RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

mercoledì 2 luglio 2025

NETANYAHU TRA CONSENSI E LA CRISI DI GAZA (2025)


Dopo mesi di tensione politica e guerra a Gaza, Benjamin Netanyahu resta al centro della scena israeliana. Ma sotto la superficie il suo consenso appare fragile e controverso. A spingerlo in alto nei sondaggi è stato l’attacco all’Iran, che ha riacceso il patriottismo di una parte dell’opinione pubblica. Tuttavia, sulla gestione del conflitto con Hamas il giudizio degli israeliani è ben più critico. L’azione militare contro obiettivi iraniani ha fatto risalire il gradimento di Netanyahu. Secondo alcuni sondaggi oltre l’80% degli israeliani ebrei avrebbe approvato l’operazione. Il Likud, il suo partito, ha registrato un incremento nei consensi: i dati più recenti indicano una crescita nella Knesset da 24–26 seggi a 27–31. Questo trend rafforza la sua leadership come capo indiscusso del partito. Fonti come The Guardian sottolineano come i fedelissimi di Netanyahu continuino a vederlo come un leader risoluto, capace di capitalizzare le vittorie militari per consolidare il potere. Una parte consistente della popolazione resta convinta che Netanyahu debba ritirarsi dalla politica al termine della guerra a Gaza. È proprio la gestione del conflitto a preoccupare la maggioranza degli israeliani. Gli ultimi sondaggi mostrano una netta inversione di tendenza: il 62% degli intervistati chiede di porre fine alla guerra. La popolazione è stanca e le proteste settimanali – guidate soprattutto dalle famiglie degli ostaggi – si fanno sempre più pressanti. Alcuni accusano Netanyahu di prolungare il conflitto per motivi politici e  personali:  il leader sarebbe più interessato a restare al potere che a concludere la guerra o a liberare gli ostaggi. Tel Aviv è tornata a riempirsi di manifestanti, con cortei, sit-in e scioperi. Le famiglie dei rapiti chiedono un accordo immediato per riportare a casa i loro cari. Il governo resta diviso e indeciso, stretto tra le pressioni della base più radicale e quelle della società civile. Alcuni alleati hanno lasciato intendere che potrebbero uscire dalla maggioranza qualora non vengano trovate soluzioni rapide per Gaza e per la crisi politica interna. Il rischio di elezioni anticipate è concreto. Nonostante tutto Netanyahu rimane un leader politicamente esperto e abile nel gestire crisi e alleanze. Da un lato, è visto da alcuni come il baluardo della sicurezza israeliana. Dall’altro, cresce la percezione che il suo tempo sia finito e che la sua permanenza al potere ostacoli sia la riconciliazione nazionale sia la conclusione del conflitto. Ma l’usura politica si fa sentire. A livello internazionale è sempre più isolato, con crescenti critiche da parte di Washington e Bruxelles. La relazione con Putin si è finora rivelata uno scambio pragmatico. Mosca utilizza il rapporto con Israele per proiettare mediaticamente la propria influenza e cercare un ruolo più centrale negli equilibri mediorientali. Il destino di Netanyahu si giocherà nelle prossime settimane, tra la possibile chiusura del conflitto a Gaza e l’eventuale rilancio di un processo politico interno. Due variabili cruciali che potrebbero ridefinire il futuro non solo del premier, ma dell’intero sistema politico israeliano. Netanyahu è così stretto tra la necessità di mantenere l’appoggio degli alleati più intransigenti – che invocano la vittoria totale – e la pressione crescente della piazza, che reclama risultati concreti e immediati. Dall’altra, il premier deve affrontare un sistema politico in crisi. La sua coalizione, già debole, si regge su numeri esigui e su equilibri sempre più instabili. Anche all’interno del Likud non mancano segnali di insofferenza: c’è chi guarda con preoccupazione all’ipotesi di nuove elezioni e chi – dietro le quinte – comincia a pensare a un futuro post-Netanyahu. Il messaggio che arriva dalla società israeliana, al di là delle oscillazioni nei sondaggi, è inequivocabile: il sostegno al leader non è più incondizionato. L’immagine di ‘Bibi l’inespugnabile’ si sta lentamente logorando, schiacciata tra la realtà di una guerra prolungata e il ritorno delle urgenze sociali ed economiche interne. E se Netanyahu non riuscirà a offrire presto una soluzione concreta, militare o diplomatica, alla crisi di Gaza e un percorso politico credibile per il futuro di Israele, rischia non solo di perdere la leadership del Paese, ma anche di vedere incrinata la sua storica presa sul Likud e sull’elettorato conservatore. In gioco non c’è solo la sua carriera: c’è un intero ciclo politico che potrebbe chiudersi, aprendo le porte a un nuovo capitolo della storia israeliana.