Nel
cuore delle grandi trasformazioni globali del XXI secolo si impone un campo di
battaglia silenzioso ma potentissimo, dove si decidono equilibri strategici e
sfide di potere: la geopolitica dell’informazione. Non si combatte con armi
convenzionali, ma con parole, immagini, video virali, post manipolati,
contenuti selettivi o deliberatamente falsi. È una guerra delle narrazioni,
della percezione e dell’opinione pubblica, condotta in tempo reale attraverso
media tradizionali e piattaforme digitali. Un tempo dominava chi controllava i
mari o le rotte commerciali; oggi, a esercitare un potere ancora più pervasivo
è chi governa il flusso e la qualità dell’informazione. Chi riesce a modellare
la percezione collettiva può orientare ciò che le persone credono, come
interpretano gli eventi e perfino come votano. La geopolitica dell’informazione
è il luogo in cui convergono interessi statali, dinamiche economiche e
tecnologie digitali avanzate. Non si tratta più soltanto di propaganda
classica: ci troviamo di fronte a un ecosistema sofisticato, fatto di media
pubblici, social network, algoritmi opachi, censura, deepfake e campagne di
disinformazione su larga scala. I confini tra informazione e manipolazione, tra
cronaca e strategia, sono diventati sempre più sfumati. I media statali, come Russia
Today (RT) per Mosca o CGTN per Pechino, proiettano all’estero una
narrazione funzionale agli interessi nazionali. Lungi dall’essere semplici
canali informativi, si trasformano in veri strumenti di diplomazia pubblica, se
non di guerra psicologica. Ma il vero campo di battaglia è ormai il digitale.
Social network come Facebook, TikTok, X (ex Twitter) e YouTube rappresentano
oggi le nuove trincee dove si giocano le partite decisive dell’informazione.
Stati e attori non statali vi diffondono contenuti capaci di suscitare
emozioni, polarizzare l’opinione pubblica, orientare dibattiti. Le fake news sono
diventate uno strumento sofisticato per destabilizzare società, alterare
campagne elettorali o generare panico. Particolarmente insidioso è il ruolo
degli algoritmi, meccanismi invisibili che decidono cosa vediamo e cosa no.
Privilegiando il coinvolgimento degli utenti come obiettivo, essi amplificano
contenuti divisivi, emotivi, talvolta estremi, contribuendo alla formazione di
vere e proprie bolle informative. In questi ambienti chiusi, gli utenti si
trovano esposti solo a visioni che rafforzano le proprie convinzioni, con un
crescente isolamento dai punti di vista alternativi. Una manipolazione passiva
ma profondamente efficace, capace di alterare in modo strutturale la percezione
del reale. Nell’attuale panorama internazionale, la geopolitica
dell’informazione è diventata un elemento centrale nei principali conflitti in
corso. Non esiste oggi crisi globale in cui la gestione del racconto non sia
essa stessa una forma di scontro. L’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ne è
uno degli esempi più evidenti. Accanto alla guerra sul terreno si è sviluppata
una battaglia mediatica senza precedenti. Mentre Mosca giustificava
l’intervento parlando di denazificazione e di protezione delle popolazioni
russofone, Kyiv e l’Occidente denunciavano l’attacco come una violazione
brutale del diritto internazionale. Da un lato la Russia ha attivato un’ampia
macchina propagandistica (RT, Sputnik, canali Telegram, influencer filorussi);
dall’altro, l’Ucraina ha saputo sfruttare con efficacia i social media,
trasformando il presidente Zelensky in un simbolo mediatico della resistenza
democratica. Anche attorno a Taiwan si combatte una guerra narrativa. La Cina
utilizza una combinazione di media, disinformazione mirata e pressione
diplomatica per sostenere l’idea dell’unificazione come inevitabile. Parallelamente
investe nel soft power per proiettare un’immagine rassicurante della propria
politica estera, oscurando al contempo la repressione interna e le minacce
rivolte all’isola. Nel conflitto israelo-palestinese dopo il 7 ottobre 2023 la
dimensione informativa ha assunto una centralità globale. Le due parti
coinvolte competono per imporsi nell’arena mediatica, diffondendo immagini,
dati, testimonianze e video per ottenere il favore dell’opinione pubblica
internazionale. Le piattaforme digitali si sono trasformate in spazi filtrati,
dove la verità diventa ambigua e la distinzione tra propaganda e cronaca si
dissolve. Anche gli Stati Uniti non sono immuni. La geopolitica informativa ha
assunto forme interne, con una crescente polarizzazione tra media conservatori
e progressisti. Le interferenze russe nelle elezioni del 2016 hanno inaugurato
un fenomeno che continua a manifestarsi in modo insidioso e persistente: il
sistema informativo americano è oggi un campo di battaglia ideologica. Chi
riesce a imporsi nella narrazione degli eventi può non solo influenzare l’opinione
pubblica, ma anche legittimare azioni militari, consolidare alleanze, accedere
a risorse strategiche e delegittimare il nemico. Come difendere la libertà di
parola in un’epoca in cui la disinformazione può minacciare le democrazie? La
libertà di espressione, fondamento delle società liberali, rischia di
trasformarsi in un paradosso: mentre tutela il pluralismo, può essere
strumentalizzata per diffondere odio, sfiducia e instabilità. È urgente
immaginare modelli di governance dell’informazione che promuovano trasparenza e
responsabilità senza ricorrere a censura o controllo autoritario. Come
proteggersi senza limitare il dissenso legittimo? La tentazione di chiudere
canali comunicativi o oscurare contenuti può sembrare necessaria in contesti
critici, ma rischia di scivolare in derive illiberali. Anche nelle democrazie
avanzate la linea tra moderazione e repressione può diventare sottile. La
risposta sta nella formazione di cittadini informati e critici, capaci di
decodificare i meccanismi della comunicazione contemporanea. E che ruolo devono
avere le piattaforme digitali, ormai divenute vere superpotenze informative?
Aziende come Meta, Google, X o TikTok determinano cosa diventa visibile, cosa
viene rimosso, e quali contenuti raggiungono milioni di persone. Questo potere
è spesso esercitato al di fuori di qualsiasi controllo democratico. È dunque
indispensabile un nuovo patto globale tra Stati e imprese tecnologiche, che
stabilisca regole, tuteli il pluralismo e impedisca abusi senza soffocare
l’innovazione. L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa ossia di strumenti
in grado di produrre testi, immagini, video e perfino volti realistici in pochi
secondi sta rivoluzionando il panorama informativo. Come già evidenziato, i
deepfake, le notizie sintetiche e i contenuti persuasivi creati artificialmente
possono manipolare il consenso, costruire false evidenze, distruggere
reputazioni. La velocità con cui questi materiali si diffondono supera la
capacità di verifica di giornalisti e cittadini, con il conseguente rischio di
un crollo della fiducia collettiva nell’informazione. In questo scenario
incerto e frammentato prevalgono il disordine comunicativo, la confusione
sistemica e l’erosione delle basi stesse della convivenza democratica. In
questo contesto la geopolitica dell’informazione si rivela una delle forme più
sofisticate e influenti di potere contemporaneo. Le guerre continuano a
consumarsi sui campi di battaglia, ma sono le narrazioni che le accompagnano a
determinare le vittorie più profonde: quelle dell’immaginario, della memoria,
dell’identità collettiva. Viviamo in un mondo dove l’informazione circola più
velocemente della comprensione. La vera sfida non è solo sapere cosa è
accaduto, ma capire chi ce lo sta raccontando, con quale linguaggio, con quali
intenzioni e perché. Roberto Rapaccini
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
PAESI DELLA LEGA ARABA
TESTO SC.
venerdì 11 luglio 2025
GEOPOLITICA DELL’INFORMAZIONE E POTERE LA NARRAZIONE DEI FATTI CAMBIA LA REALTÀ (2025)
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