L’attentato contro Sigfrido Ranucci,
avvenuto, come è noto, nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 2025, rappresenta
uno dei momenti più inquietanti per la libertà di stampa in Italia degli ultimi
anni. Un ordigno artigianale è stato collocato nei pressi della sua abitazione
a Campo Ascolano (a Pomezia – RM). L’esplosione ha distrutto due automobili,
una delle quali appartenente alla figlia, senza provocare feriti ma generando
un forte allarme sociale. Si è parlato di danneggiamento aggravato dal metodo
mafioso, ma al di là delle qualificazioni giuridiche resta evidente che
l’obiettivo non era soltanto materiale: l’esplosione è un messaggio. Ranucci,
giornalista e conduttore di Report, è da anni un punto di riferimento
del giornalismo d’inchiesta in Italia, con un passato di indagini su
corruzione, mafie e intrecci tra politica e potere economico. Non è la prima
volta che riceve minacce, ma in questa occasione la violenza ha superato la
soglia del simbolico, trasformandosi in un atto che va oltre l’intimidazione
diretta. La reazione è stata immediata: solidarietà da parte delle istituzioni,
dei colleghi italiani e stranieri, e di organizzazioni internazionali come Article
19, Reporters Without Borders e il Media Freedom Rapid Response.
Anche il Parlamento Europeo ha chiesto un dibattito urgente sulla sicurezza dei
giornalisti, riconoscendo che l’attacco a Ranucci è un segnale del
deterioramento generale della libertà di stampa in Europa. Capire cosa
significhi libertà di stampa nel contesto internazionale richiede di guardare
oltre i singoli episodi di censura o intimidazione e di analizzare i meccanismi
più profondi che condizionano l’informazione. L’organizzazione Reporters
Sans Frontières (RSF), che ogni anno pubblica la World Press Freedom
Index, offre proprio questa visione d’insieme. La classifica, che valuta
180 Paesi, si basa su un’analisi complessa costruita attraverso centinaia di
questionari rivolti a giornalisti, esperti e accademici, e su dati concreti
riguardanti violenze, arresti, minacce e limitazioni alla libertà di
informazione. Gli indicatori utilizzati da RSF non si limitano a misurare la
censura diretta, ma considerano anche gli aspetti politici, economici e
culturali che definiscono la qualità e l’indipendenza del giornalismo. I cinque
ambiti principali in cui emerge il fenomeno: sono il contesto politico, che
valuta il grado di indipendenza del giornalismo rispetto al potere, la libertà
di critica verso i leader e la trasparenza nell’accesso alle informazioni; il
quadro giuridico, che esamina le leggi sulla stampa e la loro applicazione,
compresa la protezione delle fonti e il diritto di accesso ai documenti
pubblici; il contesto economico, che riguarda la concentrazione della proprietà
dei media, la trasparenza dei finanziamenti e l’autonomia delle redazioni; il
contesto socioculturale, che misura il livello di fiducia del pubblico nei
media, la presenza di autocensura e la tolleranza verso opinioni diverse;
infine, la sicurezza, che valuta i rischi fisici e psicologici per i
giornalisti, le aggressioni, le minacce, la sorveglianza e l’impunità per chi
li colpisce. Ogni Paese riceve un punteggio da 0 a 100 su ciascun indicatore
(più alto equivale a maggiore libertà) e la media ponderata determina la
posizione nella classifica mondiale, pubblicata ogni anno il 3 maggio, in
occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa delle Nazioni Unite.
Nel caso dell’Italia RSF segnala da tempo diverse criticità: la pressione
politica e la lottizzazione dei media pubblici, la concentrazione della
proprietà nel settore privato, l’uso frequente delle querele temerarie, la
scarsa protezione delle fonti e le minacce — spesso mafiose — ai cronisti
locali. Allo stesso tempo l’organizzazione riconosce anche elementi positivi,
come il pluralismo delle testate e il ruolo crescente di redazioni indipendenti
impegnate nella difesa del giornalismo d’inchiesta. Tra le principali minacce
strutturali alla libertà di stampa emergono oggi le SLAPP (Strategic Lawsuit
Against Public Participation, ovvero azioni legali strategiche contro la
partecipazione pubblica). Si tratta di cause civili o penali intentate non per
ottenere giustizia, ma per intimidire, zittire o scoraggiare giornalisti,
attivisti o ricercatori che denunciano casi di corruzione, malaffare o abuso di
potere. Chi le promuove — spesso soggetti potenti o imprese — utilizza il
sistema giudiziario come strumento di pressione: anche se la causa è infondata,
costringe il bersaglio a sostenere anni di spese legali, stress e rischi
economici, fino a indurlo all’autocensura. L’Unione Europea, consapevole della
pericolosità di queste pratiche, ha introdotto nel 2024 una Direttiva
anti-SLAPP, che prevede la possibilità di respingere le cause manifestamente
infondate, di sanzionare chi promuove azioni intimidatorie e di fornire
assistenza legale alle vittime. Nel complesso la classifica di RSF non è una
semplice gara tra Paesi, ma una vera radiografia delle condizioni in cui
il giornalismo può o non può esercitare la sua funzione di controllo del
potere. Le SLAPP, le minacce fisiche, le pressioni politiche e le distorsioni
economiche sono solo diverse facce dello stesso problema: la riduzione
progressiva dello spazio critico e della libertà di parola. In un’epoca di disinformazione
e polarizzazione, difendere la libertà di stampa non significa solo proteggere
i giornalisti, ma garantire ai cittadini il diritto di conoscere la verità e
partecipare consapevolmente alla vita democratica. Oltre alla classifica di Reporters Sans
Frontières, esistono diverse altre iniziative che, con metodologie e
prospettive differenti, cercano di misurare lo stato della libertà
giornalistica nel mondo. In generale tutte condividono l’obiettivo di capire
quanto i media siano realmente liberi di informare senza pressioni politiche,
economiche o sociali, ma ognuna adotta strumenti di analisi propri. L’UNESCO,
ad esempio, non produce una classifica numerica ma promuove il Piano
d’Azione delle Nazioni Unite per la sicurezza dei giornalisti e la lotta
all’impunità, concentrandosi sulla protezione fisica e legale dei cronisti
e sul monitoraggio delle violenze subite. L’International IDEA (Institute for
Democracy and Electoral Assistance) include invece la libertà di stampa tra gli
indicatori del suo Global State of Democracy Report, che valuta il
funzionamento complessivo delle democrazie, analizzando anche pluralismo,
libertà civili e accesso all’informazione. Un’altra fonte autorevole è Freedom
House, con il rapporto annuale Freedom in the World, che misura la
libertà di espressione e di stampa come parte dei diritti civili e politici. I
punteggi di Freedom House si basano su un’analisi combinata di dati,
interviste e consultazioni con esperti regionali, e sono spesso utilizzati
anche da organismi internazionali e università. Accanto a questi esistono
osservatori regionali o tematici, come il South East European Media
Observatory o il Committee to Protect Journalists (CPJ), che si
concentrano sul monitoraggio diretto di casi di intimidazione, censura o
violenza. In sintesi, mentre Reporters Sans Frontières offre un indice
globale comparativo, altre istituzioni come UNESCO, Freedom House e
International IDEA adottano un approccio più qualitativo, orientato ai diritti
umani e alla sicurezza. Tutte insieme, queste iniziative contribuiscono a
delineare un quadro più ampio: la libertà di stampa non è un dato statico, ma
un indicatore sensibile dello stato di salute delle democrazie, e la sua tutela
rappresenta una misura concreta del livello di civiltà e trasparenza di un
Paese.
Roberto
Rapaccini