Il
sacrificio degli attentatori suicidi di matrice jihadista ci
ha abituati a ritenere che sia molto forte nell’Islam la vocazione al martirio
(lo Shaidismo) come testimonianza di fede. Va in senso opposto
l’istituto coranico della Taqiyya, che consente al musulmano
di dissimulare esteriormente la propria fede fino a rinnegarla
quando una tale condotta sia necessaria per sfuggire ad una persecuzione o ad
un pericolo attuale o imminente[i]. Anche il Kitman[ii], il silenzio,
cioè semplicemente tacere, è un atteggiamento difensivo consentito dal Corano.
Più in particolare la Sura XVI (versetto 106) stabilisce che la collera di
Allah si abbatterà sul credente che si è lasciato contaminare dalla
miscredenza, salvo che ne sia stato costretto da un pericolo e abbia conservato
nell’intimo una fede salda e convinta[iii]. Peraltro, la
tradizione riferisce che secondo il Profeta la guerra è inganno; mentire è
consentito quando il fine giustifichi i mezzi. In un passo della Sura II
(versetto 225) Allah dà il permesso di prestare falsa testimonianza e di
spergiurare[iv]. Il versetto 28
della Sura III prescrive invece ai credenti di non allearsi con gli infedeli
salvo che ci sia il timore di qualche male da parte loro[v]. Quindi in
sintesi il musulmano può dire menzogne e dissimulare con ogni mezzo il proprio
stato religioso per allontanare una minaccia o per sfuggire ad una punizione.
Poiché Maometto mette sullo stesso piano l’inviolabilità della proprietà con
l’inviolabilità della vita, la Taqiyya è consentita sia per la
protezione della propria persona e sia per quella dei beni materiali: questa
ipocrisia legale quindi si applica anche a tutela di interessi economici.
Gli Sciiti hanno spesso utilizzato questa prerogativa per sottrarsi
all’individuazione e al conseguente rischio di persecuzione da parte dei rivali
Sunniti: questa pratica avrebbe consentito al culto sciita di crescere e di
diffondersi. Un caso di Taqiyya sunnita è invece quello
dei Moriscos in Spagna, che nel XVI sec. dissimulavano la
propria fede per evitare il rischio di una conversione coatta al Cristianesimo.
Nel Cristianesimo la facoltà di negare i dogmi di fede o a compiere gesti
contrari ad essa si chiama Nicodemismo[vi]; ebbe
un’applicazione marginale e limitata al periodo delle guerre di religione tra
cattolici e protestanti successive alla Riforma nel XVI secolo. Sono
facilmente intuibili le complicazioni che questo istituto può introdurre
nell’individuazione di fondamentalisti e di potenziali terroristi di matrice
islamica. Roberto Rapaccini
[i] “I credenti
non si alleino con i miscredenti, preferendoli ai fedeli. Chi fa ciò
contraddice la religione di Allah, a meno che temiate qualche male da parte
loro. Allah vi mette in guardia nei Suoi Stessi confronti. Il divenire è verso
Allah.”
(Sura
III,Versetto 225).
[ii] Traducibile
come ‘riserva mentale’.
[iii] “Quanto a
chi rinnega Allah dopo aver creduto - eccetto colui che ne sia costretto,
mantenendo serenamente la fede in cuore - e a chi si lascia entrare in petto la
miscredenza; su di loro è la collera di Allah e avranno un castigo terribile.”
[iv] “Allah non
vi punirà per la leggerezza nei vostri giuramenti, vi punirà per ciò che i
vostri cuori avranno espresso. Allah è perdonatore paziente.”
[v] Vedi nota
1.
[vi] Da Nicodemo,
il ricco seguace del Cristo che finse di non conoscerlo sul Calvario