Negli ultimi anni
l’Africa è tornata al centro della scena geopolitica globale, non come
protagonista ma come terreno di competizione tra potenze esterne, in
particolare Russia e Cina, che avanzano mentre l’Occidente arretra. Tra il 2023
e il 2025 una serie di golpe militari ha ridisegnato la mappa politica del
Sahel e dell’Africa occidentale destabilizzando intere aree e modificando
profondamente gli equilibri strategici. Dopo decenni di influenza la Francia è
stata progressivamente espulsa da Paesi di rilievo quali Mali, Burkina Faso e
Niger. A riempire il vuoto sono stati attori meno tradizionali: da un lato il
gruppo paramilitare russo Wagner, riorganizzato dopo la morte di Prigozhin,
dall’altro le iniziative cinesi concentrate su infrastrutture e sfruttamento minerario.
Questa nuova corsa all’Africa non è motivata solo da obiettivi politici e
militari, ma soprattutto da speculazioni economiche. L'Africa infatti custodisce
risorse fondamentali per l’economia globale del XXI secolo. Tuttavia, pur disponendo
di giacimenti di petrolio, di gas, di minerali e di terreni coltivabili l’Africa
soffre di una condizione di grave indigenza: il 40% della popolazione vive al
di sotto della soglia di povertà. Segnatamente, il continente è ricco di miniere
di litio e di cobalto - elementi essenziali per la produzione di batterie
elettriche e dispositivi elettronici - localizzate in Paesi come il Congo, lo
Zimbabwe e il Mali. L’uranio, risorsa cruciale per l’energia nucleare e quindi
per la transizione energetica, ha una delle sue principali fonti di
approvvigionamento nel Niger, che estrae il 5% circa della produzione mondiale.
Oro e rame, estratti soprattutto in Sudafrica, nel Ghana, in Mali, nella Repubblica
Democratica del Congo e nello Zambia, conservano oggi una rilevanza ancora più
marcata, rappresentando solide riserve economiche in un contesto di crescente
instabilità finanziaria. Infine, le cosiddette terre rare, indispensabili per
la realizzazione di semiconduttori, turbine eoliche e auto elettriche, sono al
centro dell'interesse di Pechino, che controlla ormai circa il 40% delle
concessioni minerarie strategiche africane. Mentre la Russia offre protezione
militare ai nuovi regimi in cambio di concessioni estrattive, la Cina utilizza
la forza dei prestiti e delle grandi opere infrastrutturali per garantirsi un
accesso privilegiato alle risorse minerarie. Nel frattempo, l’Occidente osserva
con crescente preoccupazione, ma senza una strategia efficace di risposta. I
golpe militari, giustificati spesso come liberazioni dal colonialismo, stanno
di fatto generando una nuova area di influenza, dove la trasparenza
istituzionale è sacrificata e l’instabilità si fa terreno fertile per la
crescita di gruppi jihadisti come Al-Qaeda nel Maghreb e lo Stato Islamico in
Africa Occidentale. Questo arretramento dell’Occidente non è solo il risultato
dell’iniziativa aggressiva di Mosca e Pechino, ma anche di politiche miopi e
incoerenti. Negli ultimi vent’anni, l’Europa e gli Stati Uniti hanno oscillato
tra interventi militari disordinati e programmi di cooperazione allo sviluppo
spesso percepiti dalle popolazioni locali come strumenti di imposizione
culturale più che di reale partenariato. I fallimenti nella gestione delle
missioni di peacekeeping, la lentezza nel rispondere alle esigenze
infrastrutturali e la percezione di un neocolonialismo mascherato hanno eroso
la fiducia nei confronti delle potenze occidentali. In molti Paesi africani i
giovani vedono l’Occidente come una forza che predica valori democratici, ma
che protegge élite corrotte e si disinteressa dei problemi reali come la
povertà, la disoccupazione e l’insicurezza. Questa perdita di credibilità è
stata sfruttata da Russia e Cina. Mosca si propone come il garante della
sovranità africana contro l’interferenza occidentale anche a costo di sostenere
regimi autoritari. Pechino, invece, costruisce opere visibili - come strade,
ospedali, porti - senza condizioni politiche esplicite, conquistando consensi
immediati. È all'interno di questo disincanto, cresciuto sul terreno fertile
delle promesse non mantenute, che si radica il nuovo neocolonialismo: meno
ideologico, più pragmatico, ma non meno radicale nelle sue conseguenze.
L’assenza di una visione strategica occidentale sull’Africa ha reso il
continente un terreno aperto, dove oggi si gioca una delle partite più decisive
del nostro secolo. Recuperare credibilità richiederà tempo, investimenti
concreti, e soprattutto un cambio di mentalità: considerare l’Africa non come
un problema da gestire o un mercato da sfruttare, ma come un partner paritario
nella costruzione del futuro globale. La nuova mappa dei golpe africani è
emblematica di questo cambiamento. In Mali il golpe del 2021 si è consolidato
con l'espulsione definitiva delle forze francesi nel 2023 e un riavvicinamento
strategico alla Russia. Il Burkina Faso ha vissuto un periodo ancora più
caotico: due colpi di stato tra il 2022 e il 2023 hanno aggravato la fragilità
interna, mentre i militari hanno giustificato la presa di potere come
necessaria per contrastare l’insorgenza jihadista. In Niger, considerato fino a
poco tempo fa un bastione stabile dell’Occidente, il colpo di stato del 2023 ha
rovesciato il governo filoccidentale, aprendo la strada a nuovi accordi
strategici con Mosca. Anche la Guinea, teatro di un golpe nel 2021, rimane
priva di una reale transizione democratica e continua a vivere in uno stato di
precarietà politica. Il caso del Gabon è diverso, ma significativo: il golpe
soft del 2023 ha posto fine al dominio ultradecennale della famiglia Bongo,
allineandosi comunque alla tendenza regionale di rigetto delle vecchie élite
considerate corrotte o eccessivamente dipendenti dall'Occidente. Il Ciad,
infine, è sospeso in una lunga transizione militare iniziata dopo la morte di
Idriss Déby nel 2021, con il potere ereditato dal figlio Mahamat Déby e una
democratizzazione promessa ma ancora lontana. La dinamica che emerge è chiara:
in poco tempo vaste aree del continente africano sono passate da regimi
filoccidentali a governi militari sempre più aperti verso Mosca e Pechino. Come
già accennato, questa trasformazione non riguarda solo il controllo
territoriale, ma incide direttamente sulle catene di approvvigionamento di
materie prime strategiche, fondamentali per le industrie della transizione
verde, delle tecnologie avanzate e della difesa. Oltre alla corsa alle risorse
e ai golpe militari, l’Africa è colpita da un altro fenomeno destabilizzante:
la fuga dei suoi giovani verso l’Europa. Secondo uno studio dell’ISPI a
emigrare non sono i più poveri, ma i membri della classe media, coloro che
dispongono dei mezzi per finanziare i propri viaggi clandestini. Così il
continente perde quella fascia di popolazione su cui avrebbe potuto costruire
una nuova classe dirigente autonoma e competente. Una perdita silenziosa che
alimenta ancora di più la dipendenza dall’esterno. L’Africa non è più una
periferia del mondo: è diventata il baricentro nascosto della nuova
competizione globale. Chi controllerà le sue risorse influenzerà una fetta
decisiva dell’economia futura, dai motori elettrici agli smartphone, dalle reti
energetiche alle tecnologie militari. La corsa alle risorse africane non è solo
una questione economica: è una battaglia geopolitica che determinerà chi
guiderà la transizione tecnologica del XXI secolo. La Russia e la Cina lo hanno
compreso prima degli altri. L’Occidente, se persiste nel sottovalutare
l’Africa, rischierà di svegliarsi troppo tardi. Nel frattempo, il continente
africano continua a vedere il proprio futuro deciso lontano dalle sue capitali.