Dopo
un mese, si continua a discutere sul caso 'Regeni'. Sicuramente sono molto
lodevoli le ferme rimostranze e le insistenti pressioni del Ministro Gentiloni
nei confronti del Governo egiziano affinché si faccia piena luce sull'omicidio
e siano assicurati alla giustizia i responsabili; tuttavia, è improbabile che
si giunga a qualche risultato apprezzabile. Anche qualora le autorità egiziane
avessero chiarito o stiano chiarendo nel loro ambito interno questa
vicenda che probabilmente si è consumata in una sfera di influenza degli
apparati di sicurezza egiziani, gli eventuali risultati difficilmente saranno
esternati in quanto questo equivarrebbe ad una implicita ammissione di colpa
del regime - almeno sotto il profilo oggettivo - e al riconoscimento che gli
apparati istituzionali, soprattutto i più delicati, non sono sotto il
controllo dei poteri centrali. Nonostante la forte impronta autoritaria, il
regime egiziano è significativamente indebolito dall'ostilità dei Fratelli
Mussulmani, che - messi frettolosamente (e inopportunamente) al bando
all'indomani della deposizione di Mohammed Morsi ritenuto colpevole di
aver tentato una forte islamizzazione del Paese - rappresentano una componente
molto influente che pur nella clandestinità non ha ridotto le proprie
infiltrazioni all'interno di tutte le fasce sociali, il proprio peso
nella società civile, la radicata presenza nelle istituzioni pubbliche e
private. Oltre alla pericolosità intrinseca dell'oggetto delle sue ricerche,
ovvero la raccolta di informazioni sulla realtà dei sindacati egiziani, non si
può escludere che Giulio Regeni fosse approdato a conoscenze molto sensibili
che lo avrebbero esposto a particolari rischi. Si discute anche di eventuali
responsabilità del mondo accademico, che avrebbe spinto Giulio Regeni a rendere
particolarmente incisive le sue iniziative. Il contributo in termini di dati e
di analisi che, nella conoscenza delle realtà geopolitiche, viene fornito dagli
enti accademici e da istituti privati è di grande importanza, ed è purtroppo
fisiologico che le ricerche in piena autonomia compiute sul campo - ovvero
quelle svolte risiedendo in Stati particolarmente instabili, o nei quali non vi
è sufficiente rispetto dei diritti individuali di libertà - possano
compromettere la sicurezza dei ricercatori che si dedichino ad esse. Lo stesso
avviene per l'attività giornalistica all'estero. A tale riguardo l'unica
possibilità per ridurre questi rischi, non del tutto eliminabili, è quella di
operare 'sotto l'ombrello protettivo' del proprio Paese. In proposito, gli
uffici diplomatici all'estero - Ambasciate e Consolati - hanno strutture
complesse e contatti con le autorità locali che possono in qualche modo garantire
al ricercatore di operare in condizioni di fatto di maggiore sicurezza. Sarebbe
buona prassi che chiunque per motivi professionali si trovi in uno Stato
straniero con funzioni delicate e/o che comportino contatti con le maestranze
locali, almeno informi della sua presenza le autorità diplomatiche. Tuttavia,
non sempre questo è possibile e, nel caso della ricerca scientifica, il
ricercatore potrebbe temere che questa informativa limiti la sua libertà o
comprometta la riservatezza del suo lavoro. L'ufficio diplomatico all'estero è
un centro di riferimento globale, anche per la propria sicurezza, ma questa
consapevolezza molto forte per i cittadini di altri Paesi europei che, sentendo
un forte legame nazionale quando si trovano ad operare all'estero, considerano
realmente gli uffici consolari appendici del proprio Stato, è meno avvertita
dagli italiani (si tratta di una convinzione personale sebbene suffragata da
esperienze professionali). Purtroppo, per minimizzare il rischio di chi si
trovi ad operare all'estero in realtà che possono minacciare la propria
incolumità, non sembrano esserci in concreto altre possibilità. Roberto
Rapaccini