RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

venerdì 11 luglio 2025

GEOPOLITICA DELL’INFORMAZIONE E POTERE LA NARRAZIONE DEI FATTI CAMBIA LA REALTÀ (2025)



 

Nel cuore delle grandi trasformazioni globali del XXI secolo si impone un campo di battaglia silenzioso ma potentissimo, dove si decidono equilibri strategici e sfide di potere: la geopolitica dell’informazione. Non si combatte con armi convenzionali, ma con parole, immagini, video virali, post manipolati, contenuti selettivi o deliberatamente falsi. È una guerra delle narrazioni, della percezione e dell’opinione pubblica, condotta in tempo reale attraverso media tradizionali e piattaforme digitali. Un tempo dominava chi controllava i mari o le rotte commerciali; oggi, a esercitare un potere ancora più pervasivo è chi governa il flusso e la qualità dell’informazione. Chi riesce a modellare la percezione collettiva può orientare ciò che le persone credono, come interpretano gli eventi e perfino come votano. La geopolitica dell’informazione è il luogo in cui convergono interessi statali, dinamiche economiche e tecnologie digitali avanzate. Non si tratta più soltanto di propaganda classica: ci troviamo di fronte a un ecosistema sofisticato, fatto di media pubblici, social network, algoritmi opachi, censura, deepfake e campagne di disinformazione su larga scala. I confini tra informazione e manipolazione, tra cronaca e strategia, sono diventati sempre più sfumati. I media statali, come Russia Today (RT) per Mosca o CGTN per Pechino, proiettano all’estero una narrazione funzionale agli interessi nazionali. Lungi dall’essere semplici canali informativi, si trasformano in veri strumenti di diplomazia pubblica, se non di guerra psicologica. Ma il vero campo di battaglia è ormai il digitale. Social network come Facebook, TikTok, X (ex Twitter) e YouTube rappresentano oggi le nuove trincee dove si giocano le partite decisive dell’informazione. Stati e attori non statali vi diffondono contenuti capaci di suscitare emozioni, polarizzare l’opinione pubblica, orientare dibattiti. Le fake news sono diventate uno strumento sofisticato per destabilizzare società, alterare campagne elettorali o generare panico. Particolarmente insidioso è il ruolo degli algoritmi, meccanismi invisibili che decidono cosa vediamo e cosa no. Privilegiando il coinvolgimento degli utenti come obiettivo, essi amplificano contenuti divisivi, emotivi, talvolta estremi, contribuendo alla formazione di vere e proprie bolle informative. In questi ambienti chiusi, gli utenti si trovano esposti solo a visioni che rafforzano le proprie convinzioni, con un crescente isolamento dai punti di vista alternativi. Una manipolazione passiva ma profondamente efficace, capace di alterare in modo strutturale la percezione del reale. Nell’attuale panorama internazionale, la geopolitica dell’informazione è diventata un elemento centrale nei principali conflitti in corso. Non esiste oggi crisi globale in cui la gestione del racconto non sia essa stessa una forma di scontro. L’invasione russa dell’Ucraina nel 2022 ne è uno degli esempi più evidenti. Accanto alla guerra sul terreno si è sviluppata una battaglia mediatica senza precedenti. Mentre Mosca giustificava l’intervento parlando di denazificazione e di protezione delle popolazioni russofone, Kyiv e l’Occidente denunciavano l’attacco come una violazione brutale del diritto internazionale. Da un lato la Russia ha attivato un’ampia macchina propagandistica (RT, Sputnik, canali Telegram, influencer filorussi); dall’altro, l’Ucraina ha saputo sfruttare con efficacia i social media, trasformando il presidente Zelensky in un simbolo mediatico della resistenza democratica. Anche attorno a Taiwan si combatte una guerra narrativa. La Cina utilizza una combinazione di media, disinformazione mirata e pressione diplomatica per sostenere l’idea dell’unificazione come inevitabile. Parallelamente investe nel soft power per proiettare un’immagine rassicurante della propria politica estera, oscurando al contempo la repressione interna e le minacce rivolte all’isola. Nel conflitto israelo-palestinese dopo il 7 ottobre 2023 la dimensione informativa ha assunto una centralità globale. Le due parti coinvolte competono per imporsi nell’arena mediatica, diffondendo immagini, dati, testimonianze e video per ottenere il favore dell’opinione pubblica internazionale. Le piattaforme digitali si sono trasformate in spazi filtrati, dove la verità diventa ambigua e la distinzione tra propaganda e cronaca si dissolve. Anche gli Stati Uniti non sono immuni. La geopolitica informativa ha assunto forme interne, con una crescente polarizzazione tra media conservatori e progressisti. Le interferenze russe nelle elezioni del 2016 hanno inaugurato un fenomeno che continua a manifestarsi in modo insidioso e persistente: il sistema informativo americano è oggi un campo di battaglia ideologica. Chi riesce a imporsi nella narrazione degli eventi può non solo influenzare l’opinione pubblica, ma anche legittimare azioni militari, consolidare alleanze, accedere a risorse strategiche e delegittimare il nemico. Come difendere la libertà di parola in un’epoca in cui la disinformazione può minacciare le democrazie? La libertà di espressione, fondamento delle società liberali, rischia di trasformarsi in un paradosso: mentre tutela il pluralismo, può essere strumentalizzata per diffondere odio, sfiducia e instabilità. È urgente immaginare modelli di governance dell’informazione che promuovano trasparenza e responsabilità senza ricorrere a censura o controllo autoritario. Come proteggersi senza limitare il dissenso legittimo? La tentazione di chiudere canali comunicativi o oscurare contenuti può sembrare necessaria in contesti critici, ma rischia di scivolare in derive illiberali. Anche nelle democrazie avanzate la linea tra moderazione e repressione può diventare sottile. La risposta sta nella formazione di cittadini informati e critici, capaci di decodificare i meccanismi della comunicazione contemporanea. E che ruolo devono avere le piattaforme digitali, ormai divenute vere superpotenze informative? Aziende come Meta, Google, X o TikTok determinano cosa diventa visibile, cosa viene rimosso, e quali contenuti raggiungono milioni di persone. Questo potere è spesso esercitato al di fuori di qualsiasi controllo democratico. È dunque indispensabile un nuovo patto globale tra Stati e imprese tecnologiche, che stabilisca regole, tuteli il pluralismo e impedisca abusi senza soffocare l’innovazione. L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa ossia di strumenti in grado di produrre testi, immagini, video e perfino volti realistici in pochi secondi sta rivoluzionando il panorama informativo. Come già evidenziato, i deepfake, le notizie sintetiche e i contenuti persuasivi creati artificialmente possono manipolare il consenso, costruire false evidenze, distruggere reputazioni. La velocità con cui questi materiali si diffondono supera la capacità di verifica di giornalisti e cittadini, con il conseguente rischio di un crollo della fiducia collettiva nell’informazione. In questo scenario incerto e frammentato prevalgono il disordine comunicativo, la confusione sistemica e l’erosione delle basi stesse della convivenza democratica. In questo contesto la geopolitica dell’informazione si rivela una delle forme più sofisticate e influenti di potere contemporaneo. Le guerre continuano a consumarsi sui campi di battaglia, ma sono le narrazioni che le accompagnano a determinare le vittorie più profonde: quelle dell’immaginario, della memoria, dell’identità collettiva. Viviamo in un mondo dove l’informazione circola più velocemente della comprensione. La vera sfida non è solo sapere cosa è accaduto, ma capire chi ce lo sta raccontando, con quale linguaggio, con quali intenzioni e perché. Roberto Rapaccini