Le
divisioni dottrinali e politiche sono sempre state una fisiologica
caratteristica del mondo arabo, che spesso è stata causa di debolezza e di
mancanza di coesione strategica. È nota la massima che dice: “Gli arabi
sono d’accordo nel non essere d’accordo”; in proposito, la ‘Lega degli Stati
arabi’, che aveva come obiettivo il Panarabismo ovvero la volontà di unificare
la ‘nazione araba’ opponendosi ai nazionalismi locali attraverso il
potenziamento dei valori comuni e la difesa dalle ingerenze delle potenze
straniere, fin dalla sua creazione nel 1945 da parte di sette Paesi arabi tra
cui la Siria fu caratterizzata da insanabili discordie intestine che ne
indebolirono o paralizzarono le iniziative. Nell’attuale crisi relativa al
contrasto dell’Isis sembra invece che pericolosi contrasti dividano il fronte
che si oppone allo Stato Islamico, che nel frattempo può consolidarsi e
continuare a fare affari con le istituzioni finanziarie di alcuni dei suoi
presunti nemici. Più in particolare, mentre gli Stati sunniti sembrano solo
formalmente opporsi a Daesh, una clima di tensione da rinnovata guerra fredda
coinvolge i Paesi delle due coalizioni anti-Isis; questa situazione si traduce
in un vantaggio per il terrorismo di matrice islamica, che ha compiuto in
questi ultimi anni un salto qualitativo, avendo ora come riferimento uno Stato
- seppur ibrido - che ha un territorio e un’economia, e che propone il modello
di un regime confessionale e teocratico, che di fatto riprende e rafforza
la prospettiva mai abbandonata della ricostituzione del
Califfato. Già le accese e polarizzate discussioni in Occidente sul concetto di
Fondamentalismo e Islam ‘moderato’ non solo sembrano superate dai fatti, ma
costituiscono un vantaggio che si concede al Jihadismo,
che può attribuire la dignità ideologica di scontro di civiltà ad
un conflitto che è esclusivamente nei confronti di terroristi. Come già
specificato in altri commenti, separare l’Islam - come confessione religiosa -
dall’Isis non è una scelta solo garantista - talvolta ingenerosamente definita
‘buonista’ - ma è un’opzione di natura strategica, perché serve a circoscrivere
un nemico evitando che possa valersi di una più ampia base ideologica in grado
di suggestionare, coalizzare e mobilitare parte del mondo arabo e islamico. Per
quanto riguarda la guerra all’Isis, al di là delle dichiarazioni ufficiali dei
singoli Stati coinvolti, la situazione è di un generalizzato totale disaccordo a
vantaggio dello Stato Islamico. Gli Stati arabi e la Turchia temono che
l’Iran possa continuare ad avere nella Siria del dopo Assad un prezioso
referente nella regione e a valersi di un passaggio verso il Mediterraneo, la
Russia difende i suoi affari con l’attuale governo siriano, gli Stati Uniti e
l’Europa non hanno una chiara strategia e di fatto si oppongono ai nemici
dell’Isis, cioè combattono i nemici del nemico. Nel frattempo, i turchi
ne approfittano per bombardare i curdi, i russi per indebolire l’opposizione
siriana. Di fatto la coalizione guidata dagli Stati Uniti e la Russia si
trovano pericolosamente contrapposte. Il conflitto da latente è divenuto
manifesto con l’incidente fra Russia e Turchia, che ha instaurato una crisi da
guerra fredda destinato ad acuirsi con la possibile espansione della Nato in
Montenegro. Roberto Rapaccini