Nella
diffusione delle idee e nel dibattito che ne segue la Rete ha ormai un ruolo
centrale. Se ne serve con professionalità lo Stato Islamico che richiama
alla jihad milioni di persone utilizzando il Web per il
proselitismo, per la diffusione delle notizie, per la rivendicazione delle
azioni; per questo l'Isis recluta non solo combattenti ma anche ingegneri
informatici. Un'abile campagna mediatica accompagna le vicende del Califfato
fin dal momento della sua proclamazione. Lo Stato Islamico, infatti, ha curato
la pubblicitaria esposizione diretta di sè stesso fin dall'inizio, anticipando
l'Occidente nella possibilità di definirlo da un altro e più obiettivo punto di
vista. In generale propaganda e pregiudizio sono termini simmetricamente
opposti ma strettamente correlati fra loro. Mentre la conoscenza dovrebbe
fornire un’immagine oggettiva, la propaganda produce una rappresentazione
migliorativa; il pregiudizio invece ne elabora una peggiorativa. In realtà
etimologicamente il pregiudizio avrebbe un’accezione neutra, sarebbe soltanto un
giudizio anticipato e superficiale, cioè non suffragato dal necessario
approfondimento; tuttavia, nella pratica il termine viene considerato solo
negativamente, ovvero come rappresentazione preconcetta e denigratoria. Gli
effetti della propaganda e il loro rapporto con i media tradizionali
sono stati approfonditi del linguista Noam Chomsky, che ha evidenziato
l’esistenza nel mondo occidentale di un monopolio delle idee di cui dispone il
potere economico attraverso l’influsso in grado di esercitare sui mass
media. Attualmente la Rete potrebbe essere un’entità antagonista a questa
situazione, perché ha la capacità di consentire a ognuno la libera espressione
del proprio punto di vista senza filtri e a basso costo. In proposito, se la
democraticità della Rete consiste principalmente nella possibilità di
sottoporre agli altri il proprio pensiero, con riferimento alla situazione
pratica questa opportunità è più teorica che reale. Penso agli articoli che di
tanto in tanto scrivo. Se riesco a piazzarli in qualche rivista
anche online, i miei scritti sono sottoposti all’attenzione di un
pubblico. Diversamente, è vero, posso pubblicarli in Rete, ma così facendo si
perdono nell’oceano digitale. Di fatto, quindi, non è cambiato nulla. Se la
libertà del Web può essere un baluardo della democrazia, la propaganda in Rete
dello Stato Islamico è espressione, tuttavia, di una fisiologica patologia di
questa nuova frontiera della comunicazione. Ad esempio, la caratteristica
libertaria del video sharing - che è la principale funzione
di Youtube - ha dato a milioni di persone, Isis compreso, la possibilità di
esprimersi senza alcun limite e con effetti non sempre socialmente
apprezzabili. Sono centinaia i video in alta definizione sia in arabo che in
inglese caricati in Rete dall'Isis, che danno l'inquietante sensazione che
pratiche medioevali si declinino attraverso un moderno uso della tecnologia. In
particolare, destano perplessità le immagini del video Flames of
War, diffuso nel 2014, - già il titolo sembra quello di un colossal -
che, realizzato in perfetto stile hollywoodiano, rappresenta le gesta di
terroristi che inneggiano alle azioni di guerra del Califfato.
Inquietante è il messaggio di chiusura coming soon (in
arrivo), come se un conflitto prossimo e la morte potessero essere oggetto di
un trailer. È naturale chiedersi come può essere impedita su
Youtube la pubblicazione di materiale di dubbia liceità. Innanzitutto, i
controlli sono finalizzati, attraverso l'automatico confronto con i contenuti
di un database, a verificare che il video non leda il copyright,
cioè il diritto d’autore, e non contenga riferimenti ad argomenti non
consentiti. Una successiva verifica riguarda il merito della
conformità del filmato a quanto prevede il regolamento della community,
al quale ogni utente deve aderire. Questa ulteriore verifica - che non riguarda
una formale violazione, ma la sostanziale infrazione del codice di
comportamento - è affidata principalmente alle segnalazioni degli utenti, in
conseguenza delle quali il video può essere bloccato dagli amministratori. Può
quindi accadere che un filmato che non leda il copyright, e non
contenga o riesca a mascherare indici di presunta illiceità, ma che abbia
contenuti profondamente offensivi, possa rimanere indisturbato in Rete finché
nessuno lo segnali. La segnalazione, a cui segue la rimozione, apre un
contenzioso nel quale chi ha caricato il video può precisare le sue ragioni. Questa
considerazione evidenziano che, se la illimitata libertà su Youtube può
essere ritenuta ormai un mito superato, la censura rimessa a segnalazioni e a
iniziative individuali può avere caratteri di arbitrarietà, eventualità, e
soprattutto di una dannosa tardività. Infatti, la pubblicazione, anche seguita
dalla rimozione, è già un danno: nel frattempo tra la pubblicazione e la
rimozione, un video può essere visto, scaricato, copiato e può circolare. Roberto
Rapaccini