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PAESI DELLA LEGA ARABA

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La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

domenica 25 maggio 2025

LA REALTÀ DI TAIWAN TRA CINA E STATI UNITI. TENSIONI, STRATEGIA E SCENARI FUTURI



 

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, l'isola di Taiwan fu affidata all’amministrazione della Repubblica di Cina, su decisione degli Alleati in seguito alla resa del Giappone. Ma nel 1949, successivamente alla vittoria comunista nella guerra civile cinese, il governo nazionalista in carica presieduto dal partito Kuomintang – che aveva contribuito alla fondazione della Repubblica dopo la caduta dell’Impero Qing – si rifugiò a Taiwan proclamando l’isola sede del governo in esilio. Da allora Taiwan è di fatto indipendente, con un proprio governo, economia e sistema democratico, ma non è ufficialmente riconosciuta come Stato sovrano dalla maggior parte dei Paesi a causa delle pressioni diplomatiche della Cina. Le attuali relazioni tra Taiwan, Cina e Stati Uniti si inseriscono in un delicato equilibrio geopolitico, in cui diplomazia, deterrenza militare e interessi economici si intrecciano strettamente. Gli Stati Uniti, pur prendendo atto del principio dell’unica Cina – cioè, la legittimità del governo di Pechino come unico rappresentante della Cina – continuano a mantenere relazioni informali con Taiwan. Forniscono armi all’isola e sostegno politico, ma senza garantire un impegno militare automatico in caso di attacco, in base alla cosiddetta ‘ambiguità strategica’. L’ex presidente Biden ha più volte affermato che gli USA interverrebbero per difendere Taiwan, salvo poi precisare che ciò non contraddice la politica di una sola Cina. Il Congresso americano ha rafforzato il sostegno a Taipei tramite il ‘Taiwan Relations Act’, ma senza creare un’alleanza di tipo NATO. La Cina considera Taiwan una provincia ribelle e ha intensificato negli ultimi anni le esercitazioni militari intorno all’isola, soprattutto in occasione di eventi politici simbolici come l’elezione del nuovo presidente taiwanese nel 2024. Nel 2025 l’esercito cinese ha persino simulato un blocco navale, con l’obiettivo di ‘intimidire’ le forze secessioniste e testare la reazione americana. Questo tipo di manovra rientra in una strategia di pressione militare crescente volta a dissuadere qualsiasi passo verso una dichiarazione formale d’indipendenza da parte di Taipei. Il Giappone, alleato chiave degli Stati Uniti, considera la stabilità di Taiwan un interesse vitale per la sicurezza nazionale. Documenti strategici prevedono la cooperazione con Washington in caso di crisi nello Stretto di Taiwan, e diversi analisti ritengono che Tokyo sarebbe pronta a intervenire in difesa dell’isola. Più cauta è la posizione dei Paesi ASEAN, che preferiscono mantenere una linea diplomatica neutrale. I Paesi ASEAN -  Indonesia, Malaysia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar, Cambogia - sono i membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico, un’organizzazione regionale fondata nel 1967 per promuovere la reciproca cooperazione economica, politica e culturale. L’ASEAN opera secondo principi di non ingerenza: per questo motivo, in questioni delicate come le eventuali crisi nello Stretto di Taiwan, l’ASEAN manterrebbe in linea di massima un atteggiamento neutrale e prudente, cercando di favorire il dialogo e la stabilità senza schierarsi apertamente. Anche negli incontri multilaterali come il summit ASEAN-Quad (Quadrilateral Security Dialogue), è stata sottolineata l’importanza di preservare la stabilità nell’area. Il ruolo economico di Taiwan, cuore pulsante dell’industria mondiale dei semiconduttori, rende il quadro ancora più complesso. Infatti, la TSMC (Taiwan Semiconductor Manufacturing Company), maggiore produttrice globale di chip avanzati, ha una posizione dominante nelle forniture a colossi come Apple, Nvidia e Qualcomm. Qualsiasi conflitto che coinvolga Taiwan rischierebbe di interrompere la filiera globale dei semiconduttori, causando crisi economiche a livello mondiale. Gli Stati Uniti e l’Europa stanno cercando di ridurre la dipendenza da Taiwan investendo in impianti propri, ma per ora l’isola rimane insostituibile per competenze e capacità produttiva. Sul piano militare, i wargames condotti da think tank come CSIS indicano che un’invasione cinese su larga scala sarebbe estremamente costosa per tutte le parti coinvolte, con pesanti perdite umane e materiali. Il CSIS, Center for Strategic and International Studies, è un centro studi statunitense specializzato in analisi strategica, sicurezza internazionale, economia e geopolitica, che fornisce ricerche e raccomandazioni su queste materie. Il piano d’azione più verosimile secondo questi scenari potrebbe essere un blocco navale e aereo per isolare Taiwan e impedire l’arrivo di aiuti. Senza l'intervento americano, le simulazioni mostrano che la Cina potrebbe riuscire a prendere l'isola nella maggior parte dei casi. Taiwan, dal canto suo, vive un momento di forte identità nazionale: oltre il 60% della popolazione si definisce taiwanese e solo una minima parte si identifica esclusivamente come cinese. Politicamente, la maggioranza dei cittadini preferisce mantenere un’indipendenza de facto senza proclamarla. Alle elezioni del 2024 ha vinto il Partito Democratico Progressista (DPP), che ha però perso la maggioranza parlamentare, generando una difficile coabitazione politica con l’opposizione. Il dibattito interno è fortemente orientato su temi socioeconomici (salari, energia, corruzione), piuttosto che su un confronto diretto con Pechino. In sintesi, Taiwan rappresenta oggi un nodo cruciale sia per l’equilibrio strategico del Pacifico, sia per la stabilità delle catene produttive globali. La sua posizione geografica e il suo ruolo tecnologico la rendono centrale nella rivalità tra Stati Uniti e Cina, ma allo stesso tempo ne aumentano la vulnerabilità. Qualsiasi escalation avrebbe conseguenze globali, motivo per cui tutte le parti in gioco – pur con visioni divergenti – si muovono con estrema cautela. Guardando al futuro, lo scenario taiwanese rimane profondamente incerto, sospeso tra il rischio di escalation e la volontà diffusa di mantenere lo status quo. Tre direttrici principali potrebbero delineare le prospettive evolutive. La prima è quella del mantenimento dell’equilibrio attuale, sostenuto dalla deterrenza militare, dai legami economici e da una diplomazia prudente. Questa via, pur fragile, è attualmente preferita sia da Taiwan sia dai suoi alleati, che cercano di evitare provocazioni dirette pur rafforzando le capacità difensive dell’isola. La seconda ipotesi è quella di un progressivo riavvicinamento tra Taipei e Pechino, reso possibile da un cambio di leadership o da pressioni economiche e diplomatiche. Tuttavia, questa prospettiva appare al momento poco probabile, sia per l’identità sempre più radicata della popolazione taiwanese, sia per la sfiducia verso le intenzioni del Partito Comunista Cinese. Infine, il terzo scenario – il più rischioso – è quello di un conflitto armato, scatenato da una dichiarazione unilaterale di indipendenza o da un’iniziativa militare cinese. Un’escalation di questo tipo avrebbe conseguenze devastanti a livello regionale e globale, mettendo a dura prova le capacità di risposta delle potenze coinvolte e destabilizzando profondamente l’economia mondiale, a partire dal settore tecnologico e dalle filiere collegate. In ogni caso, il futuro di Taiwan dipenderà da una delicata gestione multilaterale, dove ogni attore – Cina, Stati Uniti, Giappone, ASEAN e Unione Europea – dovrà bilanciare interessi strategici, pressione interna e responsabilità internazionale. La sfida sarà quella di garantire la pace e la stabilità in una delle aree più sensibili e interconnesse del pianeta, evitando che le tensioni geopolitiche si trasformino in uno scontro aperto.