra è un’eccezione patologica, un fallimento della politica.Le società esistono proprio perché hanno creato leggi e istituzioni capaci di regolare i conflitti senza annientarsi. Ogni giorno miliardi di persone vivono pacificamente: la pace non è un’utopia, ma la realtà più diffusa e concreta dell’esperienza umana. La guerra, invece, nasce da un meccanismo politico e psicologico preciso: la paura. La paura genera sfiducia, che conduce al riarmo, che diventa minaccia reciproca e trasforma la sicurezza promessa dalle armi in insicurezza permanente. La storia lo dimostra: ogni corsa agli armamenti produce soltanto escalation. La sicurezza non deriva dall’accumulo di armi, ma dalla costruzione di relazioni di fiducia, sostenute da regole condivise, istituzioni comuni e una cultura politica orientata alla cooperazione. In questo quadro il diritto assume un ruolo decisivo, non come apparato repressivo, ma come strumento positivo di pace: ciò che negli Stati consente di risolvere i conflitti senza violenza privata, a livello internazionale permette ai popoli di convivere senza affidarsi all’equilibrio del terrore. Le organizzazioni multilaterali non sono utopie, ma infrastrutture necessarie: spesso fragili, certo, ma da rafforzare, non da delegittimare. C’è chi definisce questa visione ingenuità pacifista. Ma ciò che ieri appariva ingenuo, oggi è divenuto norma: la schiavitù era ritenuta inevitabile, oggi è un crimine; le donne escluse dalla cittadinanza politica, oggi votano. Allo stesso modo la guerra può diventare un tabù sociale, stigmatizzata come intollerabile. I conflitti continueranno a esistere, ma non devono tradursi in violenza: possono diventare occasioni di mediazione e confronto, come avviene nelle democrazie. In questo senso la critica della ragione bellica non è utopia idealista, ma autentico realismo politico, che ritiene che la pace sia il contesto naturale dell’agire umano. Se vogliamo garantire sicurezza e dignità, dobbiamo pensare la pace non come tregua fragile, ma come impegno costante fondato sulla  responsabilità reciproca, da affidare a istituzioni giuridiche forti e ad una cultura politica solida e strutturata in grado di sostituire la logica delle armi con quella della cooperazione.      Roberto Rapaccini