RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

sabato 17 maggio 2025

TRUMP, SIRIA E ISRAELE È UNA SCOMMESSA, I RISCHI DELLA NUOVA DIPLOMAZIA AMERICANA



Il 14 maggio 2025 un incontro storico ha segnato una svolta inattesa nella politica estera degli Stati Uniti: il presidente Donald Trump ha incontrato a Riad, in Arabia Saudita, il presidente siriano Ahmed al-Sharaa, figura emergente e controversa della Siria post-Assad. Si tratta del primo faccia a faccia tra i leader dei due Paesi in un quarto di secolo. Durante il vertice Trump ha annunciato di promuovere la revoca immediata di tutte le sanzioni statunitensi contro la Siria. Al centro dell’incontro anche la possibilità di includere la Siria negli Accordi di Abramo, ossia nel percorso di normalizzazione delle relazioni con Israele. Ahmed al-Sharaa non è un politico tradizionale. Conosciuto in passato come Abu Mohammed al-Jolani, fu comandante di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), gruppo jihadista nato da una costola di al-Qaeda. Dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad nel 2024 al-Sharaa è riuscito ad accreditarsi come il nuovo leader della Siria, approfittando del vuoto di potere e della stanchezza della popolazione dopo oltre un decennio di guerra civile. Negli ultimi mesi ha intrapreso una campagna di legittimazione internazionale, adottando un profilo più istituzionale e lanciando segnali di apertura verso i Paesi del Golfo, la Turchia e persino gli Stati Uniti. Resta un leader divisivo: per alcuni è un personaggio pragmatico che può riportare ordine in Siria; per altri è solo un ex fondamentalista che ha cambiato abito ma non ideologia. La decisione di Trump di riabilitare la Siria si inserisce in una strategia più ampia di ridisegno dell’architettura mediorientale, iniziata già durante il suo primo mandato con gli Accordi di Abramo, che hanno portato Emirati Arabi, Bahrein, Marocco e Sudan a stabilire relazioni ufficiali con Israele. Trump ha definito al-Sharaa un giovane leader forte, affermando che la Siria merita una possibilità di rinascita: revocare le sanzioni è un passo necessario per premiare il cambiamento e favorire la ricostruzione del Paese. Sebbene non sia stata ancora formalizzata una normalizzazione tra Siria e Israele, fonti vicine alla Casa Bianca parlano di trattative riservate in corso. La mossa di Trump ha suscitato reazioni contrastanti. Israele ha accolto la notizia con freddezza e preoccupazione, temendo che la legittimazione di al-Sharaa possa rivelarsi un boomerang. Il suo passato militante – legato, come accennato, a gruppi fondamentalisti jihadisti - rappresenta ancora un ostacolo per la fiducia. Arabia Saudita e Turchia sembrano invece ben disposte a includere la Siria in un nuovo ordine regionale, anche per arginare l’influenza iraniana. L’Unione Europea, pur cauta, vede nella revoca delle sanzioni una possibile leva per spingere Damasco verso riforme strutturali e una transizione più stabile. La revoca delle sanzioni apre alla Siria la possibilità di tornare nella Lega Araba, attrarre investimenti stranieri e riattivare rapporti commerciali. La ricostruzione infrastrutturale e urbana, stimata in oltre 300 miliardi di dollari, potrebbe ricevere nuovo slancio. Se la Siria si avvicinerà realmente ad Israele, ciò costituirebbe un terremoto geopolitico. Non solo perché storicamente i due Paesi sono formalmente in guerra, ma anche perché la Siria è stata — per decenni — una pedina dell’asse sciita guidato dall’Iran. Un riavvicinamento a Washington segnerebbe un clamoroso disallineamento da Teheran e da Hezbollah. Tuttavia, la legittimazione rapida di al-Sharaa solleva interrogativi etici: può un ex leader jihadista essere trasformato in interlocutore politico senza una vera transizione democratica, senza giustizia per i crimini del passato e senza garanzie per le minoranze interne? Il gesto di Trump è audace, ma rischioso. Il presidente scommette sulla realpolitik come motore del cambiamento: se un leader è utile alla stabilità, allora va integrato, a prescindere dal suo passato. È una visione pragmatica che può portare a successi a breve termine — come la riduzione delle tensioni regionali e il rilancio economico siriano — ma che potrebbe rivelarsi miope se non accompagnata da un vero processo di riforma interna. In fondo, il rischio più grande è quello di costruire una pace apparente, basata su interessi immediati e non su riconciliazioni reali. La Siria, per molti anni epicentro del conflitto mediorientale, può davvero diventare oggi un laboratorio di pace? O assisteremo all’ennesima illusione diplomatica? Le prossime mosse di Damasco, e le reazioni delle potenze regionali, daranno risposta a questa domanda cruciale. RR