Periodicamente
si torna a parlare della compatibilità dell'abbigliamento delle donne musulmane
– in particolare del velo islamico integrale - con le leggi vigenti in Italia
e, più in generale, in Occidente. Preliminarmente va precisato che la scelta di
indossare il niqab (il velo islamico che occulta completamente
il volto) o abiti equivalenti invece dell'hijab (che copre solo i
capelli) ha un carattere culturale e non religioso. Il Corano, infatti, invita
le donne a vestirsi in modo sobrio e moralmente conveniente: in termini
concreti la Sharia imporrebbe solo un generico dovere, che
dovrebbe essere liberamente declinato sia mediante la sensibilità individuale,
sia considerando le consuetudini locali. Pertanto, l'adozione di un abbigliamento
che occulta l'identità è esclusivamente il prodotto di un'interpretazione
integralista e particolarmente rigorosa di usi erroneamente ritenuti di matrice
religiosa. In tempi recenti l'abbigliamento adottato dalle donne musulmane è
divenuta anche una modalità attraverso la quale si rivendica l’appartenenza a
una cultura diversa da quella occidentale, manifestando il rifiuto di
un’omologazione fondata su una malintesa laicità. In Italia si potrebbe
prospettare l'incompatibilità del velo islamico ‘integrale’ con le normative
vigenti in materia di tutela dell’Ordine e della Pubblica Sicurezza: il velo,
oltre ad impedire la riconoscibilità della persona, potrebbe anche consentire
l'occultamento di armi, materiale esplodente, oggetti non consentiti. L'art.
5 della legge 22/5/1975, contenente disposizioni a tutela dell'ordine pubblico,
vieta l’uso, 'senza giustificato motivo', di caschi protettivi o di qualunque
altro mezzo che impedisca il riconoscimento della persona in pubblico. La norma
citata come corollario pone il seguente quesito: il rispetto di un principio di
carattere religioso o culturale può costituire un 'giustificato motivo' per
l'adozione di un abbigliamento potenzialmente in contrasto con le esigenze di
sicurezza e di ordine pubblico? In passato il Consiglio di Stato ha precisato
che la matrice religiosa o culturale consente di indossare in pubblico il
velo (CdS 3076/08). Le esigenze di pubblica sicurezza sarebbero
infatti soddisfatte dal divieto di utilizzo in occasione di manifestazioni e
dall'obbligo per tali persone di sottoporsi all'identificazione e alla
rimozione del velo, ove necessario. Resta fermo che tale interpretazione non
esclude che in determinati luoghi o da parte di specifici ordinamenti possano
essere previste, anche in via amministrativa, regole comportamentali diverse e
incompatibili con il suddetto utilizzo, purché ovviamente trovino una
ragionevole e legittima giustificazione sulla base di specifiche e settoriali
esigenze. Peraltro, l’utilizzo del ‘velo che copre il volto’, o, in
particolare, l’uso del burqa, non sono diretti ad evitare il riconoscimento, ma
sono attuazione di una tradizione. Tuttavia, esigenze di sicurezza sopravvenute
alla sopracitata pronuncia del Consiglio di Stato e correlate alla montante
minaccia terroristica di matrice islamista potrebbero indurre a rivedere detto
orientamento giurisprudenziale. Roberto Rapaccini