Nel pieno della tensione tra
Israele, Iran e Stati Uniti, un attore apparentemente marginale ma in realtà
strategico si muove con una discrezione abile e calcolata: il Qatar. Questo
piccolo emirato spesso percepito come una potenza secondaria rispetto ai colossi
regionali come Arabia Saudita, Turchia e Iran, si è costruito una posizione unica, trasformandosi in un hub
geopolitico e diplomatico centrale nel Medio Oriente attuale. Il Qatar non
dispone né di una potenza militare paragonabile a quella delle grandi potenze
né di una popolazione consistente. Eppure, ha saputo trasformare le sue
dimensioni contenute in un vantaggio strategico, giocando il ruolo del
mediatore agile, del negoziatore accreditato presso attori tra loro ostili.
Doha ha saputo coltivare relazioni parallele e spesso contraddittorie: mantiene
basi militari americane ma dialoga con Teheran; ospita i leader di Hamas ma
parla anche con Israele e Stati Uniti. Questa diplomazia multilivello si basa
su credibilità, pazienza e una certa ambiguità che consente al Qatar di essere
percepito come utilizzabile da tutti gli attori in gioco, senza essere
completamente compromesso con nessuno. Dietro le quinte delle grandi crisi il
Qatar è spesso presente, seppure invisibile. Lo dimostra il suo ruolo nella
liberazione degli ostaggi durante le crisi di Gaza, il dialogo con i talebani
durante e dopo il ritiro americano dall’Afghanistan, e oggi nella gestione
delle tensioni israelo-iraniane. Il Qatar ha saputo fare delle sue relazioni
scomode un capitale negoziale. Mentre molte cancellerie occidentali rifiutano
contatti con attori come Hezbollah o Hamas, Doha mantiene linee di
comunicazione aperte e funzionanti, usandole per mediare e disinnescare
escalation. Doha è oggi uno dei pochissimi luoghi al mondo in cui si incrociano
interlocutori normalmente separati da ostilità irriducibili: diplomatici
americani, emissari iraniani, funzionari israeliani e mediatori arabi. L’ostilità
tra Stati Uniti e Iran resta uno dei pilastri della geopolitica mediorientale.
Tuttavia, questa ostilità ha bisogno di canali di comunicazione intermedi. È
qui che Doha diventa essenziale. Da un lato, Washington continua a utilizzare
la base aerea di al-Udeid (la più grande degli USA in Medio Oriente), segno
della fiducia militare strategica riposta nel Qatar. Dall’altro, Teheran sa che
Doha non è una pedina saudita o un avamposto israeliano, e dunque può accettare
la sua mediazione senza perdere la faccia. Il Qatar è in questo senso
l’equilibrista perfetto tra fuoco e acqua. Una delle partite più complesse è
quella relativa alla questione palestinese, e in particolare alla Striscia di
Gaza. Il Qatar è uno dei principali donatori di aiuti umanitari per la
popolazione gazawi, e ha finanziato ospedali, scuole e infrastrutture con
milioni di dollari. Questo sostegno è spesso letto da Israele con sospetto,
soprattutto per le accuse – mai del tutto confermate – che parte dei fondi
finisca nelle mani di Hamas. Tuttavia, è proprio il Qatar a facilitare le
tregue, a negoziare liberazioni di ostaggi e a impedire che le crisi si
trasformino in guerre totali. L’ambivalenza è evidente: Tel Aviv critica Doha
ma al tempo stesso la convoca e la ascolta ogni volta che la situazione sfugge
di mano. La crisi tra Israele, Iran e Stati Uniti si gioca su più piani: quello
militare, quello informativo, quello delle alleanze e – sempre più – quello
della comunicazione diplomatica. In questo quadro, il Qatar non è un semplice
spettatore: è un facilitatore attivo, che utilizza le sue leve (mediazione,
gas, basi militari, soft power) per ritagliarsi un ruolo da ago della bilancia.
La sua importanza aumenterà ancora se gli sforzi diplomatici delle grandi
potenze dovessero fallire. Doha rappresenta una delle ultime valvole di
decompressione nel Medio Oriente contemporaneo: una zona franca, una piazza di
compromesso, un punto d’incontro tra linee rosse che altrove non si possono
incrociare. In un mondo in cui i conflitti si irrigidiscono, i blocchi si
contrappongono e le narrative si polarizzano, il Qatar ha scelto una via controcorrente:
quella del dialogo multipolare, anche tra nemici giurati. Non è una neutralità
passiva, ma una strategia sofisticata che richiede equilibrio, credibilità e –
in parte – opacità. Oggi più che mai, in un Medio Oriente sull’orlo del
collasso diplomatico, la piccola Doha dimostra che a volte il vero potere non
sta nelle armi o nel petrolio, ma nella capacità di essere ascoltati da tutti.
Anche nel silenzio.
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
PAESI DELLA LEGA ARABA

TESTO SC.
mercoledì 2 luglio 2025
IL MEDIO ORIENTE, QUAL È IL RUOLO DEL QATAR DOHA NELA CRISI TRA STATI UNITI, IRAN E ISRAELE (2025)
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