Nell’Europa
attuale nuclei di musulmani sempre più consistenti maturano la convinzione di
considerare l’Occidente il definitivo teatro della loro esistenza. Questa
consapevolezza è relativamente recente: negli anni ’60 e in tempi precedenti
gli immigrati arabi tendevano a vivere con disagio la loro ‘diversità’
culturale e religiosa nel contesto europeo allora rigidamente etnocentrico.
Cercavano di contrastare il sentimento di precaria estraneità abbandonando
spontaneamente l’abitudine di portare indumenti tradizionali per uniformarsi
alle consuetudini occidentali anche nel modo di vestire. Paradossalmente, la
sopraggiunta maggiore integrazione sociale e il carattere più stabile dell’insediamento
nella città europee hanno incoraggiato (fin dagli anni ’70) atteggiamenti
opposti, ovvero si è assistito al ritorno all’uso di abbigliamenti tradizionali
- come il niqab[i],
lo chador[ii],
il burqa[iii] e
il qamis[iv] -
come modalità esteriore per rivendicare l’appartenenza ad una cultura diversa,
e per esternare il rifiuto dell’omologazione occidentale. La Francia in questi
ultimi anni ha cercato di contrastare queste dinamiche mediante leggi che
vietano nelle scuole di indossare veli islamici[v],
soprattutto l’hijab[vi], con
il dichiarato obiettivo di limitare l’esposizione in pubblico di simboli
religiosi e nello stesso tempo perseguire la laicità dei contesti scolastici e
formativi. Più in generale nei Paesi europei continuano ad emergere segnali che
manifestano una malcelata preoccupazione nei confronti dell’Islam, che viene
generalmente ritenuto erroneamente una monade indifferenziata che minaccia
l’identità nazionale. Come generico corollario l’immigrazione è considerata un
pericolo e non una risorsa. In piena globalizzazione viene auspicato il
ripristino delle frontiere, mentre le differenze sono evidenziate in termini
negativi. La conoscenza dell’altro, soprattutto se di cultura islamica, si
realizza avendo il pregiudizio come parametro di riferimento. Al fine di
evitare conflittualità la convivenza multiculturale con la componente islamica
richiederebbe invece negoziazioni che evitino ‘zone d’ombra’. Il concetto di
passiva tolleranza - che ha sfumature vagamente discriminatorie in quanto la
benevolente accettazione dell’altro spesso presuppone un implicito giudizio di
superiorità – dovrebbe essere sostituito con un atteggiamento di attivo
riconoscimento della pari dignità dell’altro. Nel ribadire la piena vigenza dei
fondamenti sui quali si fonda l’ordinamento giuridico nazionale - salvo
che ci siano oggettive esigenze di aggiornamento – deve essere garantita a
tutti gli appartenenti alla comunità a prescindere dalle origini etniche una
reale uguaglianza nei casi concreti (ovvero non possono essere considerate
diversamente situazioni sostanzialmente uguali come anche in termini
simmetricamente opposti non possono essere trattate allo stesso modo situazioni
apparentemente uguali ma in concreto diverse). In materia di immigrazione
devono essere superate le antitetiche posizioni della demagogia politica
rigidamente polarizzata sui principi opposti dell’accoglienza generalizzata o
del respingimento indiscriminato, che strumentalizza per fini elettorali le
possibili derive conseguenti alla radicalizzazione dei due atteggiamenti.
Roberto Rapaccini
[i]Il
niqāb è un velo che copre l'intero corpo della donna, compreso il volto,
lasciando scoperti solo gli occhi.
[ii]Lo
chador è un lungo velo nero che ricopre completamente il corpo a
esclusione delle mani, dei piedi e del viso. È molto diffuso in Iran.
[iii] Il
burka (o burqa) è un abito femminile che copre interamente il corpo, compresa
la testa; una fessura, talvolta velata, all’altezza degli occhi permette alla
donna di vedere. Il burka è molto diffuso in Afghanistan.
[iv] Il
qamis è la tunica maschile. Il djellaba è la tunica munita anche di cappuccio
per proteggersi dal sole, diffusa soprattutto nel Maghreb.
[v] Nello
spirito di queste disposizioni normative transalpine i veli islamici
rappresenterebbero anche uno strumento di differenziazione discriminatoria fra
uomini e donne.
[vi] L’hijab
è un velo corto femminile, composto di una cuffia che tiene raccolti i capelli
e il velo vero e proprio che viene appoggiato su di essa e di solito viene
legato sotto il mento, avvolto intorno al collo o lasciato ricadere liberamente
sul corpo.