RASSEGNA STAMPA S.

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• Il Passato sarà un buon rifugio, ma il Futuro è l'unico posto dove possiamo andare. (Renzo Piano) •

PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

lunedì 5 giugno 2023

L’UNIONE, SOGNO INCOMPIUTO & PREZIOSA OPPORTUNITA’ (pubblicato su Studi Cattolici di settembre 2017)

 

 Introduzione

Gli ultimi lustri del XX secolo e l’inizio del XXI sono stati caratterizzati da grandi cambiamenti. Con la caduta del muro di Berlino (1989) e la conseguente disgregazione del blocco sovietico, è venuto meno l'antagonista per il quale era stata costituita l'Alleanza Atlantica. Fino a quando la realtà politica mondiale si era retta sul precario equilibrio Usa-Urss (l’Europa occidentale era saldamente integrata nel fronte americano), era in atto una sorta di bilanciamento tra le due potenze fondato su un ordine bipolare caratterizzato da uno stato permanente di ostilità reciproche. La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha rotto questo equilibrio, creando un'egemonia degli Usa rimasta di fatto l'unica reale superpotenza. La contrapposizione fra il mondo islamico fondamentalista e l’Occidente ha sostituito il vuoto creato dal crollo dell’Unione Sovietica, dal momento che l’Islam non è soltanto una religione ma è anche un’ideologia politica. Da questa contrapposizione si sono poi sviluppati la deriva jihadista e il terrorismo di matrice islamica. A tutto questo si è aggiunta la difficile individuazione di una strategia efficace per il contrasto della pressione dei flussi migratori provenienti dal nord Africa.  Queste contingenze sono fonti di emergenze che mettono a dura prova la coesione dell’Europa.

 

La dittatura delle minoranze

Negli Stati democratici occidentali il principio cardine è quello di maggioranza, in base al quale nell’assunzione delle determinazioni di governo la volontà espressa dai più deve essere considerata come il volere di tutti. Per evitare gli abusi delle maggioranze il principio maggioritario è sottoposto a correttivi a tutela delle minoranze. Un intellettuale libanese, spesso controcorrente, Nassim Nicolas Taleb, con un recente saggio[1] ha rilevato che i regimi occidentali attualmente sono soggetti ad un rischio opposto, ovvero a quello di essere eccessivamente condizionati dalle minoranze, che si affermano in virtù di un malinteso uso della democrazia. Attraverso alcuni rilevamenti empirici lo studioso ha concluso che alcune minoranze particolarmente attive e intransigenti necessitano solo di un’esigua percentuale (3-4%) per imporre con le loro rimostranze le proprie preferenze all’intera popolazione. Così l’improbabile può governare la nostra vita. Nello stesso tempo si produce un altro effetto, ovvero che quelle scelte sembrino volute dalla maggioranza stessa. Tali possibili derive dell’ordine democratico possono limitare l’intera collettività: questo avviene quando vere e proprie corporazioni, come specifiche categorie di lavoratori o di professionisti, per perseguire i propri obiettivi causano disagi a tutta la comunità. Ma le istanze di pochi possono anche condizionare le dinamiche istituzionali: non è raro, infatti, che piccoli gruppi politici con iniziative ostruzionistiche paralizzino l’iter parlamentare di provvedimenti normativi o ostacolino il normale svolgimento delle attività istituzionali. Tutto nel rispetto formale delle regole vigenti. Senza entrare nel merito delle specifiche questioni, queste condotte sono un corollario dell’assenza di un maturo senso dello Stato: nei momenti di crisi sarebbe opportuno sforzarsi di anteporre la prioritaria esigenza di un dialogo costruttivo fra poli opposti agli interessi di parte strutturati su differenti presupposti ideologici. Inoltre, una vera democrazia non deve diventare lo scudo di chi vuole imporre con la forza la propria volontà. Paradossalmente il potere di una minoranza non sempre ha un esito negativo, ovvero l’egoistica ipertutela di interessi particolari: la creazione o l’evoluzione di valori morali nella società, infatti, non necessariamente deriva da una più ampia base di consenso su di essi, ma può scaturire anche dalle iniziative di un ristretto numero di persone che con consentite pressioni impongono a tutti una maggiore rettitudine. Il potere delle minoranze, secondo le deduzioni politicamente scorrette di Taleb, troverebbe fondamento in un’eccessiva tolleranza e flessibilità della maggioranza. Forse questa dinamica è anche conseguenza dell’avvento della post democrazia, che ha come corollario una generale crescente passività e disaffezione dei cittadini. Come è stato rilevato da un politologo britannico[2] nei sistemi occidentali si stanno instaurando prassi che comportano una progressiva diminuzione di interesse per le vicende delle istituzioni. In un tale contesto si afferma un individualismo che impedisce l’emergere di una definita coscienza collettiva: la democrazia si avvia al tramonto mentre la società civile è sempre più lontana dalla società politica.

 

Delusioni e speranze

Il 25 marzo scorso (2017) si sono festeggiati 60 anni dagli accordi istitutivi della Comunità Economica Europea. Gli anniversari sono sempre occasione per un bilancio. Questa ricorrenza è caduta in un momento di crisi delle istituzioni comunitarie. È oggetto di riflessione innanzitutto l'influenza che negli ultimi tempi hanno esercitato le scelte finanziarie della Germania, che, per favorire la propria economia, ha promosso una politica di austerità imponendo ai Paesi membri pesanti manovre fiscali e tagli alla spesa pubblica. La conseguente spinta deflazionistica ha prodotto una riduzione della circolazione del denaro e una contrazione dei consumi, cause di una generale recessione economica e di un diffuso impoverimento. L'Unione Europea ha inoltre intrapreso con disinvoltura un allargamento verso ‘est’ passando in poco tempo da 15 a 28 Stati senza che si realizzasse una reale reciproca integrazione. In qualche occasione i nuovi Paesi hanno evidenziato un'assenza di cultura della solidarietà, componente indissolubile dello spirito comunitario. Molte aspettative che i Trattati avevano alimentato sono rimaste deluse. Con l'Accordo di Maastricht (1992) l'Europa, che in quel momento era solo una realtà economica, sarebbe dovuta diventare un'istituzione politica; questa evoluzione, che aveva come presupposto la cessione da parte di ciascun Paese di una quota della propria sovranità, non si è sufficientemente realizzata a causa di alcune egoistiche resistenze nazionali.  L'introduzione della moneta unica non preceduta dalla creazione delle opportune sovrastrutture ha penalizzato alcune economie, quella italiana in particolare. Il ritorno alla lira, tuttavia, comporterebbe pericolosi dissesti finanziari. L'ingresso nell’euro e più in generale nell'Unione Europea ha avviato processi irreversibili che non consentono un indolore ritorno al passato. Va ripristinato il ruolo di governo della Commissione Europea, che da esecutivo comunitario si è trasformata nel tempo in uno sterile e burocratico gendarme concentrato sul controllo della condotta degli Stati membri. Nel Consiglio Europeo del 22-23 giugno scorso (2017) gli Stati Membri hanno concordato sulla necessità di avviare una cooperazione strutturata in campo militare, non solo per rafforzare la sicurezza e la difesa esterna, ma anche per fornire un contributo alla pace e alla stabilità globale. La partecipazione degli Stati aderenti all’iniziativa dovrà essere coerente con i rispettivi impegni nazionali assunti nell’ambito dell’ONU e della NATO. La mancanza di cooperazione in questo ambito ha un grave costo economico in termini di duplicazioni di iniziative difensive. Se i Paesi dell’Unione potessero condividere mezzi, risorse, e condurre insieme anziché separatamente attività di ricerca, ne trarrebbero vantaggio l’efficienza e il risparmio delle finanze. Pertanto, la Commissione Europea ha proposto l’istituzione di un fondo per la difesa comune, la cui finalità quindi non sarà la creazione di un esercito europeo da impiegare anche in scenari di crisi - obiettivo ambizioso che necessita tuttavia della definizione di una più precisa base giuridica - ma la razionalizzazione dell’impiego delle risorse degli Stati in questo settore attraverso incentivi alla collaborazione. Questa iniziativa, il cui principale valore aggiunto consisterà nell’unire gli sforzi per permettere che le attività siano pianificate in maniera coordinata, costituisce un nuovo efficiente approccio che potrà essere eventualmente esteso anche ad altre aree di competenza. Ci saranno molte difficoltà da superare, non solo di carattere tecnico. Le attività in questo ambito, anche se hanno intenti solo difensivi, comportano valutazioni che per essere condivise dai Paesi membri presuppongono coesione politica e solidarietà, mentre l’Europa appare sempre più divisa. In ultimo, il malcontento può generare la tentazione di uscire dall'Unione seguendo l'esempio britannico. Si tratta di pericolose derive dagli effetti imprevedibili. L'Unione Europea resta un'irrinunciabile opportunità, che richiede tuttavia un incisivo e coraggioso processo di riforma. Come molte realtà, l'Unione Europea è un meccanismo perfetto in tempi di pace e prosperità, ma evidenzia i suoi limiti nei periodi di crisi.

 

Il politicamente scorretto

Con l'espressione politicamente corretto si indica comunemente un atteggiamento di preconcetta adesione a principi di consolidata considerazione sociale ritenuti incomprimibili ed il contestuale aprioristico rigetto di qualsiasi presunto pregiudizio che contrasti con asserite conquiste della civiltà; questi presupposti spesso bloccano il libero confronto su alcuni temi. Ne è un esempio l'ipersensibilità per le problematiche razziali o di genere che impedisce un'aperta discussione su argomenti che coinvolgono tali questioni. Al politicamente corretto si oppone il politicamente scorretto, che consiste in opzioni che si oppongono al conformismo benpensante. Un esempio pratico: da più di un decennio le società occidentali stanno attraversando una crisi economica che si riflette sulle comunità con fenomeni indotti come la diminuzione delle risorse disponibili a livello individuale e l'aumento della criminalità. Come corollario di questa situazione parte dell'opinione pubblica propone che principi etici che si ritengono aprioristicamente intangibili, come l'accoglienza indiscriminata di migranti stranieri, debbano essere rinegoziati. Molti leader politici occidentali stanno investendo su questo tratto della psicologia collettiva, cioè sulla esigenza anche subliminale di una ridefinizione del nucleo dei fondamenti che integrano il politicamente corretto. Lo fanno adottando un linguaggio aspro, brutale, fuori dagli schemi della politica tradizionale e formalmente in linea con il carattere non convenzionale dei contenuti. Queste strategie riscuotono un successo popolare: lungi dall'essere estemporanee, sono espressione di un disegno che pone in diretta correlazione il diffuso malcontento con le derive del politicamente corretto. Tuttavia, questi movimenti sono esposti ad una crisi di credibilità, che deriva dalla consapevolezza che una visione critica del politicamente corretto non possa essere imposta dall'alto, ma richiede un cambiamento culturale che maturi il discernimento individuale. 

 

Flussi migratori e multiculturalismo

La convivenza multiculturale, che a causa del costante flusso migratorio caratterizza i Paesi occidentali, impone continue negoziazioni fra i vari gruppi etnici al fine di evitare conflitti fra le diverse identità. Queste negoziazioni non possono riguardare i precetti dell’ordinamento giuridico vigente, che sono un parametro di riferimento per valutare le conseguenze della propria condotta a cui tutti devono indistintamente sottostare. A tutti gli appartenenti alla comunità deve invece essere garantita l’uguaglianza, che insieme agli altri principi illuministici della libertà e della giustizia, è il cardine delle democrazie occidentali; l’uguaglianza per essere realmente tale deve essere integrata da alcuni correttivi necessari per assicurare una reale giustizia nei casi concreti. In particolare, non possono essere trattate allo stesso modo situazioni apparentemente uguali ma in concreto diverse, mentre in maniera simmetricamente opposta non possono essere considerate diversamente situazioni uguali. In altri termini va perseguita l’uguaglianza sostanziale, non quella meramente formale. Spesso si fa riferimento alla tolleranza per indicare la predisposizione individuale da privilegiare nei rapporti interpersonali. Voltaire fondava la tolleranza sulla comprensione dell’imperfezione umana. Tutti gli uomini sbagliano, senza distinzioni di razza, di sesso, di religione, di condizioni personali e sociali; per questo, per convivere in armonia si deve essere reciprocamente indulgenti. Paradossalmente il concetto di tolleranza ha delle sfumature vagamente discriminatorie. Nella pratica, infatti, dietro la benevolente accettazione dell’altro si cela un implicito giudizio di superiorità, di diffidenza, o addirittura di biasimo o di condanna. La convivenza dovrebbe invece essere strutturata sul riconoscimento della pari dignità dell’altro. Segnatamente in materia di immigrazione la demagogia politica, rigidamente polarizzata sui principi simmetricamente opposti dell’accoglienza generalizzata o del respingimento indiscriminato, strumentalizza le possibili derive conseguenti ai due atteggiamenti, rendendo difficili approcci costruttivi che possano conciliare i principi di civile solidarietà, con i problemi di sovraffollamento e di criminalità indotta.  L’integrazione è un dovere civile, ma ha senso qualora sia reale e non si esaurisca in affermazioni di facciata da spendere per fini politici o elettorali. I mutamenti delle condizioni di vita e i costi sociali che richiede la dimensione multiculturale devono essere tali da non alimentare una contrapposizione fra i cittadini del Paese ospitante e i nuovi arrivati. Solo tenendo presenti questi presupposti e rinunciando ad alimentare l’enfasi populista di un facile buonismo o all’opposto quella ad effetto di un’inconsistente intransigenza, le questioni connesse alla convivenza multirazziale, seppur non risolte, potranno essere affrontate seriamente. 

 

I rapporti con l’Islam

Il XXI secolo è iniziato con il grave attentato di matrice islamica alle Twin Towers dell’11 settembre 2001. Questo articolo non è la sede per un’analisi dei controversi rapporti fra terrorismo e Islam. Considerando a parte gli attentati terroristici, la strumentalizzazione mediatica unita a qualche latente tentazione islamofoba con un po' di approssimazione ha trasformato vicende che avvengono nelle nostre realtà urbane, nelle quali sono coinvolti elementi provenienti da Paesi islamici, in casi paradigmatici di una manifesta conflittualità fra la cultura islamica e quella occidentale, supportando così la tesi di Samuel Huntington sullo scontro di civiltà. Secondo le deduzioni dello studioso statunitense le fonti attuali dei conflitti fra i popoli non sarebbero né di natura ideologica né legate a rivendicazioni economiche, ma troverebbero la loro origine nelle differenti identità religiose e culturali: in questo scenario andrebbe collocato questo confronto ideologico. Tale interpretazione è supportata da alcune evoluzioni che si sono manifestate nelle comunità islamiche. Negli anni ’60 i musulmani immigrati nei Paesi europei aspiravano ad integrarsi abbandonando spontaneamente l’abitudine di indossare gli indumenti tipici dei contesti nazionali di provenienza. Attualmente il ritorno da parte delle nuove generazioni all’uso del niqab, dello chador, del burqa e del qamis, non trova fondamento nell’adempimento di un dovere religioso, ma è un mezzo per rivendicare l’appartenenza a una cultura diversa e per manifestare il rifiuto dell’omologazione occidentale. Questo comportamento di ritorno alle tradizioni sembrerebbe il prodotto di un conflitto generazionale, analogamente a quello che accade nelle famiglie occidentali quando i genitori non comprendono le condotte dei figli a causa di differenti abitudini ed esperienze, o di una diversa formazione culturale o religiosa. Peraltro, in generale nei giovani si riscontrano due esigenze confliggenti che non raramente alimentano un acceso rapporto dialettico con i genitori: la necessità di ribellarsi per affermare l'originalità della propria individualità, e il bisogno autoconservativo di conformarsi ai canoni della società. Va comunque precisato che l’Islam non è soltanto una religione ma è anche una realtà geopolitica con peculiari contenuti ideologici; non può essere considerato una monade unitaria, essendo un universo estremamente articolato e composito.


Sotto attacco terroristico

Nel secolo precedente il terrorismo di matrice islamica, sebbene già attentamente seguito negli Stati Uniti, non era considerato in Europa una questione di particolare rilevanza. Le iniziative comunitarie si esaurivano nel monitorare le situazioni nazionali degli Stati membri. L’attacco agli USA nel settembre del 2001 ha evidenziato che il terrorismo di matrice islamica aveva compiuto una pericolosa evoluzione diventando una minaccia di primaria importanza per tutto il mondo occidentale, come poi la successiva lunga sequenza di attentati in Europa ha tragicamente confermato. La fede, quando è vissuta come ideologia, richiede un impegno collettivo rivolto a cambiare le strutture della società. A questo fine gruppi jihadisti si sono strutturati per promuovere con ogni mezzo, l’instaurazione di un ordine sociale nel quale le leggi civili potessero essere sostituite da un ordinamento giuridico plasmato sulla legge divina. Il terrorismo di matrice islamica è una degenerazione di questo atteggiamento: l’uso della violenza e della minaccia sono infatti una scorciatoia per l’instaurazione di una società ispirata ai precetti del Corano. È in atto una guerra asimmetrica caratterizzata dall’azione spietata e senza regole del terrorismo, che con i suoi attacchi ha l’obiettivo di modificare la normalità della nostra vita quotidiana trasformando tutti i momenti di ordinaria serenità in occasioni di paura e sofferenza.  Per contrastare efficacemente questa minaccia non è sufficiente la coordinata risposta operativa e preventiva degli apparati di intelligence e sicurezza dei Paesi occidentali, ma è opportuno che i popoli europei ritrovino solidarietà e coesione intorno ai loro valori fondanti. Roberto Rapaccini




[1] Nassim Nicolas Taleb, Il più intollerante vince: la dittatura delle minoranze, online (sito Medium), 2016.

[2] Colin Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003.