RASSEGNA STAMPA S.

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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

mercoledì 30 aprile 2025

L’ULTIMO ABBRACCIO DI PAPA FRANCESCO, UN ADDIO DOLOROSO CHE PARLA D’ETERNITÀ

 



Il 26 aprile 2025 c’è stato un momento in Piazza San Pietro, in cui il tempo sembrava sospeso. Migliaia di volti, milioni di cuori, riuniti in un unico, immenso silenzio, hanno accompagnato Papa Francesco nel suo ultimo viaggio terreno. Quel mattino la Chiesa e il mondo hanno vissuto un evento che non è stato soltanto una celebrazione funebre, ma un vero atto d’amore, un abbraccio universale. Le parole pronunciate dal cardinale Giovanni Battista Re nell’omelia sono risuonate come eco di una vita donata senza riserve. Non è un caso che sia stato designato proprio lui a dare voce a questo saluto: il decano del Collegio Cardinalizio Giovanni Battista Re, figura di grande esperienza e autorevolezza. Il cardinale Re, nato in Lombardia, formatosi alla scuola della diplomazia vaticana e poi a lungo Prefetto della Congregazione dei Vescovi, ha incarnato per decenni un servizio discreto e fedele alla Chiesa Cattolica e al Papa. Ha inoltre vissuto da vicino molte delle stagioni più importanti della Chiesa contemporanea. La sua presenza sobria, la sua lunga conoscenza degli umori della curia romana, e la sua profonda fedeltà al successore di Pietro hanno fatto di lui il prescelto per questo compito delicato: dare voce al cordoglio e alla riconoscenza di tutto il mondo cattolico. Nonostante il cuore fosse gravato dalla tristezza, la certezza della vita eterna ha guidato la celebrazione, illuminata dalla convinzione che l’esistenza non si spegne nella tomba, ma continua nella casa del Padre. È stato un evento che ha travalicato i confini della Chiesa Cattolica e ha abbracciato l’umanità intera. Il funerale di Papa Francesco, infatti, ha avuto anche una portata geopolitica straordinaria. Erano presenti tutti i grandi della terra: capi di Stato, sovrani, presidenti, leader religiosi e delegazioni ufficiali da ogni continente. Eppure, sorprendentemente, l’atmosfera che si respirava non era quella della diplomazia fredda o dell’opportunismo politico. Era un clima di grazia, di rispetto profondo, di sincera partecipazione. Non c'è stata nessuna speculazione politica, nessuna strumentalizzazione: solo il riconoscimento silenzioso e universale della grandezza spirituale di un uomo che aveva parlato con autorevole schiettezza e coraggio al cuore del mondo. Il funerale si è svolto in uno scenario di una solennità sobria, quasi francescana. Nessun trionfalismo, nessun fasto eccessivo: solo la preghiera, il silenzio, la compostezza di migliaia di persone che si sentivano parte di un'unica grande famiglia. L'intera cerimonia, compatibilmente con la sua importanza, sembrava riflettere perfettamente lo stile di Francesco, che per tutta la vita aveva chiesto una Chiesa povera per i poveri, lontana dalle mondanità. A rendere possibile questa atmosfera straordinaria è stata anche la notevole e consolidata professionalità degli appartenenti alle forze dell’ordine, che hanno saputo pianificare i dispositivi e garantire la sicurezza senza essere invasivi, proteggere senza militarizzare. Nonostante l’altissimo rischio legato alla presenza dei principali leader mondiali, la gestione è stata serenamente discreta, particolarmente attenta, sensibilmente rispettosa del dolore collettivo. Roma in quel giorno ha mostrato il suo volto migliore: una città capace di accogliere con dignità, senza tensione, senza paura. Il cardinale Re ha ricordato l’ultima immagine di Papa Francesco: appena pochi giorni prima, nella solennità di Pasqua, indebolito dalla malattia ma ancora pieno di sufficiente energia positiva, aveva voluto benedire la folla dal balcone di San Pietro, per poi scendere tra la gente. Un gesto d’amore e di vicinanza che rimarrà scolpito nel cuore della Chiesa. Subito dopo la cerimonia in piazza San Pietro, il corteo funebre ha attraversato le vie di Roma, in un percorso che ha toccato luoghi simbolici della città eterna. E, sorprendentemente, il clima che si respirava non era quello cupo del lutto, ma quello di una grande festa popolare. Le strade erano gremite di persone che applaudivano, sventolavano bandiere, lanciavano fiori al passaggio della salma. Era un popolo che non voleva dire addio, ma grazie, un popolo che celebrava la vita di chi aveva saputo incarnare l’amore di Cristo in modo autentico e vicino. Roma quel giorno non ha pianto soltanto: ha cantato la sua gratitudine. Il percorso si è concluso nella basilica di Santa Maria Maggiore, tanto amata da Papa Francesco. Qui, in un clima più riservato e raccolto, si è tenuta una seconda cerimonia, più intima. Era la chiusura perfetta per un uomo che, prima di ogni viaggio apostolico e dopo ogni ritorno, si fermava sempre a pregare ai piedi della Salus Populi Romani, affidando a Maria il suo servizio e la sua gente. La basilica accoglieva ora, per l'ultima volta, il suo pellegrino più fedele. Le preghiere sussurrate, le lacrime discrete, il silenzio carico di amore hanno reso questo momento uno dei più intensi della giornata. L’omelia del Cardinale Re aveva richiamato la pagina evangelica del dialogo tra Gesù e Pietro: “Mi ami tu più di costoro?” tracciando un parallelo con la missione di Francesco: un servizio d’amore, vissuto fino all’ultimo respiro, sulle orme del Buon Pastore. Dalla scelta del nome – Francesco – alla forza dirompente dei suoi gesti, tutto in lui ha parlato di un ritorno all’essenziale: la misericordia, l’amore per i poveri, l’incontro con l’altro. È stato il Papa delle periferie, geografiche ed esistenziali. È stato il Pontefice che non si è limitato a parlare dei migranti, ma li ha abbracciati. È stato il Santo Padre che non ha soltanto invocato la pace, ma ha osato andare nei luoghi dove il dolore sembrava avere l'ultima parola, come in Iraq nel marzo del 2021, in uno dei viaggi più coraggiosi del suo pontificato, che resterà un indelebile simbolo di speranza. Le sue encicliche – segnatamente Laudato sì, sull’ecologia integrale, sulla cura della casa comune, sul legame tra ambiente, giustizia sociale ed economia, pubblicata il 24 maggio 2015, e Fratelli tutti, sulla fraternità e l'amicizia sociale, molto influenzata dall'incontro di Abu Dhabi del 2019 con il grande Imam di al-Azhar, Ahmad al-Tayyib, pubblicata il 3 ottobre 2020 – non sono state soltanto documenti, ma inviti a una piena conversione del cuore. La casa comune, la fraternità universale, la custodia degli ultimi e della Terra: questi sono i lasciti che Francesco ci affida. Nel suo pontificato la Chiesa ha imparato a sentirsi meno palazzo e più campo da curare. Ha aperto le sue porte non ai perfetti, ma ai feriti. E forse proprio per questo il mondo, credente e non credente, oggi piange un uomo che non ha mai voluto porsi al di sopra di nessuno, ma che ha scelto l’ultimo posto, come il Vangelo insegna. Nel momento conclusivo dell’omelia, il Cardinale Re ha saputo toccare il cuore di tutti: “Caro Papa Francesco, ora siamo noi a chiederti di pregare per noi, per la Chiesa, per Roma, per il mondo intero”. Era come se l’intera umanità, unita in un’unica voce, domandasse ancora una volta la sua benedizione. Papa Francesco ci lascia il tesoro più prezioso: la testimonianza che l’amore è più forte di tutto. E che alla fine della corsa, quello che conta davvero non è quanto si è posseduto o comandato, ma quanto si è amato. E mentre il suo feretro veniva accolto dalla Basilica di Santa Maria Maggiore, sotto le volte antiche e dorate, una certezza cresceva nei cuori: non è finito il tempo di Papa Francesco. È solo cominciata la stagione della sua eredità. Un’eredità strutturata sulla misericordia, sull’umiltà, sul coraggio. Un’eredità che ora spetta a ciascuno di noi custodire e far vivere ogni giorno.

 

Roberto Rapaccini