Com'è
noto, lo scopo della Nato fu la creazione, al termine della Seconda
Guerra Mondiale, di un’alleanza militare a carattere difensivo, che venne
istituita in relazione alle insorgenti tensioni fra il cosiddetto mondo
occidentale e il fronte costituito dall'Unione Sovietica e i suoi Stati
satelliti. Con la 'caduta del muro di Berlino' e la conseguente
disgregazione del blocco sovietico è venuto meno l'antagonista per il quale era
stata costituita l'Alleanza Atlantica. Fino a quando la realtà politica
mondiale si era retta sull’equilibrio Usa-Urss, era in atto una sorta di
bilanciamento tra le due potenze fondato su un ordine bipolare
caratterizzato da uno stato permanente di contrapposizione e di ostilità
reciproche. La dissoluzione dell’Unione Sovietica ha rotto questo equilibrio,
creando un'egemonia degli Usa rimasta di fatto l'unica reale superpotenza: il
primato alimenta negli Usa velleità interventiste in relazione a potenziali
minacce alla sua sicurezza e a quella dell’Occidente. Chi è cresciuto nel
contesto politico della guerra fredda può tuttavia ritenere che la contrapposizione
fra il mondo islamico fondamentalista e l’Occidente abbia sostituito il vuoto
creato dal crollo dell’Unione Sovietica, dal momento che l’Islam non è soltanto
una religione ma può rappresentare una realtà geopolitica. Pertanto,
l'esistenza della Nato potrebbe trovare una nuova giustificazione nel contesto
di questo confronto, ovvero nella guerra 'asimmetrica' con il terrorismo di
matrice islamica. In relazione a questo nuovo ruolo della Nato, la presenza
dello Stato turco all'interno del Patto Atlantico (peraltro, la frontiera della
Turchia, confinando nella regione nord-orientale con l'Urss, era sede di
un'ideale continuazione del muro di Berlino) assume un significato strategico
problematico. Mentre al momento dell'adesione al Patto, la posizione della Turchia
era di indubbia vicinanza politica agli Stati occidentali, l'attuale processo
di neo-islamizzazione del Paese rende incerta la sua affidabilità dal momento
che il Paese è chiaramente allineato in favore dell'islamismo sunnita nel cui
ambito si alimenta la deriva fondamentalista di matrice islamica. Inoltre,
all'interno del Paese si sta affermando in maniera inquietante una linea
autoritaria che sta determinando un preoccupante arretramento nella tutela dei
diritti di libertà. Probabilmente il problema di fondo è quello di
comprendere se la Turchia attuale si identifichi con la politica di Erdogan -
che attraverso un processo di lungo periodo sta trasformando l'identità
geopolitica del Paese - o sia rimasta integra la sua matrice laica e filoccidentale.
La Turchia di Erdogan, che ha un ambiguo atteggiamento nei confronti dell'Isis,
vuole tornare ad essere una grande potenza mondiale cercando di acquisire
un'incontrastata egemonia nell'ambito dell'Islam sunnita - in concorrenza con
le monarchie saudite - aspirando di fatto alla ricostituzione di una aggiornata
versione del grande Califfato (il progetto neo-califfale, quindi, non è
solo dello Stato Islamico). La scomparsa dell’Unione Sovietica inoltre consente
il ripristino degli antichi collegamenti con i popoli di lingua turca dell’Asia
centrale: conseguentemente, sia da parte turca che da quella occidentale,
sembra definitivamente tramontato il pregresso interesse all'integrazione
europea, dal momento che la Turchia potrebbe diventare punto ideale di riferimento
geopolitico per uno spazio che va dalla Mongolia al Corno d’Africa. Tuttavia,
gli Usa, per frenare la deriva mediorientale di Ankara, sicuramente ritengono
di vitale importanza mantenere salde le relazioni fra il Paese e l'Occidente;
in proposito la Nato sicuramente è lo strumento più adeguato. Dopo il noto
incidente con la Russia a seguito dell'abbattimento del velivolo russo, la
Nato, dopo essersi subito dichiarata dalla parte della Turchia, sembra che si
sia frettolosamente impegnata ad aumentare la capacità di difesa dello
spazio aereo turco da potenziali minacce russe. Il referente nel mondo
islamico, che l'Occidente riteneva di poter individuare nella Turchia
kemalista, potrebbe essere in futuro l'Iran che, in quanto sciita, non vive in
una condizione di soddisfacente integrazione nel cosmo islamico, notoriamente a
prevalenza sunnita, e che, dopo l’accordo di Vienna del 14 luglio scorso,
inizia in questi giorni l'implementazione concreta della fase che segnerà
l’avvio del superamento delle sanzioni, in vigore a vari livelli dal 2006, e
che aspira ad accreditarsi come partner affidabile dell'occidente. L'anima
dell'Iran, anche se ben mascherata da un islamismo militante, è moderna e
occidentale. Teheran pullula di grattacieli, torri e ponti avveniristici,
simboli già nell’architettura di una voglia di svolta, come ha notato
acutamente un giornalista di un noto quotidiano. Sarebbe auspicabile in futuro
che l'Iran, superando le spinte che provengono dalle frange radicali di
probabile estrazione popolare, ammorbidisca anche la sua acredine con Israele
(e viceversa lo stesso faccia Israele). Sarebbe una rivoluzione di grandi
prospettive. Fantapolitica? Se si sogna da soli, è solo un sogno, se si sogna
insieme, è la realtà che comincia, dice un proverbio africano. Roberto
Rapaccini