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PAESI DELLA LEGA ARABA

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La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 20 maggio 2025

TURCHIA, ARRIVA LA SVOLTA STORICA DEL PKK. LA SUA EVOLUZIONE E LE IMPLICAZIONI REGIONAL



Il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) fu fondato nel 1978 con l'obiettivo di stabilire uno Stato indipendente curdo. Nel 1984 avviò la lotta armata contro lo Stato turco, dando inizio a un conflitto lungo e sanguinoso che ha provocato oltre 40.000 vittime. Dopo l'arresto del leader Abdullah Öcalan nel 1999, il PKK rimodulò i propri obiettivi, ridefinendoli in direzione di un confederalismo democratico. Quest'ultimo si articola in un modello politico inclusivo e partecipativo, che propone una rete di comunità autogestite, alternative allo Stato-nazione, fondate sul decentramento, sulla democrazia diretta, sul pluralismo culturale e religioso, sulla parità di genere, sull’ecologia sociale e su un’economia cooperativa. Nel febbraio 2025 Abdullah Öcalan dal carcere ha invitato il PKK a deporre le armi e a sciogliersi, per proseguire la lotta attraverso vie politiche e democratiche. Il I marzo 2025 il PKK ha annunciato un cessate-il-fuoco unilaterale e, dopo un congresso straordinario tenutosi nel Kurdistan iracheno dal 5 al 7 maggio, il 12 maggio ha dichiarato ufficialmente lo scioglimento dell’organizzazione e la fine della lotta armata. Il processo di disarmo è stato avviato sotto la supervisione delle autorità turche e curde irachene, con punti di raccolta delle armi situati nel nord dell’Iraq. La Turchia ha accolto la decisione come un passo storico verso la pace. La svolta del PKK ha avuto ripercussioni anche sulla politica interna turca: per il presidente Erdoğan la fine della lotta armata rappresenta un’opportunità per rafforzare la propria posizione politica. Tuttavia, l'opposizione esprime preoccupazioni circa un possibile uso strumentale della pace, volto a consolidare ulteriormente il potere presidenziale senza attuare vere riforme democratiche e inclusive. La minoranza curda, rappresentata politicamente dal DEM Party (Partito della Democrazia e dell’Uguaglianza, successore dell’HDP, Partito Democratico dei Popoli), ha accolto con favore lo scioglimento, ritenendo però necessarie garanzie concrete per l’attuazione dei diritti politici, culturali e linguistici dei curdi. Il disarmo del PKK potrebbe ridurre le tensioni tra Iraq e Turchia e favorire un ritiro delle truppe turche dal Kurdistan iracheno. Le autorità curde irachene vedono questa evoluzione anche come un passo verso una maggiore stabilità regionale. La svolta del PKK si riflette sulle posizioni delle YPG (milizie armate curde attive nel nord-est della Siria), che potrebbero intraprendere anch’esse un percorso di disarmo, aprendo la strada a negoziati per una soluzione politica anche in Siria. Gli Stati Uniti, storici alleati delle forze curde in Siria, si mantengono cauti nella gestione delle nuove dinamiche, mentre la Russia osserva con favore una possibile distensione regionale. La fine della lotta armata apre nuove prospettive di pace, sviluppo economico e stabilizzazione dell’area. Tuttavia, persistono dubbi e criticità: sarà fondamentale che la Turchia accompagni il processo con riforme democratiche autentiche e con il pieno riconoscimento dei diritti della minoranza curda, per evitare che si generino nuove forme di conflitto. Gli analisti internazionali sottolineano la necessità di una “road map” politica chiara e condivisa tra il governo turco e i rappresentanti curdi, condizione indispensabile per costruire una pace stabile e duratura. Infatti, la decisione del PKK di abbandonare la lotta armata rappresenta il più significativo segnale di distensione nella storia del conflitto curdo-turco; tuttavia, perché tale svolta si traduca in una pace effettiva e sostenibile, sono necessarie scelte coraggiose da entrambe le parti. Per la Turchia la fine della minaccia armata del PKK rimuove un alibi spesso utilizzato per giustificare politiche repressive, in particolare nelle aree a maggioranza curda. In concreto il governo è ora chiamato a dimostrare attraverso azioni concrete la volontà di costruire una democrazia veramente inclusiva. Ciò significa porre fine alla criminalizzazione delle forze politiche curde legittime (come il DEM), restituire i municipi commissariati ai sindaci democraticamente eletti, garantire l’insegnamento della lingua curda e riformare in modo profondo la legislazione antiterrorismo, frequentemente usata per colpire il dissenso politico. Dal canto suo il movimento curdo si trova di fronte alla storica sfida di trasformare una lotta armata in una forza civile e democratica, capace di agire nelle istituzioni, promuovere diritti e difendere l’identità curda solo attraverso strumenti pacifici. In questo contesto la gestione del disarmo, il reinserimento sociale degli ex combattenti e la costruzione di nuovi canali di rappresentanza politica saranno elementi decisivi. Sul piano regionale la scelta del PKK può rappresentare un modello per altre formazioni armate curde, in particolare, come già detto, in Siria. Se le YPG seguiranno lo stesso percorso, si potrà aprire un dialogo tripartito tra curdi, Turchia e il futuro governo siriano. Tuttavia, le incertezze geopolitiche restano elevate, anche a causa del continuo coinvolgimento strategico di Stati Uniti e Russia. Da parte curda si richiederanno anche garanzie internazionali sul rispetto della loro autonomia politica e culturale. Infine, osservatori indipendenti come Human Rights Watch affermano che una pace duratura sarà possibile solo se la questione curda verrà affrontata come questione politica e culturale, e non più esclusivamente come un problema di sicurezza. La richiesta centrale resta invariata: il pieno riconoscimento del popolo curdo come soggetto politico legittimo all’interno della Turchia e dell’intero contesto mediorientale. In sintesi, la storica decisione del PKK può segnare l’inizio di una nuova era, ma questa opportunità potrà essere colta solo attraverso un dialogo sincero, la fine della repressione e l’avvio di un nuovo patto costituzionale e sociale. In assenza di questi elementi c’è il rischio che il vuoto lasciato dalla lotta armata venga riempito da frustrazione, radicalizzazione o nuovi focolai di tensione. La parabola del PKK, dalla sua nascita come movimento di guerriglia fino allo scioglimento formale nel 2025, riflette l’evoluzione profonda di un popolo in cerca di riconoscimento, giustizia e dignità. Questa trasformazione non è soltanto una svolta tattica, ma è un cambiamento sostanziale dell’identità politica curda, che ha scelto di affidarsi alla forza della partecipazione democratica e della mobilitazione civile. Si è già evidenziato diffusamente che – conformemente a quanto dimostra la Storia - la cessazione di un conflitto armato, per quanto significativa, non basta da sola a costruire una pace autentica, che non è solo l’assenza di guerra, ma la presenza attiva di diritti, di eguaglianza, di riconoscimento e di partecipazione. Pertanto, la Turchia ha oggi davanti a sé una occasione unica per voltare pagina e inaugurare una nuova fase della sua storia: una fase inclusiva, pluralista e fondata sul rispetto delle differenze. Questo richiederà non solo coraggio politico, spirito di riconciliazione e riforme strutturali, ma anche il superamento della logica binaria amico/nemico che ha dominato per decenni il discorso politico nazionale. Il popolo curdo da parte sua sarà chiamato a costruire con determinazione una nuova identità collettiva, basata sulla cultura, sul dialogo e sulla partecipazione democratica. Il disarmo del PKK, in questo modo, potrebbe segnare non solo la fine di un conflitto, ma l’inizio di una nuova etica politica nel Medio Oriente. Un’etica fondata sui diritti umani, sulla coesistenza pacifica e sulla giustizia storica.

Roberto Rapaccini