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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

sabato 12 luglio 2025

GEOPOLITICA DELLA RADICALIZZAZIONE: IL JIHADISMO DOPO IL CALIFFATO (2025)

 




Negli ultimi anni, dopo il crollo del Califfato dell’ISIS in Siria e in Iraq (2017-2019), l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale verso il terrorismo islamista è andata progressivamente diminuendo. Tuttavia, l’idea che il jihadismo globale sia stato definitivamente sconfitto si rivela oggi un’illusione ottimistica. Benché mutato rispetto al suo apice – raggiunto tra il 2014 e il 2017 – il terrorismo islamico non è affatto scomparso: ha invece cambiato pelle, adottando nuove strategie, nuovi teatri operativi e nuove forme di comunicazione e radicalizzazione. I principali gruppi jihadisti – lo Stato Islamico (ISIS) e Al-Qaeda – hanno subito una grande metamorfosi strutturale. La caduta del Califfato territoriale in Siria e Iraq ha rappresentato un punto di svolta. Dopo aver conquistato ampie porzioni di territorio tra Mosul e Raqqa, l’ISIS si era presentato come una vera e propria entità statale alternativa: dotata di un apparato rudimentale ma funzionante, con amministrazione, giustizia islamica, polizia religiosa, scuole e servizi sanitari. Questa dimensione statuale aveva una forte valenza simbolica, strategica e propagandistica. Ma l’offensiva della coalizione internazionale ha progressivamente smantellato questa esperienza. La perdita di Raqqa (2017) e di Baghouz (2019) ha segnato la caduta del Califfato fisico. Tuttavia, ciò non ha comportato la fine dello Stato Islamico, bensì una sua riorganizzazione su scala globale. L’ISIS si è trasformato in una rete transnazionale e decentralizzata, affiliandosi con gruppi jihadisti locali in contesti fragili: Africa occidentale e Sahel, Mozambico settentrionale, Afghanistan, Libia, Sinai, Congo, Pakistan, Filippine. Qui ha saputo adattarsi alle dinamiche locali, sfruttando tensioni etniche, rivalità religiose, instabilità e marginalizzazione sociale. Questa decentralizzazione ha reso l’ISIS meno visibile, ma più resiliente e capace di rigenerarsi attraverso un modello di franchising del jihadismo globale. Anche Al-Qaeda, sebbene meno mediatica, mantiene una rete radicata. In diverse aree instabili – come il Sahel – gruppi affiliati come il JNIM (Jama'at Nusrat al-Islam wal-Muslimin) si contendono territorio e influenza con l’ISIS. In Nigeria Boko Haram e ISWAP (Islamic State West Africa Province, ovvero Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato Islamico) insanguinano il Paese. In Mozambico la provincia di Cabo Delgado resta teatro di insurrezioni jihadiste. In Afghanistan il ritorno dei Talebani non ha portato stabilità: l’ISIS-K (Islamic State Khorasan Province ovvero Provincia del Khorasan dello Stato Islamico) ha accresciuto la propria attività, colpendo minoranze sciite, ONG e obiettivi talebani, come dimostrato dagli attentati a Kabul e Mazar-i-Sharif nel maggio 2022. L’Africa subsahariana è divenuta l’epicentro del jihadismo globale. Dopo il ritiro delle truppe francesi dal Sahel e la crisi politica in Niger e Sudan, molti gruppi jihadisti si sono rafforzati, occupando aree abbandonate dagli Stati. La cosiddetta sahelizzazione del jihadismo vede milizie islamiste agire come attori semi-governativi, imponendo regole e tassazioni, offrendo sicurezza e sfruttando la mancanza di alternative statali. In Europa la minaccia jihadista ha subito una trasformazione: se tra il 2015 e il 2017 dominavano grandi attacchi coordinati, oggi prevalgono azioni individuali. I cosiddetti lupi solitari, spesso giovani radicalizzati online, con disagi psichici o precedenti penali, sono ispirati dalla propaganda jihadista pur senza legami strutturati con gruppi terroristici. Attacchi recenti in Francia (Parigi e Arras, 2023), Germania (Solingen, 2024) e Belgio (Bruxelles, 2023) dimostrano come il jihadismo resti una minaccia endemica, soprattutto nelle periferie urbane segnate da crisi identitarie e marginalità sociale. Un ulteriore vettore di radicalizzazione è rappresentato dalle carceri europee, dove il jihadismo trova terreno fertile tra soggetti vulnerabili. Le autorità di Francia, Belgio e Spagna hanno avviato nuove misure contro la radicalizzazione carceraria tra il 2024 e il 2025. La propaganda jihadista, oggi, è più sofisticata. Nonostante le restrizioni delle piattaforme mainstream, continua a circolare tramite applicazioni criptate, social alternativi e dark web. Alcuni gruppi utilizzano anche l’intelligenza artificiale generativa e deepfake per creare contenuti, diffondere messaggi e costruire narrative di vittimismo islamico. Criptovalute e darknet vengono usati per il finanziamento. La retorica jihadista si alimenta di eventi simbolici: il conflitto israelo-palestinese, la percezione di discriminazioni contro i musulmani in Occidente, la retorica islamofoba. Il rafforzamento dei rapporti tra Israele e alcuni Paesi arabi è stato descritto dai jihadisti come un tradimento, rafforzando la loro immagine di un Islam autentico da difendere. Il jihadismo globale non è un’ombra del passato, ma una minaccia mutata, sotterranea e resiliente. La sua capacità di adattarsi ai vuoti del potere, alle fratture sociali e alle nuove tecnologie lo rende oggi meno visibile ma non meno pericoloso. Ignorarlo significa sottovalutare la sua evoluzione; combatterlo richiede visione, responsabilità e una risposta che non sia solo muscolare, ma anche culturale, sociale e politica. Perché il terrorismo prospera dove lo Stato fallisce e l’indifferenza regna. Solo una strategia integrata – lucida, inclusiva e consapevole – potrà spezzare il ciclo della radicalizzazione e impedire che il jihadismo trovi nuovi focolai nel cuore del nostro tempo.

 

Roberto Rapaccini