RASSEGNA STAMPA S.

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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

sabato 3 giugno 2023

VELO ISLAMICO, IL CRINALE SOTTILE FRA IDENTITÀ E DIRITTO – 1. PREMESSA: COMPATIBILITÀ CON LE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI PUBBLICA SICUREZZA (5.05.2022)

 

Periodicamente si torna a parlare della compatibilità dell'abbigliamento delle donne musulmane – in particolare del velo islamico integrale - con le leggi vigenti in Italia e, più in generale, in Occidente. Preliminarmente va precisato che la scelta di indossare il niqab (il velo islamico che occulta completamente il volto) o abiti equivalenti invece dell'hijab (che copre solo i capelli) ha un carattere culturale e non religioso. Il Corano, infatti, invita le donne a vestirsi in modo sobrio e moralmente conveniente: in termini concreti la Sharia imporrebbe solo un generico dovere, che dovrebbe essere liberamente declinato sia mediante la sensibilità individuale, sia considerando le consuetudini locali. Pertanto, l'adozione di un abbigliamento che occulta l'identità è esclusivamente il prodotto di un'interpretazione integralista e particolarmente rigorosa di usi erroneamente ritenuti di matrice religiosa. In tempi recenti l'abbigliamento adottato dalle donne musulmane è divenuta anche una modalità attraverso la quale si rivendica l’appartenenza a una cultura diversa da quella occidentale, manifestando il rifiuto di un’omologazione fondata su una malintesa laicità. In Italia si potrebbe prospettare l'incompatibilità del velo islamico ‘integrale’ con le normative vigenti in materia di tutela dell’Ordine e della Pubblica Sicurezza: il velo, oltre ad impedire la riconoscibilità della persona, potrebbe anche consentire l'occultamento di armi, materiale esplodente, oggetti non consentiti.  L'art. 5 della legge 22/5/1975, contenente disposizioni a tutela dell'ordine pubblico, vieta l’uso, 'senza giustificato motivo', di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo che impedisca il riconoscimento della persona in pubblico. La norma citata come corollario pone il seguente quesito: il rispetto di un principio di carattere religioso o culturale può costituire un 'giustificato motivo' per l'adozione di un abbigliamento potenzialmente in contrasto con le esigenze di sicurezza e di ordine pubblico? In passato il Consiglio di Stato ha precisato che la matrice religiosa o culturale consente di indossare in pubblico il velo (CdS 3076/08).  Le esigenze di pubblica sicurezza sarebbero infatti soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e dall'obbligo per tali persone di sottoporsi all'identificazione e alla rimozione del velo, ove necessario. Resta fermo che tale interpretazione non esclude che in determinati luoghi o da parte di specifici ordinamenti possano essere previste, anche in via amministrativa, regole comportamentali diverse e incompatibili con il suddetto utilizzo, purché ovviamente trovino una ragionevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali esigenze. Peraltro, l’utilizzo del ‘velo che copre il volto’, o, in particolare, l’uso del burqa, non sono diretti ad evitare il riconoscimento, ma sono attuazione di una tradizione. Tuttavia, esigenze di sicurezza sopravvenute alla sopracitata pronuncia del Consiglio di Stato e correlate alla montante minaccia terroristica di matrice islamista potrebbero indurre a rivedere detto orientamento giurisprudenziale. Roberto Rapaccini