Dopo la Seconda
Guerra Mondiale, l'isola di Taiwan fu affidata all’amministrazione della
Repubblica di Cina, su decisione degli Alleati in seguito alla resa del Giappone.
Ma nel 1949, successivamente alla vittoria comunista nella guerra civile
cinese, il governo nazionalista in carica presieduto dal partito Kuomintang –
che aveva contribuito alla fondazione della Repubblica dopo la caduta
dell’Impero Qing – si rifugiò a Taiwan proclamando l’isola sede del governo in
esilio. Da allora Taiwan è di fatto indipendente, con un proprio governo,
economia e sistema democratico, ma non è ufficialmente riconosciuta come Stato
sovrano dalla maggior parte dei Paesi a causa delle pressioni diplomatiche
della Cina. Le attuali relazioni tra Taiwan, Cina e Stati Uniti si inseriscono
in un delicato equilibrio geopolitico, in cui diplomazia, deterrenza militare e
interessi economici si intrecciano strettamente. Gli Stati Uniti, pur prendendo
atto del principio dell’unica Cina – cioè, la legittimità del governo di
Pechino come unico rappresentante della Cina – continuano a mantenere relazioni
informali con Taiwan. Forniscono armi all’isola e sostegno politico, ma senza
garantire un impegno militare automatico in caso di attacco, in base alla
cosiddetta ‘ambiguità strategica’. L’ex presidente Biden ha più volte affermato
che gli USA interverrebbero per difendere Taiwan, salvo poi precisare che ciò
non contraddice la politica di una sola Cina. Il Congresso americano ha
rafforzato il sostegno a Taipei tramite il ‘Taiwan Relations Act’, ma senza
creare un’alleanza di tipo NATO. La Cina considera Taiwan una provincia ribelle
e ha intensificato negli ultimi anni le esercitazioni militari intorno
all’isola, soprattutto in occasione di eventi politici simbolici come
l’elezione del nuovo presidente taiwanese nel 2024. Nel 2025 l’esercito cinese
ha persino simulato un blocco navale, con l’obiettivo di ‘intimidire’ le forze
secessioniste e testare la reazione americana. Questo tipo di manovra rientra
in una strategia di pressione militare crescente volta a dissuadere qualsiasi passo
verso una dichiarazione formale d’indipendenza da parte di Taipei. Il Giappone,
alleato chiave degli Stati Uniti, considera la stabilità di Taiwan un interesse
vitale per la sicurezza nazionale. Documenti strategici prevedono la
cooperazione con Washington in caso di crisi nello Stretto di Taiwan, e diversi
analisti ritengono che Tokyo sarebbe pronta a intervenire in difesa dell’isola.
Più cauta è la posizione dei Paesi ASEAN, che preferiscono mantenere una linea
diplomatica neutrale. I Paesi ASEAN -
Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam,
Laos, Myanmar, Cambogia - sono i membri dell’Associazione delle Nazioni del
Sud-Est Asiatico, un’organizzazione regionale fondata nel 1967 per promuovere
la reciproca cooperazione economica, politica e culturale. L’ASEAN opera
secondo principi di non ingerenza: per questo motivo, in questioni delicate
come le eventuali crisi nello Stretto di Taiwan, l’ASEAN manterrebbe in linea
di massima un atteggiamento neutrale e prudente, cercando di favorire il
dialogo e la stabilità senza schierarsi apertamente. Anche negli incontri
multilaterali come il summit ASEAN-Quad (Quadrilateral Security Dialogue), è
stata sottolineata l’importanza di preservare la stabilità nell’area. Il ruolo
economico di Taiwan, cuore pulsante dell’industria mondiale dei semiconduttori,
rende il quadro ancora più complesso. Infatti, la TSMC (Taiwan Semiconductor
Manufacturing Company), maggiore produttrice globale di chip avanzati, ha una
posizione dominante nelle forniture a colossi come Apple, Nvidia e Qualcomm.
Qualsiasi conflitto che coinvolga Taiwan rischierebbe di interrompere la
filiera globale dei semiconduttori, causando crisi economiche a livello
mondiale. Gli Stati Uniti e l’Europa stanno cercando di ridurre la dipendenza
da Taiwan investendo in impianti propri, ma per ora l’isola rimane insostituibile
per competenze e capacità produttiva. Sul piano militare, i wargames condotti
da think tank come CSIS indicano che un’invasione cinese su larga scala sarebbe
estremamente costosa per tutte le parti coinvolte, con pesanti perdite umane e
materiali. Il CSIS, Center for Strategic and International Studies, è un centro
studi statunitense specializzato in analisi strategica, sicurezza
internazionale, economia e geopolitica, che fornisce ricerche e raccomandazioni
su queste materie. Il piano d’azione più verosimile secondo questi scenari potrebbe
essere un blocco navale e aereo per isolare Taiwan e impedire l’arrivo di aiuti.
Senza l'intervento americano, le simulazioni mostrano che la Cina potrebbe
riuscire a prendere l'isola nella maggior parte dei casi. Taiwan, dal canto
suo, vive un momento di forte identità nazionale: oltre il 60% della
popolazione si definisce taiwanese e solo una minima parte si identifica
esclusivamente come cinese. Politicamente, la maggioranza dei cittadini
preferisce mantenere un’indipendenza de facto senza proclamarla. Alle elezioni
del 2024 ha vinto il Partito Democratico Progressista (DPP), che ha però perso
la maggioranza parlamentare, generando una difficile coabitazione politica con
l’opposizione. Il dibattito interno è fortemente orientato su temi
socioeconomici (salari, energia, corruzione), piuttosto che su un confronto
diretto con Pechino. In sintesi, Taiwan rappresenta oggi un nodo cruciale sia
per l’equilibrio strategico del Pacifico, sia per la stabilità delle catene
produttive globali. La sua posizione geografica e il suo ruolo tecnologico la
rendono centrale nella rivalità tra Stati Uniti e Cina, ma allo stesso tempo ne
aumentano la vulnerabilità. Qualsiasi escalation avrebbe conseguenze globali,
motivo per cui tutte le parti in gioco – pur con visioni divergenti – si
muovono con estrema cautela. Guardando al futuro, lo scenario taiwanese rimane
profondamente incerto, sospeso tra il rischio di escalation e la volontà
diffusa di mantenere lo status quo. Tre direttrici principali potrebbero
delineare le prospettive evolutive. La prima è quella del mantenimento
dell’equilibrio attuale, sostenuto dalla deterrenza militare, dai legami
economici e da una diplomazia prudente. Questa via, pur fragile, è attualmente
preferita sia da Taiwan sia dai suoi alleati, che cercano di evitare
provocazioni dirette pur rafforzando le capacità difensive dell’isola. La
seconda ipotesi è quella di un progressivo riavvicinamento tra Taipei e
Pechino, reso possibile da un cambio di leadership o da pressioni economiche e
diplomatiche. Tuttavia, questa prospettiva appare al momento poco probabile,
sia per l’identità sempre più radicata della popolazione taiwanese, sia per la
sfiducia verso le intenzioni del Partito Comunista Cinese. Infine, il terzo
scenario – il più rischioso – è quello di un conflitto armato, scatenato da una
dichiarazione unilaterale di indipendenza o da un’iniziativa militare cinese.
Un’escalation di questo tipo avrebbe conseguenze devastanti a livello regionale
e globale, mettendo a dura prova le capacità di risposta delle potenze
coinvolte e destabilizzando profondamente l’economia mondiale, a partire dal
settore tecnologico e dalle filiere collegate. In ogni caso, il futuro di
Taiwan dipenderà da una delicata gestione multilaterale, dove ogni attore –
Cina, Stati Uniti, Giappone, ASEAN e Unione Europea – dovrà bilanciare
interessi strategici, pressione interna e responsabilità internazionale. La sfida
sarà quella di garantire la pace e la stabilità in una delle aree più sensibili
e interconnesse del pianeta, evitando che le tensioni geopolitiche si
trasformino in uno scontro aperto.
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
PAESI DELLA LEGA ARABA

TESTO SC.
domenica 25 maggio 2025
LA REALTÀ DI TAIWAN TRA CINA E STATI UNITI. TENSIONI, STRATEGIA E SCENARI FUTURI
-
VOCI FUORI DAL CORO e APPUNTI SU ISLAM E MONDO ARABO Rassegna Stampa Settimanale ...
-
ELENCO DEI POST (CLICCA SUL TITOLO - ATTENZIONE ALL'ANNO DI PUBBLICAZIONE ) AFGHANISTAN: MUJAHEDDIN, TALEBANI, STATO ISLAMICO (2018) AFR...
-
La liberazione della giornalista italiana Cecilia Sala, che, com’è noto, è avvenuta ieri dopo tre settimane di detenzione nel carcere di Evi...