RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 5 agosto 2025

IL SISTEMA INTERNAZIONALE SOTTO PRESSIONE LA CRISI DI UN MONDO CHE VA CONTRO SE STESSO

 



Il Medio Oriente resta un’area molto instabile. Il conflitto Israele-Gaza non ha mai avuto apprezzabili pause: la situazione è di fragile tregua, con continui scontri a bassa intensità. La questione umanitaria è drammatica e le tensioni regionali (Iran-Israele, Hezbollah in Libano) restano alte, alimentate anche dalla polarizzazione tra Occidente e blocco russo-cinese. L’Iran, in particolare, continua a espandere la propria influenza su Siria, Iraq e Yemen, ma è anche sotto forte pressione interna per via delle proteste economiche e sociali. Nel Golfo, Arabia Saudita e gli Emirati cercano un delicato equilibrio tra la storica alleanza con gli Stati Uniti e la progressiva apertura verso Pechino e Mosca, giocando su più tavoli (energia, investimenti, sicurezza). Il conflitto in Ucraina è ormai diventato una guerra di logoramento. La Russia controlla ancora vaste aree dell’Est e Sud del Paese, ma non è riuscita a sfondare ulteriormente. L’Occidente sostiene Kiev, ma il flusso di aiuti militari e finanziari è diventato meno prevedibile, soprattutto dopo il ritorno di Trump alla presidenza americana e le difficoltà economiche in Europa. Il rischio di escalation (anche nucleare tattica) resta basso, ma non nullo. Intanto la popolazione ucraina è stremata e la prospettiva di una pace stabile appare ancora lontana. L’Europa vive un periodo di incertezza. La crisi ucraina ha provocato una forte crisi energetica e un rallentamento economico, aggravato dal rallentamento cinese e da tensioni politiche interne (in molti Paesi cresce la destra nazionalista e il malcontento verso l’UE). La coesione europea è messa alla prova su molti fronti: gestione dei migranti, politica di difesa comune, relazioni con USA e Cina. Sul piano della sicurezza, l’Europa è più consapevole della necessità di rafforzare le proprie capacità difensive, ma la dipendenza dagli USA resta forte, anche se molti Paesi sono preoccupati del disimpegno americano. Negli Stati Uniti la politica estera è sempre più condizionata dalla rivalità interna tra repubblicani e democratici. Trump, tornato alla Casa Bianca, ha ridotto la pressione militare su scala globale, preferendo un approccio più isolazionista, anche se rimane duro con la Cina; cerca di ridimensionare il sostegno a Kiev, chiedendo all’Europa di fare di più. Sul fronte interno, i problemi sociali ed economici (inflazione, migrazioni, polarizzazione politica) occupano la maggior parte dell’agenda. La Cina continua la sua ascesa, pur affrontando un rallentamento economico e difficoltà interne (debito, crisi immobiliare, invecchiamento della popolazione). Pechino rafforza la sua influenza in Africa, Asia e America Latina, proponendosi come alternativa al modello occidentale, soprattutto attraverso investimenti infrastrutturali. Sul fronte di Taiwan la situazione resta tesa, ma nessuna delle parti sembra voler forzare la mano nel breve termine. Tuttavia, l’escalation nel Mar Cinese Meridionale e lo scontro tecnologico con gli USA sono questioni molto aperte.  L’Africa è sempre più terreno di scontro tra Cina, Russia, Europa e USA per risorse e influenza. Colpi di Stato e instabilità (Sahel) restano all’ordine del giorno. In America Latina la polarizzazione politica continua, ma le economie risentono sia del rallentamento globale sia delle difficoltà interne. Brasile, Messico e Argentina cercano un ruolo maggiore, ma le crisi sociali frenano la crescita. Le prospettive globali sono segnate dall’incertezza. La transizione verso un nuovo ordine mondiale è in corso, ma frammentata. Le grandi potenze sono in competizione strategica, mentre i rischi di crisi locali (militari, economiche, migratorie) possono facilmente degenerare per errore o calcolo politico. Sul piano economico il rallentamento della Cina e la fine dell’era dei tassi bassi stanno rimodellando le catene di fornitura e gli equilibri finanziari globali. Il rischio principale resta la gestione di crisi simultanee: se una delle aree calde (Taiwan, Ucraina, Medio Oriente) dovesse esplodere, le conseguenze sarebbero mondiali. Al di là dei grandi teatri (Medio Oriente, Ucraina, Cina), ci sono altre aree del pianeta che stanno vivendo evoluzioni importanti, spesso meno visibili ma comunque potenzialmente destabilizzanti o cariche di opportunità geopolitiche. Ecco un quadro delle zone calde o in rapida trasformazione. L’Africa, subsahariana in particolare resta estremamente dinamica e per certi versi imprevedibile. Negli ultimi anni una cintura di colpi di Stato ha interessato diversi Paesi tra Sahel e Africa occidentale (Mali, Burkina Faso, Niger, Gabon, Guinea). La presenza russa (Wagner e successori) si è rafforzata a scapito di Francia e Occidente. Le crisi di sicurezza (jihadismo, milizie locali, traffico di esseri umani) si intrecciano con la competizione per le risorse (oro, uranio, petrolio). Il rischio di espansione di nuovi conflitti è concreto, specialmente se il Sahel resta fuori controllo. In Africa Orientale l’Etiopia, dopo la guerra in Tigray, cerca di riprendersi ma restano tensioni etniche e politiche. Somalia, Sud Sudan e Congo sono ancora polveriere perenni, mentre Kenya, Tanzania e Ruanda tentano una via di crescita più stabile. In Asia sud-orientale l’epicentro delle tensioni è il Myanmar (ex Birmania), con una guerra civile in corso tra giunta militare, gruppi etnici armati e movimento democratico. L’instabilità qui rischia di propagarsi a Thailandia, Bangladesh, India nord-orientale e Cina meridionale, con crisi umanitarie e flussi migratori. Anche il Mar Cinese Meridionale rimane una zona calda, con contese tra Cina, Vietnam, Filippine, Malesia e Indonesia su isole e diritti marittimi. Qui il rischio è più di scontri navali limitati che di vera guerra, ma la tensione cresce ogni anno. Per quanto riguarda il Caucaso e l’Asia Centrale, dopo la guerra del Nagorno-Karabakh, Armenia e Azerbaigian sono ancora in una situazione delicata. La Russia, tradizionale garante, è ora più distratta dall’Ucraina, lasciando spazio a Turchia e Iran. La Georgia resta inquieta tra spinte pro-occidentali e pressioni russe. L’Asia Centrale (Kazakistan, Uzbekistan, Kirghizistan, Tagikistan, Turkmenistan) è sotto i riflettori per la sua posizione tra Russia, Cina, Iran e Turchia. Il Kazakistan, in particolare, sta rafforzando legami con la Cina e l’UE, cercando di uscire dalla storica sfera di influenza russa. Nell’Indo-Pacifico, oltre a Taiwan, va seguita l’India. L’India punta ad assumere un ruolo da superpotenza, anche come contrappeso regionale alla Cina. I rapporti con il Pakistan restano tesi, specie in Kashmir, mentre cresce il protagonismo dell’India nelle organizzazioni multilaterali (BRICS, Quad). I Balcani occidentali sono una regione europea spesso trascurata ma mai davvero pacificata. Serbia, Kosovo, Bosnia-Erzegovina e Macedonia del Nord restano fragili: la retorica nazionalista cresce, e la Russia tenta ancora di esercitare influenza tramite la Serbia, mentre l’UE appare titubante su eventuali nuovi allargamenti. L’Artico non è una zona calda in senso militare, ma lo sta diventando in termini di competizione per le risorse (idrocarburi, rotte marittime) e di presenza militare (Russia, Canada, Norvegia, USA, Cina). Lo scioglimento dei ghiacci apre nuove vie commerciali e tensioni su chi avrà il controllo delle future rotte e dei minerali artici. In Oceania e nella regione del Pacifico la Cina sta facendo forti investimenti (infrastrutture, debito) nelle isole del Pacifico (Salomone, Fiji, Papua Nuova Guinea, Kiribati), sfidando la storica influenza di Australia e USA. Gli equilibri sono delicatissimi, tra promesse di sviluppo e rischio di nuova dipendenza. In sintesi, il mondo è sempre più multipolare e frammentato, con molte zone grigie dove la competizione tra grandi potenze si gioca in modo indiretto attraverso crisi locali, investimenti strategici e soft power. La globalizzazione resta ma sotto pressione: sempre più Paesi cercano di giocare su più tavoli, sfruttando la competizione tra grandi blocchi.