Il
31 agosto 2025, durante un volo verso Plovdiv in Bulgaria, l’aereo della
Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen ha subito una
sospetta interferenza GPS di matrice non identificata, costringendo i piloti a
un atterraggio manuale con strumenti analogici e mappe cartacee . Un episodio
che ha acceso i riflettori sulla cyber-geopolitica, mostrando come questa
materia non riguardi un tema tecnico riservato agli specialisti, ma una sfida
strategica capace di incidere direttamente sulla sicurezza dei leader europei e
sulla sovranità digitale del continente. La cyber-geopolitica è oggi il terreno
dove si intrecciano potere, tecnologia e identità collettiva, un campo di
battaglia invisibile in cui grandi potenze e attori minori ridefiniscono le regole
del confronto internazionale. Non si parla più soltanto di cybersicurezza
intesa come difesa delle infrastrutture critiche, ma di un ecosistema complesso
in cui si decidono equilibri strategici, economici e culturali. La dimensione
digitale ha assunto un carattere politico totale: il controllo dei dati è
divenuto controllo della società; la capacità di attacco e di difesa nel
cyberspazio si traduce in deterrenza, mentre la definizione degli standard
tecnologici coincide con la costruzione di nuove sfere di influenza. L’incidente
al velivolo di von der Leyen lo dimostra: non serve un attacco hacker
sofisticato per destabilizzare; è sufficiente interrompere i segnali
satellitari per minare la sicurezza aerea e lanciare un messaggio geopolitico.
Così il cyberspazio si rivela parte integrante della guerra ibrida: la Cina con
la sua Great Firewall, la Russia con il jamming e lo spoofing (causano il
malfunzionamento del sistema GPS), l’Occidente con normative e infrastrutture
di sorveglianza sempre più pervasive, hanno reso Internet un mosaico di
sovranità parziali, lontano dall’utopia originaria di spazio libero e aperto. La
guerra dei chip è l’emblema di questa nuova dinamica. Taiwan, con la TSMC
(Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), produce la quasi totalità dei
semiconduttori più avanzati del pianeta, indispensabili per intelligenza
artificiale, automazione, telecomunicazioni e difesa. Fondata nel 1987 a
Hsinchu (Taiwan), TSMC è la più grande industria del settore nel mondo. Se il
petrolio è stato il sangue del Novecento, i microchip sono la mente del XXI
secolo: possederli significa decidere quale civiltà tecnologica prevarrà. Non
sorprende che gli Stati Uniti abbiano imposto restrizioni all’export verso la
Cina, mentre Pechino investe miliardi per conquistare l’autosufficienza. Huawei
e il 5G hanno reso evidente che le reti non sono semplici strumenti di
connessione, ma vere architetture di potere. Accettare una tecnologia significa
accogliere anche il modello politico e i valori che la generano: la battaglia
attorno a Huawei è quindi la battaglia per stabilire quale ordine mondiale
costruire. TikTok rappresenta, invece, la metamorfosi più sottile: da
piattaforma di svago a macchina di influenza culturale. Il controllo cinese su
un algoritmo che orienta linguaggi, desideri e immaginari di milioni di giovani
occidentali è percepito come minaccia strategica. Non occorre più controllare i
confini se si possono guidare le percezioni del reale. TSMC, Huawei e TikTok
non sono casi isolati ma simboli di un paesaggio che si va definendo: un mondo
frammentato in sfere digitali di influenza, dove il conflitto non si manifesta
con carri armati o missili, ma con blackout informatici, manipolazioni
cognitive, dominio delle infrastrutture invisibili. La perdita di sovranità non
si avverte con l’occupazione militare, ma con la dipendenza da tecnologie
straniere, con l’impossibilità di produrre ciò che serve per vivere, con un
algoritmo che decide ciò che crediamo di scegliere liberamente. A ciò si aggiungono
nuovi fronti: l’Africa digitale, contesa tra infrastrutture cinesi e russe e
progetti di connettività occidentali; le guerre cognitive sui social, con
botnet, campagne coordinate e deepfake che orientano elezioni e seminano
sfiducia nelle istituzioni; la guerra in Ucraina, che ha reso evidente come il
cyberspazio sia parte integrante del conflitto, tra offensive hacker russe e
resilienza garantita a Kiev da società private come Microsoft e Starlink.
Starlink è il progetto di connettività satellitare sviluppato da Space X,
l’azienda spaziale fondata da Elon Musk. La sua logica è semplice ma
rivoluzionaria: invece di affidarsi a pochi grandi satelliti geostazionari a
36.000 km di altezza, Starlink utilizza una costellazione di migliaia di
piccoli satelliti in orbita bassa. Questi creano una rete capace di offrire
internet a banda larga quasi ovunque sul pianeta, anche in zone rurali,
desertiche, montuose o in aree di crisi dove le infrastrutture terrestri sono
assenti o distrutte. In sintesi,
Starlink è allo stesso tempo infrastruttura tecnica e strumento politico:
unisce la promessa di internet globale con la realtà di un potere concentrato
nelle mani di un attore privato, che oggi incide non solo sul mercato delle
telecomunicazioni ma anche sugli equilibri di guerra e di pace. In Europa la
risposta è stata il tentativo di costruire una sovranità digitale con strumenti
tecnologici indipendenti, ma le difficoltà di competere con i colossi americani
e cinesi ne hanno limitato la portata. Il primo passo è stato il GDPR, entrato
in vigore nel 2018: un regolamento che ha posto il cittadino europeo al centro
della protezione dei dati personali, imponendo trasparenza, responsabilità e
limiti chiari a imprese e istituzioni. L’Europa ha dimostrato di poter fissare
regole a livello globale, molte multinazionali hanno dovuto adeguarsi: il
diritto può diventare strumento di potere geopolitico mentre la capacità
normativa può essere essa stessa un’arma di influenza. Nel frattempo,
l’economia digitale mondiale si è costruita sopra infrastrutture controllate da
pochi giganti americani e, in misura crescente, da operatori cinesi. Da qui
l’idea di Gaia-X, lanciata nel 2020 da Francia e Germania: un progetto per dare
vita a un ecosistema cloud europeo fondato su regole comuni di trasparenza,
interoperabilità e sicurezza. Infine, lo sguardo si è allargato a una
dimensione ancora più ambiziosa: l’Eurostack. Questo termine indica la volontà
di costruire un tech stack europeo, ossia un insieme integrato di componenti
tecnologiche che vanno dall’hardware al cloud, dai sistemi operativi agli
algoritmi, in grado di ridurre la vulnerabilità del continente rispetto a
fornitori stranieri. Insieme, GDPR, Gaia-X ed Eurostack delineano una strategia
che prova a bilanciare tre dimensioni complementari: la capacità di normare, la
forza di costruire infrastrutture e la visione di dotarsi di un ecosistema
tecnologico indipendente. È un cammino ancora incompiuto, pieno di
contraddizioni e rallentamenti, ma rappresenta il tentativo più chiaro di
tradurre in pratica l’idea di autonomia strategica europea nel cyberspazio. Tuttavia,
la sfida rimane: garantire resilienza e autonomia tecnologica e, allo stesso
tempo, preservare un cyberspazio che non si riduca a strumento di sorveglianza
ma continui a essere luogo di libertà e innovazione. La cyber-geopolitica è
dunque la nuova grammatica del potere. Decide chi potrà difendere le proprie
infrastrutture, imporre standard, proteggere identità culturali e resistere
all’influenza straniera. È la politica di potenza tradotta nel linguaggio dei
codici e delle reti. In conclusione, il futuro degli equilibri mondiali non si
giocherà soltanto nei mari, nello spazio o nei mercati, ma dentro le
infrastrutture invisibili che reggono la vita quotidiana di miliardi di
persone. Roberto Rapaccini
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
PAESI DELLA LEGA ARABA
TESTO SC.
martedì 9 settembre 2025
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