Torna periodicamente di attualità la nota questione della compatibilità, con le
normative vigenti nei Paesi occidentali, dell’abbigliamento delle donne
musulmane, genericamente indicato con l’espressione di ‘velo islamico’, che in
alcune sue versioni è in grado di occultare l’identità di chi lo indossa. Il
tema è particolarmente attuale in questi giorni in cui la sicurezza dei
cittadini e il mantenimento delle condizioni che ne costituiscono il
presupposto sono di primaria importanza anche in relazione all’inizio del
Giubileo della Misericordia e alle minacce che provengono dallo Stato islamico.
Innanzitutto, l’uso di determinate tipologie di velo sembra essere una
questione culturale e non solo religiosa. Il Corano, infatti, non
prescrive un determinato tipo di velo. Nella Sura XXIV si dice: “…di’ alle
credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare, dei
loro ornamenti, se non quello che appare; di lasciar scendere una copertura fin
sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri, che ai loro mariti, ai loro
padri…”. Pertanto, non si menziona espressamente la copertura del
viso, ma si prescrive di sottrarre allo sguardo degli altri le bellezze
tipicamente femminili ovvero le forme del corpo; si tratta in sintesi di
un generico invito alla modestia nel vestire, di un dovere che, pur esprimendo
l’identità islamica della donna, va declinato culturalmente. Nell’originale
arabo del versetto si usa il termine ‘khumur’, che genericamente indica il velo
che copre la testa. In proposito, le donne di Medina nell’era preislamica erano
solite indossare il ‘khumur’ sulla testa con i due estremi legati
dietro il collo. Nella Sura XXXIII si prescrive di coprirsi con i ‘jalabib’. Il
‘jilbab’ (singolare di ‘jalabib’), era una camicia ampia, un abito più lungo
del velo: quindi l’abbigliamento completo non consisterebbe soltanto in un velo
che copre la testa, il collo e il seno, ma includerebbe anche l’abito completo
che deve essere lungo e largo. Al riguardo un sito islamico precisa che la
combinazione di una maglia corta e stretta e jeans attillati con un velo sulla
testa non rispetterebbe i requisiti del codice di abbigliamento prescritto
dalle Sure XXIV e XXXIII. In concreto si contrappone anche su questo terreno
un’interpretazione fondamentalista che privilegia l’uso di un abbigliamento
particolarmente ‘rigoroso’ prescrivendo veli che celano anche il viso, ad una
lettura meno ‘invasiva’, più adeguata ai tempi. Pertanto, l’uso in occidente
di un determinato tipo di velo non trova fondamento solo nell’adempimento di un
dovere religioso, ma è un mezzo per rivendicare l’appartenenza a una cultura
diversa e per manifestare il rifiuto dell’omologazione occidentale. A conferma
di quanto si afferma in Francia molte donne algerine che ormai sono in Europa
da diverse generazioni si sono adeguate ai costumi occidentali pur essendo di
fede islamica, mentre fra molte giovani studentesse di origine maghrebina c’è
un ritorno all’uso del velo islamico al fine di ricordare ed evidenziare le
proprie origini. Per quanto riguarda le tipologie di velo con il termine burqa si
intendono due tipi di abbigliamento: il primo è un telo, che copre l'intera
testa permettendo alla donna di vedere solo attraverso un’apertura all'altezza
degli occhi; l’altra forma, chiamata anche burqa completo o burqa
afghano, solitamente di colore blu, copre sia la testa sia il corpo;
all'altezza degli occhi può anche essere posta una retina che permette di
vedere senza scoprire gli occhi; è diffuso principalmente in Afghanistan.
Lo chador è invece un indumento tradizionale originario
dell'Iran simile ad una mantella ed è un velo indossato dalle donne quando
devono comparire in pubblico; ricopre il capo e le spalle, ma lascia scoperto
il viso, tenuto chiuso sotto il mento ad incorniciare il volto; oltre che in
Iran è molto diffuso in Medio Oriente. Il tessuto può essere chiaro o con
fantasie stampate; tuttavia, in Iran le autorità religiose consigliano che il
velo sia scuro. Il niqab è un tipo di velo che copre la figura
della donna lasciando scoperti solo gli occhi. Si compone in due parti: la
prima è formata da un fazzoletto di stoffa leggero che viene collocato al di
sotto degli occhi a coprire naso e bocca, legato al di sopra delle orecchie,
mentre la seconda parte è formata da un pezzo di stoffa molto più ampio del
primo, che nasconde i capelli e buona parte del busto; è molto usato
dalle donne saudite. È di colore nero. Esistono poi varianti locali, come
il niqab yemenita, che differiscono di poco dal modello ‘base’.
L' hijab, diffuso soprattutto in Egitto, copre solo i capelli.
Ognuna di queste tipologie di abbigliamento è dunque fortemente legata all'area
di appartenenza geografica della donna che lo indossa. Si pone il
problema della compatibilità di questo abbigliamento con gli usi
occidentali in quanto il travisamento che ne può risultare, potrebbe essere
contrario all'ordine pubblico, in quanto, oltre ad impedire la riconoscibilità
della persona, potrebbe costituire un mezzo per l'occultamento di materiale
esplodente, armi o, in ogni caso, oggetti o sostanze non consentiti. In
proposito, per quanto riguarda la legislazione italiana l'art. 2 della Legge
8/8/1977 così recita: “…è vietato l’uso di caschi protettivi o di qualunque
altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in
luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo…”.
Pertanto, il travisamento può essere consentito solo per
giustificati motivi. Ad esempio, il casco per i motociclisti o le protezioni
per determinate attività pericolose sono fuori dalla portata dell'applicazione
delle norme in quanto finalizzate al prevalente interesse della salute.
La matrice religiosa può costituire un giustificato motivo? L'interesse
individuale al rispetto delle manifestazioni esteriori del proprio credo
religioso può prevalere sulle esigenze di sicurezza e di ordine pubblico della
collettività? In proposito, sulla interpretazione della clausola ‘senza
giustificato motivo’ si è espresso il Consiglio di Stato, che ha ritenuto che
la matrice religiosa possa essere un giustificato motivo per circolare
indossando un niqab, un burqa, o un altro tipo di velo islamico che copra il
viso. Probabilmente alla luce delle attuali priorità di sicurezza, questo
parere andrebbe rivisto; non dovrebbe essere consentito il travisamento in
queste circostanze. Peraltro, in uno stato laico nell’ipotesi di conflitto fra
le norme prescritte da una fede religiosa e precetti dello Stato, generalmente
questi ultimi dovrebbero prevalere. Attualmente in Belgio e in Francia è
vigente il divieto di indossare il velo islamico in tutti i luoghi
pubblici. Nel 2014 la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo ha dichiarato
che questi provvedimenti non ledono la libertà di religione. Roberto Rapaccini