Lo
schema delle alleanze nell'area mediorientale è molto contraddittorio. Nello
Yemen il conflitto ha natura locale. I ribelli Houthi agiscono con l'appoggio
dell'l'Iran, che solidarizza con la minoranza dei ribelli sciiti non solo per
motivi religiosi, ma al fine di assicurarsi un ruolo nell'area del Golfo
e, attraverso lo Yemen, di conseguire una posizione privilegiata per gestire i
propri interessi in Africa. Contro gli Houthi, e soprattutto contro il 'nemico'
iraniano, si sono mobilitate le monarchie del Golfo ed altri Paesi sunniti
(segnatamente l'Egitto, gli Emirati, il Qatar), guidati dall'Arabia Saudita.
Gli Stati Uniti sostengono logisticamente questa coalizione inviando scorte di
armi e munizioni. Di fatto gli Usa nello Yemen sono indirettamente contrapposti
all'Iran, con il quale tuttavia sta nascendo un possibile idillio politico ed
economico conseguente all'accordo sul nucleare; inoltre, l'Iran è di fatto un
alleato degli Usa contro l'Isis in Iraq. Al Qaeda nella Penisola
Araba (AQAP) approfitta del caos per gestire il proprio potere. Il movimento
terroristico, se poi - come preannunciato - confluirà nell'Isis, di fatto
diverrà un suo emissario ed il suo referente nella regione. Nello stesso
tempo la fazione yemenita di Al Qaeda sostiene Al Shaabab, il gruppo di
miliziani fondamentalisti di matrice islamica sunnita che in Kenya ha
recentemente trucidato 150 studenti cristiani. Gli stati sunniti del Golfo
(soprattutto il Qatar), partner finanziari dell'Occidente, probabilmente sono
tra i finanziatori dell'Isis. L'Iran non ha abbandonato l'ostilità nei
confronti di Israele, anche se forse questa posizione è uno strumento per
consolidare il consenso interno dal momento che il Paese, nella sua proiezione
geopolitica esterna, sembra maggiormente interessato all'egemonia nel mondo
islamico, contrastando l'attuale leadership della monarchia saudita. L'Iran è
inoltre alleato del presidente siriano alauita (e perciò di area sciita)
Bashar al Assad, valendosi anche del gruppo Hezbollah; la Repubblica Islamica
però ha sempre finanziato in funzione antisraeliana le attività del gruppo
palestinese e sunnita di Hamas, originariamente ideologicamente legato ai
Fratelli Musulmani. In Libia la situazione è ancora più confusa; l'Egitto, impegnato
nello Yemen contro gli sciiti Houthi, ha bombardato alcune basi dei sunniti
dell'Isis, mentre le potenze occidentali, in particolare la Francia ed il Regno
Unito, dopo che con le loro attività belliche e la rimozione di Gheddafi hanno
originato l'attuale caos, sono incapaci di qualsiasi iniziativa, preda di
un insano e pavido immobilismo. Vige un pericoloso e incontrollato caos e le
minacce dell'Isis nei confronti dell'occidente sono sempre più concrete.
Conseguentemente ai tragici fatti dell'università di Garissa in Kenya
viene da chiedersi: e i cristiani? Il loro martirio ad opera della violenza
fondamentalista di matrice islamica ha assunto dimensioni
inquietanti, ma i media, con il loro effetto narcotizzante, ci
hanno abituato alle notizie di fedeli sgozzati o eliminati in massa, e ad
un senso generale di indifferenza. Inoltre, le notizie provengono da
un mondo lontano; e poi ad alcuni sembra quasi che con questo
sangue si paghino le colpe del colonialismo e di un'intrusione indebita in un
mondo culturalmente remoto, dimenticando che il proselitismo religioso,
affrancato da interessi politici ed economici, nasce dal semplice desiderio di
condividere una testimonianza senza i limiti geografici. Roberto Rapaccini