Il Partito dei
Lavoratori del Kurdistan (PKK) fu fondato nel 1978 con l'obiettivo di stabilire
uno Stato indipendente curdo. Nel 1984 avviò la lotta armata contro lo Stato
turco, dando inizio a un conflitto lungo e sanguinoso che ha provocato oltre
40.000 vittime. Dopo l'arresto del leader Abdullah Öcalan nel 1999, il PKK
rimodulò i propri obiettivi, ridefinendoli in direzione di un confederalismo
democratico. Quest'ultimo si articola in un modello politico inclusivo e
partecipativo, che propone una rete di comunità autogestite, alternative allo
Stato-nazione, fondate sul decentramento, sulla democrazia diretta, sul
pluralismo culturale e religioso, sulla parità di genere, sull’ecologia sociale
e su un’economia cooperativa. Nel febbraio 2025 Abdullah Öcalan dal carcere ha
invitato il PKK a deporre le armi e a sciogliersi, per proseguire la lotta
attraverso vie politiche e democratiche. Il I marzo 2025 il PKK ha annunciato
un cessate-il-fuoco unilaterale e, dopo un congresso straordinario tenutosi nel
Kurdistan iracheno dal 5 al 7 maggio, il 12 maggio ha dichiarato ufficialmente
lo scioglimento dell’organizzazione e la fine della lotta armata. Il processo
di disarmo è stato avviato sotto la supervisione delle autorità turche e curde
irachene, con punti di raccolta delle armi situati nel nord dell’Iraq. La
Turchia ha accolto la decisione come un passo storico verso la pace. La svolta
del PKK ha avuto ripercussioni anche sulla politica interna turca: per il
presidente Erdoğan la fine della lotta armata rappresenta un’opportunità per
rafforzare la propria posizione politica. Tuttavia, l'opposizione esprime
preoccupazioni circa un possibile uso strumentale della pace, volto a
consolidare ulteriormente il potere presidenziale senza attuare vere riforme
democratiche e inclusive. La minoranza curda, rappresentata politicamente dal
DEM Party (Partito della Democrazia e dell’Uguaglianza, successore dell’HDP,
Partito Democratico dei Popoli), ha accolto con favore lo scioglimento,
ritenendo però necessarie garanzie concrete per l’attuazione dei diritti
politici, culturali e linguistici dei curdi. Il disarmo del PKK potrebbe ridurre
le tensioni tra Iraq e Turchia e favorire un ritiro delle truppe turche dal
Kurdistan iracheno. Le autorità curde irachene vedono questa evoluzione anche come
un passo verso una maggiore stabilità regionale. La svolta del PKK si riflette
sulle posizioni delle YPG (milizie armate curde attive nel nord-est della
Siria), che potrebbero intraprendere anch’esse un percorso di disarmo, aprendo
la strada a negoziati per una soluzione politica anche in Siria. Gli Stati
Uniti, storici alleati delle forze curde in Siria, si mantengono cauti nella
gestione delle nuove dinamiche, mentre la Russia osserva con favore una
possibile distensione regionale. La fine della lotta armata apre nuove
prospettive di pace, sviluppo economico e stabilizzazione dell’area. Tuttavia,
persistono dubbi e criticità: sarà fondamentale che la Turchia accompagni il
processo con riforme democratiche autentiche e con il pieno riconoscimento dei
diritti della minoranza curda, per evitare che si generino nuove forme di
conflitto. Gli analisti internazionali sottolineano la necessità di una “road
map” politica chiara e condivisa tra il governo turco e i rappresentanti curdi,
condizione indispensabile per costruire una pace stabile e duratura. Infatti,
la decisione del PKK di abbandonare la lotta armata rappresenta il più
significativo segnale di distensione nella storia del conflitto curdo-turco;
tuttavia, perché tale svolta si traduca in una pace effettiva e sostenibile,
sono necessarie scelte coraggiose da entrambe le parti. Per la Turchia la fine
della minaccia armata del PKK rimuove un alibi spesso utilizzato per
giustificare politiche repressive, in particolare nelle aree a maggioranza
curda. In concreto il governo è ora chiamato a dimostrare attraverso azioni
concrete la volontà di costruire una democrazia veramente inclusiva. Ciò
significa porre fine alla criminalizzazione delle forze politiche curde
legittime (come il DEM), restituire i municipi commissariati ai sindaci
democraticamente eletti, garantire l’insegnamento della lingua curda e
riformare in modo profondo la legislazione antiterrorismo, frequentemente usata
per colpire il dissenso politico. Dal canto suo il movimento curdo si trova di
fronte alla storica sfida di trasformare una lotta armata in una forza civile e
democratica, capace di agire nelle istituzioni, promuovere diritti e difendere
l’identità curda solo attraverso strumenti pacifici. In questo contesto la
gestione del disarmo, il reinserimento sociale degli ex combattenti e la
costruzione di nuovi canali di rappresentanza politica saranno elementi
decisivi. Sul piano regionale la scelta del PKK può rappresentare un modello
per altre formazioni armate curde, in particolare, come già detto, in Siria. Se
le YPG seguiranno lo stesso percorso, si potrà aprire un dialogo tripartito tra
curdi, Turchia e il futuro governo siriano. Tuttavia, le incertezze
geopolitiche restano elevate, anche a causa del continuo coinvolgimento
strategico di Stati Uniti e Russia. Da parte curda si richiederanno anche
garanzie internazionali sul rispetto della loro autonomia politica e culturale.
Infine, osservatori indipendenti come Human Rights Watch affermano che una pace
duratura sarà possibile solo se la questione curda verrà affrontata come
questione politica e culturale, e non più esclusivamente come un problema di
sicurezza. La richiesta centrale resta invariata: il pieno riconoscimento del
popolo curdo come soggetto politico legittimo all’interno della Turchia e
dell’intero contesto mediorientale. In sintesi, la storica decisione del PKK può
segnare l’inizio di una nuova era, ma questa opportunità potrà essere colta
solo attraverso un dialogo sincero, la fine della repressione e l’avvio di un
nuovo patto costituzionale e sociale. In assenza di questi elementi c’è il
rischio che il vuoto lasciato dalla lotta armata venga riempito da
frustrazione, radicalizzazione o nuovi focolai di tensione. La parabola del
PKK, dalla sua nascita come movimento di guerriglia fino allo scioglimento
formale nel 2025, riflette l’evoluzione profonda di un popolo in cerca di
riconoscimento, giustizia e dignità. Questa trasformazione non è soltanto una
svolta tattica, ma è un cambiamento sostanziale dell’identità politica curda,
che ha scelto di affidarsi alla forza della partecipazione democratica e della
mobilitazione civile. Si è già evidenziato diffusamente che – conformemente a
quanto dimostra la Storia - la cessazione di un conflitto armato, per quanto
significativa, non basta da sola a costruire una pace autentica, che non è solo
l’assenza di guerra, ma la presenza attiva di diritti, di eguaglianza, di
riconoscimento e di partecipazione. Pertanto, la Turchia ha oggi davanti a sé
una occasione unica per voltare pagina e inaugurare una nuova fase della sua
storia: una fase inclusiva, pluralista e fondata sul rispetto delle differenze.
Questo richiederà non solo coraggio politico, spirito di riconciliazione e
riforme strutturali, ma anche il superamento della logica binaria amico/nemico
che ha dominato per decenni il discorso politico nazionale. Il popolo curdo da
parte sua sarà chiamato a costruire con determinazione una nuova identità
collettiva, basata sulla cultura, sul dialogo e sulla partecipazione
democratica. Il disarmo del PKK, in questo modo, potrebbe segnare non solo la
fine di un conflitto, ma l’inizio di una nuova etica politica nel Medio
Oriente. Un’etica fondata sui diritti umani, sulla coesistenza pacifica e sulla
giustizia storica.
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
PAESI DELLA LEGA ARABA

TESTO SC.
martedì 20 maggio 2025
TURCHIA, ARRIVA LA SVOLTA STORICA DEL PKK. LA SUA EVOLUZIONE E LE IMPLICAZIONI REGIONAL
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