In questo ultimo
fine settimana il mondo ha mostrato ancora il volto tragico della guerra. A
Kiev sono piovuti 367 missili e droni russi: un attacco che ha causato la morte
di almeno 12 civili tra cui 2 bambini. L’Unione Europea ha reagito con
fermezza: Kaja Kallas, Alto Rappresentante per la politica estera, ha chiesto
che sia esercitata la massima pressione internazionale su Mosca. Nello stesso
giorno sul fronte mediorientale arriva un altro grido d’allarme. L’UNRWA –
l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi – lancia
un appello per proteggere i bambini di Gaza, dove, solo negli ultimi due mesi,
sono morti 950 minori. Intanto, i raid israeliani proseguono. Nel frattempo, in
Asia si accende la tensione tra potenze regionali e globali. L’esercitazione
militare congiunta Balikatan 2025 ha impegnato 18.000 soldati statunitensi e
filippini, insieme a missili antinave di ultima generazione. Come risposta
Pechino ha issato simbolicamente la propria bandiera sull’isolotto di Sandy
Cay, accusando Manila di aver effettuato uno sbarco illegale. Tre crisi, tre
scenari distanti, ma una sola lezione: i leader di oggi navigano in un mondo
instabile, in balìa degli eventi, dove ogni decisione può alterare gli
equilibri globali. Per affrontare questo flusso incessante di sfide serve la
virtù politica che Niccolò Machiavelli, già nel 1513, consigliava al suo Principe.
A distanza di cinque secoli le sue categorie analitiche sono ancora strumenti
preziosi per interpretare un sistema internazionale frammentato, segnato dal
ritorno della guerra di conquista, da conflitti asimmetrici, e da una nuova
competizione tra grandi potenze, che si gioca tanto nei cieli, quanto nelle
acque contese. Quando Machiavelli scrisse Il Principe, l’Italia era un
campo di battaglia tra potenze straniere, che sfruttavano le divisioni interne
per imporre la propria egemonia. Oggi, il mondo intero somiglia a quell’Italia:
un mosaico di interessi, tensioni e manovre, dove il potere si gioca tra
alleanze, minacce e ambizioni imperiali. Oggi la mappa del potere globale presenta
linee di frattura ben definite. Da un lato c’è la Russia, che usa la forza
militare e il ricatto energetico per riaffermare il proprio ruolo nel mondo.
Nel Medio Oriente Israele conduce una guerra a tutto campo contro Hamas, ma si
trova anche al centro di critiche e pressioni internazionali sia sul piano
diplomatico che su quello legale. Nell’Indo-Pacifico la Cina sfida apertamente
la tradizionale supremazia americana, cercando di estendere la propria
influenza ben oltre i confini marittimi riconosciuti. Questo scenario non è
soltanto materia per analisti. In tutti e tre i casi emerge chiaramente un
principio fondamentale della geopolitica antica e moderna: la sopravvivenza
dello Stato viene prima di ogni altra considerazione. Quando si ignora questa
logica di fondo, si rischia di perdere il controllo e di finire soggetti al
volere di potenze esterne. Niccolò Machiavelli nel suo celebre ‘Principe’
offre tre concetti chiave che aiutano ancora oggi a leggere la realtà
internazionale. Innanzitutto, la ‘virtù’ non è intesa come moralità, ma come
energia creativa, coraggio, rapidità nel decidere e capacità di rompere gli
schemi. Si pensi a Zelensky, che ha saputo reinventare la politica estera
ucraina in tempo reale, o a Netanyahu, che cambia alleanze e ministri pur di
restare al potere: due esempi, nel bene e nel male, di adattabilità estrema. La
‘fortuna’ è il fattore imprevedibile, il caos degli eventi che sfugge al
controllo di ogni leader. Il destino può
favorire o travolgere, e bisogna saperlo affrontare. Infine, la ‘necessità’ è
la regola dura del potere. A volte non si può scegliere e per sopravvivere
bisogna agire anche contro le norme. È la logica che porta Kiev a colpire
obiettivi in territorio russo o Pechino a costruire basi militari su scogli
contesi. Ecco, inoltre, tre esempi concreti di applicazione del realismo di Machiavelli
al mondo di oggi. Il primo è ‘realismo strutturale’: le grandi potenze si
muovono in un sistema internazionale dove non esiste un'autorità superiore.
Tutti cercano sicurezza e prestigio. Lo dimostrano la corsa ai microchip tra
Stati Uniti e Cina e il nuovo riarmo della Germania. Il secondo è il ‘bilanciamento
fluido’: gli Stati medi non si legano troppo a un solo alleato. Le Filippine
cercano protezione americana ma non vogliono provocare la Cina. L’Arabia
Saudita dialoga con l’Iran, ma resta fedele al dollaro del petrolio. È il
consiglio di Machiavelli: non farsi dominare da un alleato più forte. Il terzo
è la ‘propaganda’: apparire buoni conta quasi quanto esserlo davvero. La guerra
si combatte anche nell’immaginario collettivo. Dai deepfake russi che
falsificano i notiziari, fino agli influencer dell’IDF su TikTok, la guerra
delle immagini e dei messaggi è cruciale quanto quella combattuta con droni e
cannoni. In definitiva, la lezione di
Machiavelli resta attuale: capire il potere, saper cogliere il momento, agire
con prontezza anche in tempi di crisi. Le sue idee, nate nell’Italia del
Rinascimento, continuano a parlare al nostro mondo, diviso tra instabilità, tecnologia
e competizione globale. Uno degli aspetti più controversi del pensiero di
Machiavelli è la separazione tra etica privata e responsabilità pubblica.
Secondo lo scrittore fiorentino un leader può mentire, torturare, persino
uccidere, se questo serve a proteggere lo Stato e garantire la sicurezza
collettiva. Questa frattura morale non appartiene solo al passato. Oggi ritorna
sotto forma di dilemmi che riguardano le democrazie armate, spesso costrette a
scegliere tra l’efficacia e il rispetto dei principi. In proposito gli attacchi
mirati con droni, in Yemen o a Gaza, eliminano bersagli considerati pericolosi,
ma possono causare vittime civili e danni collaterali. I sistemi di
sorveglianza di massa, alimentati dall’intelligenza artificiale, promettono
maggiore sicurezza ma rischiano di erodere la privacy e le libertà
fondamentali. In ultimo le sanzioni economiche internazionali, pensate per
punire aggressori o regimi autoritari, finiscono spesso per colpire anche
popolazioni innocenti. La tensione tra due approcci etici – quello del ‘fine
giustifica i mezzi’ e quello morale per cui
alcune azioni restano inaccettabili, qualunque sia il risultato - non si
è attenuata con la modernità: si è moltiplicata e globalizzata sotto gli occhi
di un’opinione pubblica connessa in tempo reale, pronta a giudicare, denunciare
e reagire. Ma lo Stato più forte non è quello che governa con la paura, ma
quello che riesce a gestire il conflitto e a includere la partecipazione dei
cittadini. L’idea di uno Stato inclusivo trova oggi nuove forme. I controlli e i
contrappesi transnazionali, come la Corte Penale Internazionale, le sanzioni
mirate o il monitoraggio open-source dei crimini di guerra, offrono strumenti
per limitare l’arbitrio anche in tempi di conflitto. La cooperazione consente agli
interessi nazionali di essere ripensati in chiave globale. La coesione sociale
può compensare la fragilità politica, ridurre la dipendenza da leader
carismatici e rafforzare la legittimità delle istituzioni nel lungo periodo. In
conclusione, la cronaca riflette la Firenze del Rinascimento: un mondo
frammentato, con alleanze volatili, guerre aperte, lotte interne. In questo
contesto Machiavelli è uno specchio capace di costringerci a guardare in faccia
il costo morale del potere, la dipendenza della legittimità politica da regole
condivise e da standard etici solidi. La tentazione di agire con
spregiudicatezza deve saper coniugare difesa dello Stato con la preservazione
dell’anima civile.