RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 6 giugno 2023

LA GEOPOLITICA DELLE EMOZIONI (20-12-2015)


Cercando di interpretare le contrapposizioni che hanno caratterizzato lo scenario internazionale nell'anno che si sta chiudendo, mi capita spesso di pensare alla geopolitica delle emozioni, oggetto di un fortunato saggio scritto qualche anno fa dallo studioso francese Dominique Moisi. Negli anni immediatamente precedenti alla pubblicazione del saggio stava acquisendo sempre più credito la tesi di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà: secondo lo studioso statunitense in futuro le fonti fondamentali di conflitto fra i popoli non sarebbero state né di natura ideologica né legate a rivendicazioni economiche, ma avrebbero trovato la loro origine nelle differenti identità religiose e culturali, che avrebbero diviso nazioni, Paesi, gruppi ed etnie. Da queste premesse risulta naturale collocare il confronto in atto fra Islam e Occidente nello scenario previsto da Huntington; tuttavia, questa tesi, che accomuna indiscriminatamente la religione musulmana al fondamentalismo, viene smentita nell'auspicio che fedi e culture diverse possano coesistere pacificamente e cooperare. Purtroppo, i fatti mostrano un incremento dell'islamismo jihadista, che fomenta divisioni anche all'interno del mondo arabo, mentre negli ambienti politici statunitensi ed europei cresce come reazione un generalizzato pregiudizio islamofobo. Inoltre, l'aumento degli attacchi contro cristiani, indù e musulmani sciiti prova che tutti i conflitti religiosi si stanno radicalizzando. La possibile veridicità della tesi di Huntington sullo scontro di civiltà spaventa perché il multiculturalismo - cioè la pacifica convivenza di religioni e culture - non è un'ingenua aspirazione buonista, ma è l'unica alternativa alla violenza, al terrorismo, alle persecuzioni, alle stragi. La geopolitica delle emozioni fornisce una chiave di lettura diversa, meno apocalittica ma altrettanto suggestiva; secondo questa tesi i conflitti attuali sarebbero radicati soprattutto su pregresse specifiche contingenze storiche, che avrebbero determinato la creazione di zone omogenee sotto il profilo delle motivazioni emozionali. In particolare, l'Occidente - considerato non in senso geografico ma come l'insieme delle aree tradizionalmente definite industrializzate, e quindi Europa occidentale, Usa, Giappone - sarebbe dominato dalla cultura della paura; i Paesi arabi e il mondo musulmano sarebbero condizionati dalla cultura dell'umiliazione, mentre la Cina, l'India e gli altri Paesi emergenti sarebbero animati dalla cultura della speranza. Lo scontro di civiltà è sostituito dallo scontro delle emozioni. Più in dettaglio, il mondo occidentale vive nel timore di perdere la propria identità a causa dei flussi migratori e delle concorrenti culture diverse. L'Europa, anche se è ossessionata dall'oblio delle proprie origini, è assillata dal rispetto per chi è portatore di valori diversi, e non raramente, in virtù di una non richiesta dissociazione dal patrimonio delle acquisizioni storiche, rinnega le proprie radici, nello specifico quelle giudaiche e quelle cristiane. A livello globale, poi, la società occidentale convive con il terrore di perdere la propria posizione etnocentrica maturata nei secoli. I disperati che vengono dai confini del mondo fuggendo una miseria inumana e le atrocità delle guerre insidiano, con una competitività dettata dalla lotta per la sopravvivenza che può degenerare in aggressività e violenza, l'ordine sociale consolidato che, seppur discutibile, inadeguato, iniquo e presupposto della cristallizzazione di conflittualità irrisolte, ha garantito nel tempo stabilità e sicurezza al sistema. Inoltre, il capitalismo finanziario e speculativo non regge l'impatto con le economie emergenti, più solide in quanto fondate su produttività e risorse, e questo crea un generale clima di precarietà. Alla paura dell'Occidente si contrappone l'umiliazione della Russia che ha vissuto il crepuscolo di un grande impero: accanto al rimpianto per un passato nel quale lo sterminato universo sovietico ha dominato la scena mondiale, c'è la volontà di riemergere, di ritrovare la grandezza pregressa, di non arrendersi al tramonto definitivo di un'indiscussa centralità nelle vicende politiche mondiali, di non soccombere alla perdita di una leadership condivisa alla pari solo con gli Stati Uniti. Anche i Paesi arabi, e più in generale il mondo musulmano, sono dominati da un sentimento di umiliazione. Questi popoli si sentono defraudati dalla Storia che non ha riconosciuto il ruolo centrale che avrebbero meritato per la loro civiltà e per l'essere portatori di una verità rivelata, quella fissata nel Corano. È maturata in essi la consapevolezza di essere stati emarginati negli ultimi decenni dalla politica mondiale, e, in ultimo, dalla globalizzazione, mentre il baricentro di qualsiasi vicenda si consumava in Occidente. Purtroppo, l'umiliazione può essere il presupposto di reazioni devastanti, può degenerare in odio come le derive jihadiste dimostrano. L’Asia, invece, anche se versa in condizioni di capillare arretratezza e povertà, è animata dalla speranza che si radica sulla fondata aspirazione ad una prosperità futura, alimentata da un'economia in pieno sviluppo, mentre quella delle altre aree del mondo vive una pericolosa stagnazione; questo sostiene la voglia di progresso e la volontà di riuscire, mentre l'ottimismo è un prezioso tonico per i mercati finanziari. Cina e India sono le punte avanzate di questa condizione; sembra che abbiano fatto propria la suggestiva massima di Lao Tse, che rivolgo ad ognuno come augurio per il prossimo anno: "Un viaggio di mille chilometri incomincia sempre con un piccolo passo". Roberto Rapaccini