RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

sabato 3 giugno 2023

MUSULMANI ED EUROPA. LE CONTRADDIZIONI DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE. LA CONDIZIONE DELLA DONNA. (13.6.2022)

È noto che la donna nei contesti islamici anche europei generalmente vive in una condizione subalterna, che in alcuni tragici casi può assumere derive nefaste con risvolti criminogeni. La condizione femminile è penalizzata dai precetti islamici declinati in modo diverso a seconda delle correnti prevalenti nella realtà locali: è inquietante che questo status di inferiorità sia spesso vissuto con pacifica rassegnazione, cioè sia considerato la conseguenza di una situazione culturale consolidata, ordinaria, inevitabile. Conseguentemente il mondo musulmano – ovvero l’insieme degli Stati nei quali le disposizioni coraniche influenzano con diversa intensità le leggi - ha una potenzialità inesplorata: il contributo positivo che le donne potrebbero fornire alla vita sociale, economica e politica. Paradossalmente, se si esplorano i rapporti di genere nella società araba preislamica (fino al VII sec.), si scopre che il profeta Maometto aveva migliorato la condizione delle donne, prevedendo in loro favore diritti fino a quel momento inesistenti, nell’ambito tuttavia di uno status giuridico minoritario rispetto a quello dell’uomo. In tempi più recenti (fine XVIII/inizio XIX), molte donne musulmane hanno cominciato moderatamente a rivendicare libertà e diritti, dando vita ad un ‘femminismo islamico’, ovvero ad un movimento che si batteva contro i settori più integralisti, utilizzando come arma la necessità di una corretta esegesi del Corano e dei principi etici promossi dalle fonti del diritto islamico; tutto questo avrebbe consentito di approdare ad una sostanziale uguaglianza fra uomo e donna. Parallelamente a questo movimento, in alcuni Paesi a maggioranza islamica in tempi recenti sono state attribuite responsabilità istituzionali apicali a donne, riconoscendone un non comune valore di leadership. Alcuni esempi: Lala Shovkat è stata un importante leader politico in Azerbaigian, Benazir Bhutto, Mame Madior Boye, Tansu Çiller, sono state primo ministro rispettivamente in Pakistan, in Senegal, in Turchia, Kaqusha Jashari ha avuto un importante ruolo nel Kosovo, Megawati Sukarnoputri è un’ex presidente dell’Indonesia. Il Bangladesh è stato il secondo paese al mondo ad avere una donna (la già menzionata Benazir Bhutto) ai vertici dell’esecutivo (il primo Paese è stato l’Inghilterra nel XVI con Maria I ed Elisabetta I). Le donne musulmane europee ‘militanti’ potendo contare su una maggiore libertà hanno creato legami transnazionali mediante reti che si avvalgono delle nuove tecniche di comunicazione e di informazione per far circolare conoscenze, elaborazioni e iniziative. Il movimento delle femministe islamiche europee, qualora si inserisca nella galassia dei movimenti femministi internazionali, potrebbe costituire un prezioso valore aggiunto per la costruzione di un femminismo globale attraverso il suo peculiare contributo. Le rivendicazioni progressiste del movimento, infatti, non si rivolgono contro l’Islam ma si articolano nel suo ambito. Le donne islamiche, infatti, non si sentono vittime della religione, ma dell’affermazione di un sistema patriarcale che è il risultato di vicende storiche: sono convinte che l’Islam garantisca loro sufficienti diritti e opportunità. Non sarebbe il Corano ad imporre la sottomissione femminile, ma gli uomini mediante erronee letture e manipolazioni dei testi sacri. Il rapporto con la religione pertanto è ciò che maggiormente differenzia questo movimento rispetto al femminismo occidentale: mentre il femminismo occidentale ha radicate connotazioni laiche, quello islamico svolge la sua funzione progressista senza rinnegare il proprio retaggio confessionale, avvertendo tuttavia la necessità di una ridefinizione di alcuni valori fondanti per liberare l’Islam dalle sovrastrutture che lo hanno allontanato dai contenuti originari. In questo contesto il ritorno all’uso del velo da parte di giovani donne musulmane europee può essere considerato il simbolo di una ritrovata modernità nell’ambito dell’identità femminile islamica. Il cammino dell’emancipazione femminile di giovani donne musulmane che vivono in Europa può esprimersi anche con la rivendicazione del diritto alla libertà di vivere secondo gli usi e costumi occidentali. Purtroppo, non è raro che questi tentativi di omologazione vengano interpretati come tradimenti di una malintesa sacralità della cultura di origine ed entrino in rotta di collisione con ambienti familiari fondamentalisti e radicali con esiti drammatici, tra cui l’uccisione per mano dei propri familiari. Questi fatti, anche se sono sempre il prodotto di una follia criminale, evidenziano il fallimento di un processo di integrazione che impone una riflessione libera da idee preconcette, da oziose polarizzazioni, da un moralismo benpensante. Roberto Rapaccini