Già durante gli anni trascorsi a
Buenos Aires come arcivescovo, Jorge Mario Bergoglio aveva maturato una
profonda sensibilità per il dialogo interreligioso con il mondo musulmano. In
Argentina vive una piccola comunità islamica, e Bergoglio aveva saputo
costruire con essa rapporti fatti di incontri personali e iniziative comuni.
Non si trattava di una strategia pensata per un palcoscenico mondiale, ma di un
atteggiamento spontaneo, fondato sull’apertura, sul rispetto reciproco e sulla
ricerca autentica di amicizia al di là delle differenze di fede. Si dava un nuovo
significato al concetto di tolleranza: l’altro non era più qualcuno da
sopportare, ma un compagno di strada con pari dignità. Quando Bergoglio è stato eletto Papa,
quella intuizione ha trovato un’affermazione strutturata: Francesco non si è
limitato a gesti simbolici, ma ha promosso iniziative concrete. Quella che in
Argentina era una prassi locale di incontro e dialogo è presto diventata un’azione
programmatica e globale, capace di coinvolgere Chiesa, istituzioni civili e
mondo islamico a livello internazionale. Pertanto, il dialogo con l'Islam non è
stato un'improvvisazione del suo pontificato: è nato dalle sue radici, è
cresciuto con la sua esperienza di vita ed è maturato fino a diventare una
priorità.
Il gesto più emblematico di questo impegno è stata la firma del Documento sulla
Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune. È stato
sottoscritto il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi, insieme al Grande Imam di
al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, una delle più influenti figure dell’Islam sunnita. In
proposito, nell’Islam non esiste
un’autorità sovraordinata in grado di manifestare posizioni ufficiali
considerata l’assenza di una struttura di vertice; tuttavia, l’università
di Al-Azhar del Cairo gode di particolare autorevolezza in quanto può
essere considerata la massima espressione del pensiero giuridico e teologico
sunnita. L’incontro è stato storico sotto molteplici aspetti: per la prima
volta un Papa metteva piede nella Penisola Arabica e lo faceva non per una
visita diplomatica, ma per testimoniare, insieme a un leader musulmano, l’unità
tra le religioni nel nome della dignità umana. Il documento, redatto in un
linguaggio accessibile e universale, afferma che la fede porta il credente a
vedere nell’altro un fratello da sostenere e da amare. È un appello alla
pace, alla giustizia, alla libertà religiosa, al rifiuto di ogni forma di
violenza perpetrata in nome di Dio. Viene condannato il terrorismo,
l'estremismo religioso, ma anche il materialismo e l'individualismo esasperato
delle società moderne. Il testo non si limita a dichiarazioni di principio, ma richiama
anche alla promozione di una cultura del dialogo, all’educazione, al rispetto
reciproco. È un invito a superare i pregiudizi e le chiusure che spesso hanno
segnato i rapporti tra cristiani e musulmani, e ad aprirsi a un nuovo
paradigma, quello della fratellanza come
fondamento di ogni autentica convivenza. Dal punto di vista geopolitico il
documento ha avuto una risonanza globale. È stato accolto positivamente dalle
Nazioni Unite, da numerose confessioni religiose e da leader civili. Nel 2020,
proprio in seguito a questo evento, l’ONU ha proclamato il 4 febbraio ‘Giornata
internazionale della fratellanza umana’, confermando l’importanza del gesto
come contributo concreto alla pace mondiale. L’appello a
respingere ogni violenza compiuta in nome di Dio è poi diventato una delle direttive
del pontificato e il punto di riferimento – anche critico – per buona parte del
mondo musulmano sunnita e sciita. In proposito, nel Corano Gesù è considerato un grande
profeta e la Vergine Maria è proclamata la più pura delle donne. In
innumerevoli catechesi Francesco ha valorizzato questi punti di contatto,
persino incoraggiando informalmente i pellegrinaggi mariani di fedeli musulmani
a Fatima, Harissa o Zeitoun. Al tempo stesso non ha ignorato i nodi: la fusione
di religione e potere nell’Islam politico, la difficoltà di riconoscere
la libertà di coscienza in ordinamenti dove la sharia resta la matrice
giuridica, la persecuzione dei cristiani in alcune aree. Qui il Papa ha ripreso
la categoria benedettina di sana laicità: un concetto che indica la giusta
autonomia della sfera politica rispetto a quella religiosa, senza però cadere
nell’indifferenza o nella reciproca ostilità fra i due ambiti. I risultati sono
rilevanti ma non cancellano le ombre: conversioni forzate, legislazioni
discriminatorie, recrudescenze jihadiste. Per opportuna chiarezza Islam e
Cristianesimo spesso vengono messi sullo stesso piano come se si trattasse di
due religioni che, pur nelle evidenti differenze, possano essere ritenute
caratterizzate da un’omogeneità di fondo. Diversamente, l’Islam, accanto alla
sua dimensione religiosa, presenta anche elementi di organizzazione
politico-sociale, in quanto la sua espansione postula l’instaurazione di
istituzioni ispirate ad un’etica confessionale. All’affermazione dell’Islam spesso
seguono esiti politici: un chiaro esempio di questo è la rivoluzione
khomeinista in Iran che nel 1979 portò all’instaurazione di un regime
teocratico. Le azioni terroristiche di matrice islamista possono essere
ritenute una degenerazione di questo atteggiamento: il ricorso alla violenza e
alla minaccia può essere considerato una scorciatoia per l’avvento di una
società ispirata ai precetti del Corano. L’adesione al Cristianesimo e le
relative attività di proselitismo invece rimangono generalmente confinate nella
sfera individuale. Anche la fede cristiana richiede ai fedeli iniziative per
estendere la condivisione del proprio modello di vita e dei principi su cui si
fonda, ma queste iniziative si esauriscono nell’ambito di un rapporto
personale. L’incontro negli Emirati Arabi ha avuto importanti seguiti. Nel
marzo 2021 il Papa è volato in Iraq, dove ha incontrato l’ayatollah Ali
al-Sistani a Najaf e ha pregato a Mosul tra le macerie lasciate dall’Isis:
scena impensabile fino a pochi anni prima. Seguiranno il Congresso dei leader
religiosi in Kazakistan nel settembre 2022, dove Francesco e al-Tayeb si sono
incontrati di nuovo per dire che nessuno può usare il nome di Dio per la
guerra, e il Forum East and West for Human Co-existence in Bahrein nel
novembre 2022. Per quanto riguarda il post-Francesco, il Conclave non ha
ancora data, ma i ritratti di possibili eredi si moltiplicano: dal filippino
Luis Antonio Tagle al francese Jean-Marc Aveline, fino all’italiano Matteo
Zuppi, figura di punta della Comunità di Sant’Egidio e stimato mediatore di
pace. Qualunque cardinale sarà eletto troverà un’infrastruttura ormai autonoma,
ovvero il Dicastero per il Dialogo Interreligioso, il Comitato di Abu Dhabi, i
tavoli congiunti su bioetica e persino sull’Intelligenza Artificiale,
rilanciati a Hiroshima nel 2024 con la Rome Call for AI Ethics. La sfida
vera sarà però spirituale: trasformare lo slancio carismatico di Bergoglio in
cultura ecclesiale permanente. Se il prossimo papa sceglierà la via della
continuità, potrà contare su ponti già edificati; se opterà per correzioni di
rotta, dovrà spiegare al mondo perché intende cambiare mentre il dialogo
islamo-cristiano dimostra di poter arginare estremismi e pulsioni identitarie. Il
testamento spirituale di Francesco afferma che
la fede fa germogliare ponti, mai muri. È un’immagine semplice, quasi da
omelia feriale, ma racchiude il cuore della sua visione: la fraternità come
antidoto alle derive belliche e terroristiche. Da oggi quell’immagine
non appartiene più a un papa; è patrimonio comune di Chiesa e Umma (la
comunità islamica), chiamate a custodirla e a costruire su di essa la pace.