Da
qualche mese con il titolo di 'La Palestina nei testi scolastici di Israele.
Ideologia e propaganda' è stata pubblicata l'edizione italiana dello studio
'Palestine in Israeli school books: ideology and propaganda in education', elaborato
dalla professoressa israeliana Nurit Peled-Elhanan, che insegna presso la
facoltà di scienze dell’educazione linguistica dell’Università ebraica di
Gerusalemme. Il conflitto fra lo Stato di Israele e la componente
arabo-palestinese si riflette, in tutti gli ambiti della vita civile, nella
attività di propaganda delle due entità contrapposte, a cominciare dal sistema
educativo. Prescindendo dal carattere politico della questione - in merito alla
quale ognuno può essersi legittimamente formato una propria opinione - lo
scritto, che non intende essere esclusivamente un documento descrittivo del
sistema scolastico in Israele, è particolarmente interessante in quanto
evidenzia con dovizia di esempi pratici come i testi scolastici, apparentemente
neutri, possano costituire, come precisa l'autrice, "potenti mezzi mediante
cui lo Stato può configurare le forme di percezione, classificazione,
interpretazione e memoria necessarie a determinare identità individuali e
nazionali". La studiosa ritiene che attraverso i pregiudizi che maturano
in età scolare possano strutturarsi le future ostilità fra l'etnia ebraica e
quella palestinese: conseguentemente il sistema educativo contribuirebbe a
garantire la sopravvivenza di uno Stato sostanzialmente ingiusto e non
pienamente democratico. Più precisamente l'autrice senza mezzi termini dice che
il razzismo che ha riscontrato nei testi scolastici, che ha studiato per cinque
anni, preparerebbe i giovani alle modalità del servizio militare obbligatorio,
e questo spiegherebbe il comportamento brutale dei soldati israeliani verso i
palestinesi. Attualmente, se l'istruzione tende a screditare l'immagine dei
palestinesi che vivono in una condizione di sempre maggiore isolamento, nello
stesso tempo le istituzioni sembrano comprimere il diritto degli ebrei di
criticare e protestare contro il governo. Tutto questo potrebbe confermare
l'opinione, sostenuta da alcuni, circa la frattura fra una base popolare
israeliana stanca dei contrasti interetnici e favorevole ad una loro
composizione pur nel quadro di una grande varietà di soluzioni che riflette la
complessità politica interna di Israele, e il governo, che invece, anche
attraverso il nazionalismo di cui è permeata l'istruzione, alimenta con
rigidità la tesi dell'impossibilità di un accordo. La studiosa afferma che nei
testi scolastici non vengono negate le uccisioni di palestinesi, ma vengono
prospettate come fatti 'normali', in quanto necessari per la sopravvivenza di
Israele, creando così il presupposto per un'indifferenza nei confronti della
sofferenza e del sacrificio di esseri umani. Per dovere di obiettività aggiungo
che nelle scuole palestinesi una propaganda simmetricamente opposta scredita
gli ebrei, e molti insegnanti si rifiutano di parlare dell'Olocausto. In realtà
mi sembra sempre più evidente che il futuro di Israele dipenda anche da una
pace dignitosa che garantisca una pacifica coesistenza con i palestinesi.
Su Youtube - a questo indirizzo: https://youtu.be/1pB0AhGl9l4 o clicca qui - la
professoressa Claudia M. Tresso, nota docente di lingua araba alla Facoltà di
Lingue dell'Università di Torino, presenta questa problematica in maniera
molto brillante e con qualche spunto divertente. È un documento di cui si
consiglia la visione. Roberto Rapaccini