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PAESI DELLA LEGA ARABA

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La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 15 aprile 2025

AFRICA, LA “NUOVA CORSA” ALLE RISORSE TRA RUSSIA, CINA E I SOLITI GOLPE MILITARI

 



Negli ultimi anni l’Africa è tornata al centro della scena geopolitica globale, non come protagonista ma come terreno di competizione tra potenze esterne, in particolare Russia e Cina, che avanzano mentre l’Occidente arretra. Tra il 2023 e il 2025 una serie di golpe militari ha ridisegnato la mappa politica del Sahel e dell’Africa occidentale destabilizzando intere aree e modificando profondamente gli equilibri strategici. Dopo decenni di influenza la Francia è stata progressivamente espulsa da Paesi di rilievo quali Mali, Burkina Faso e Niger. A riempire il vuoto sono stati attori meno tradizionali: da un lato il gruppo paramilitare russo Wagner, riorganizzato dopo la morte di Prigozhin, dall’altro le iniziative cinesi concentrate su infrastrutture e sfruttamento minerario. Questa nuova corsa all’Africa non è motivata solo da obiettivi politici e militari, ma soprattutto da speculazioni economiche. L'Africa infatti custodisce risorse fondamentali per l’economia globale del XXI secolo. Tuttavia, pur disponendo di giacimenti di petrolio, di gas, di minerali e di terreni coltivabili l’Africa soffre di una condizione di grave indigenza: il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Segnatamente, il continente è ricco di miniere di litio e di cobalto - elementi  essenziali per la produzione di batterie elettriche e dispositivi elettronici -  localizzate in Paesi come il Congo, lo Zimbabwe e il Mali. L’uranio, risorsa cruciale per l’energia nucleare e quindi per la transizione energetica, ha una delle sue principali fonti di approvvigionamento nel Niger, che estrae il 5% circa della produzione mondiale. Oro e rame, estratti soprattutto in Sudafrica, nel Ghana, in Mali, nella Repubblica Democratica del Congo e nello Zambia, conservano oggi una rilevanza ancora più marcata, rappresentando solide riserve economiche in un contesto di crescente instabilità finanziaria. Infine, le cosiddette terre rare, indispensabili per la realizzazione di semiconduttori, turbine eoliche e auto elettriche, sono al centro dell'interesse di Pechino, che controlla ormai circa il 40% delle concessioni minerarie strategiche africane. Mentre la Russia offre protezione militare ai nuovi regimi in cambio di concessioni estrattive, la Cina utilizza la forza dei prestiti e delle grandi opere infrastrutturali per garantirsi un accesso privilegiato alle risorse minerarie. Nel frattempo, l’Occidente osserva con crescente preoccupazione, ma senza una strategia efficace di risposta. I golpe militari, giustificati spesso come liberazioni dal colonialismo, stanno di fatto generando una nuova area di influenza, dove la trasparenza istituzionale è sacrificata e l’instabilità si fa terreno fertile per la crescita di gruppi jihadisti come Al-Qaeda nel Maghreb e lo Stato Islamico in Africa Occidentale. Questo arretramento dell’Occidente non è solo il risultato dell’iniziativa aggressiva di Mosca e Pechino, ma anche di politiche miopi e incoerenti. Negli ultimi vent’anni, l’Europa e gli Stati Uniti hanno oscillato tra interventi militari disordinati e programmi di cooperazione allo sviluppo spesso percepiti dalle popolazioni locali come strumenti di imposizione culturale più che di reale partenariato. I fallimenti nella gestione delle missioni di peacekeeping, la lentezza nel rispondere alle esigenze infrastrutturali e la percezione di un neocolonialismo mascherato hanno eroso la fiducia nei confronti delle potenze occidentali. In molti Paesi africani i giovani vedono l’Occidente come una forza che predica valori democratici, ma che protegge élite corrotte e si disinteressa dei problemi reali come la povertà, la disoccupazione e l’insicurezza. Questa perdita di credibilità è stata sfruttata da Russia e Cina. Mosca si propone come il garante della sovranità africana contro l’interferenza occidentale anche a costo di sostenere regimi autoritari. Pechino, invece, costruisce opere visibili - come strade, ospedali, porti - senza condizioni politiche esplicite, conquistando consensi immediati. È all'interno di questo disincanto, cresciuto sul terreno fertile delle promesse non mantenute, che si radica il nuovo neocolonialismo: meno ideologico, più pragmatico, ma non meno radicale nelle sue conseguenze. L’assenza di una visione strategica occidentale sull’Africa ha reso il continente un terreno aperto, dove oggi si gioca una delle partite più decisive del nostro secolo. Recuperare credibilità richiederà tempo, investimenti concreti, e soprattutto un cambio di mentalità: considerare l’Africa non come un problema da gestire o un mercato da sfruttare, ma come un partner paritario nella costruzione del futuro globale. La nuova mappa dei golpe africani è emblematica di questo cambiamento. In Mali il golpe del 2021 si è consolidato con l'espulsione definitiva delle forze francesi nel 2023 e un riavvicinamento strategico alla Russia. Il Burkina Faso ha vissuto un periodo ancora più caotico: due colpi di stato tra il 2022 e il 2023 hanno aggravato la fragilità interna, mentre i militari hanno giustificato la presa di potere come necessaria per contrastare l’insorgenza jihadista. In Niger, considerato fino a poco tempo fa un bastione stabile dell’Occidente, il colpo di stato del 2023 ha rovesciato il governo filoccidentale, aprendo la strada a nuovi accordi strategici con Mosca. Anche la Guinea, teatro di un golpe nel 2021, rimane priva di una reale transizione democratica e continua a vivere in uno stato di precarietà politica. Il caso del Gabon è diverso, ma significativo: il golpe soft del 2023 ha posto fine al dominio ultradecennale della famiglia Bongo, allineandosi comunque alla tendenza regionale di rigetto delle vecchie élite considerate corrotte o eccessivamente dipendenti dall'Occidente. Il Ciad, infine, è sospeso in una lunga transizione militare iniziata dopo la morte di Idriss Déby nel 2021, con il potere ereditato dal figlio Mahamat Déby e una democratizzazione promessa ma ancora lontana. La dinamica che emerge è chiara: in poco tempo vaste aree del continente africano sono passate da regimi filoccidentali a governi militari sempre più aperti verso Mosca e Pechino. Come già accennato, questa trasformazione non riguarda solo il controllo territoriale, ma incide direttamente sulle catene di approvvigionamento di materie prime strategiche, fondamentali per le industrie della transizione verde, delle tecnologie avanzate e della difesa. Oltre alla corsa alle risorse e ai golpe militari, l’Africa è colpita da un altro fenomeno destabilizzante: la fuga dei suoi giovani verso l’Europa. Secondo uno studio dell’ISPI a emigrare non sono i più poveri, ma i membri della classe media, coloro che dispongono dei mezzi per finanziare i propri viaggi clandestini. Così il continente perde quella fascia di popolazione su cui avrebbe potuto costruire una nuova classe dirigente autonoma e competente. Una perdita silenziosa che alimenta ancora di più la dipendenza dall’esterno. L’Africa non è più una periferia del mondo: è diventata il baricentro nascosto della nuova competizione globale. Chi controllerà le sue risorse influenzerà una fetta decisiva dell’economia futura, dai motori elettrici agli smartphone, dalle reti energetiche alle tecnologie militari. La corsa alle risorse africane non è solo una questione economica: è una battaglia geopolitica che determinerà chi guiderà la transizione tecnologica del XXI secolo. La Russia e la Cina lo hanno compreso prima degli altri. L’Occidente, se persiste nel sottovalutare l’Africa, rischierà di svegliarsi troppo tardi. Nel frattempo, il continente africano continua a vedere il proprio futuro deciso lontano dalle sue capitali.