Recentemente
si sono svolte in Iran le elezioni per il rinnovo del Parlamento e
dell'Assemblea degli Esperti. Per comprendere il risultato delle elezioni è
necessario innanzitutto precisare la rilevanza dei due organi nella complessa
architettura 'a doppio binario' della Repubblica Islamica. Ai vertici del
regime, come strutturato a seguito della rivoluzione del 1979, c'è una diarchia
ad impronta teocratica che comporta una stretta relazione fra Stato e istituzione
religiosa. Questo assetto istituzionale ha come corollario una grande influenza
dell'organizzazione confessionale sciita sull'apparato amministrativo e di
governo. La teocrazia in tutte le sue possibili varianti, oltre ad essere
una forma di governo, è anche un sistema culturale in quanto è caratterizzata
dall'influenza della visione etica dell'elemento religioso nel tessuto sociale,
condizionandone i linguaggi, le abitudini, le pratiche quotidiane. La Guida
Suprema dello Stato iraniano è la massima autorità religiosa; sovrintende
alla designazione delle più alte cariche, oltre ad essere anche il comandante
delle forze armate. Il vertice del potere esecutivo è invece il Presidente,
che è una carica 'civile' in quanto è eletto dal popolo (ha un mandato di
4 anni che consecutivamente può essere rinnovato una sola volta): oltre a
nominare i Ministri e a presiedere il Governo, decide le leggi e le iniziative
da sottoporre all'approvazione del Parlamento. Attualmente la Guida Suprema è
l'ayatollah Khamenei, espressione di uno spirito conservatore teocratico e
reale freno al progresso, mentre il Presidente è Rouhani, animato da una
volontà riformista e di apertura verso l'occidente. L'Islam, che presiede lo
Stato islamico attraverso l'applicazione della Sharia - al
punto che il costituzionalismo di fatto non esprime, come nella tradizione
occidentale, la separazione dei poteri, ma la fedeltà ai principi divini -
introduce un'istanza statica in quanto la legge divina è immutabile e non
dipende dalle contingenti vicende umane. Al contrario la politica imprime un
carattere dinamico alle vicende della società iraniana, attraverso il
potenziale potere di cambiare che esprimono i cittadini mediante le opzioni
elettorali. Pertanto, il rapporto fra Islam e politica nel sistema iraniano è
dialettico, al contrario della coincidenza 'statica' fra i due termini che si
riscontra normalmente nei regimi islamici teocratici, generalmente di
confessione sunnita. Si realizza così in Iran una difficile sintesi fra modernità
e tradizione. L'ex presidente dell'Iran, Ali Akbar Hashemi Rafsanjani, così ha
espresso questa realtà: "Quando mai nella storia dell’Islam si è visto un
parlamento, un presidente, un ministro e un governo? In realtà l’80% di
quello che facciamo non ha precedenti nella storia dell’Islam". Le recenti
elezioni hanno riguardato l'Assemblea degli esperti e il Parlamento.
L'Assemblea degli Esperti è composta da 86 giuristi e accademici islamici
eletti ogni otto anni con suffragio universale; ha l'importante potere di
indicare ed eventualmente esautorare la Guida Suprema. Il Parlamento è composto
da 290 deputati ed esercita principalmente il potere legislativo. Le elezioni
hanno confermato un brillante successo dei riformatori e dei moderati. Pertanto,
di fatto è stata premiata la linea riformista che il Presidente Rouhani, non
senza difficoltà, ha portato avanti fin dall'inizio, seppur con cautela, con
progressiva decisione, e che si è concretizzata in una manifesta volontà di
apertura verso l'occidente e nel noto accordo per l'impiego dell'energia
nucleare per scopi civili. La conferma delle scelte del leader Rouhani
apre prospettive importanti per l'occidente, in quanto l'Iran, con il suo
impegno contro il fondamentalismo sunnita - che ha la sua punta avanzata nell'Isis
- sempre più appare come quel partner affidabile nel mondo
islamico di cui l'occidente ha un bisogno essenziale. L'Iran come passo
ulteriore dovrebbe rimuovere la sua inattuale ostilità nei confronti di
Israele. Forse arriverà anche a questo, ma sarà un cammino difficile, perché le
scelte di opportunità politica del potere centrale dovranno contrapporsi e
superare l'istintivo radicalismo che sulla questione manifesta la base
popolare. Roberto Rapaccini