“La
democrazia è un prodotto della cultura occidentale e non può essere applicata
per il Medio Oriente, che ha un diverso background culturale, religioso,
sociologico e storico”. Questa frase, pronunciata dal leader politico turco
Erdogan, pur non sancendo, come lo stesso Primo Ministro turco precisò
successivamente, un’inconciliabilità fra la cultura islamica e le forme di
governo democratiche; tuttavia, sottolinea che le peculiarità delle realtà
geopolitiche del vicino oriente non possono essere comprese attraverso
un’applicazione indiscriminata dei parametri occidentali. L'instabilità
che caratterizza la regione mediorientale ha una prima causa nella ripartizione
di quei territori: la delimitazione dei confini degli Stati di quell'area fu
un’invenzione della politica piuttosto che il risultato di un accorpamento di
zone affini per motivi etnici, politici e amministrativi. In linea di massima,
non vi fu coincidenza fra la configurazione amministrativa dell’impero
ottomano, e i confini degli Stati mediorientali definiti dagli accordi
internazionali. La Siria in particolare fu il risultato di un compromesso
politico fra due potenze coloniali, la Francia e il Regno Unito, che procedettero
ad una globale distribuzione delle aree del levante arabo che fino a quel
momento - il 1914 - erano state formalmente componenti dell’impero ottomano.
Oggetto di un mandato francese fino al 1945, la Siria raggiunse l’indipendenza
nel 1946, nascendo con una configurazione territoriale ridotta rispetto alla
dimensione politica e amministrativa che aveva come regione dell’impero
ottomano. Alcune zone della Siria ottomana oggi sono parte dei territori
della Giordania e del Libano, mentre ad oriente furono attribuite al nuovo
Stato siriano zone precedentemente sotto l’influenza irachena. Nel '46 in Siria
si instaurò un regime dittatoriale. Il Paese attraversò per alcuni decenni
momenti di instabilità politica; poi nel '70 si impadronì del potere Hafiz Al
Assad, esponente del partito Bath. La dittatura di Hafiz Al Assad, pur non
essendo stata particolarmente diversa da quella del suo successore il
figlio Bashar, tuttavia godette di un apprezzabile consenso. Vi fu una
stretta continuità fra i regimi dei due Assad: entrambi fondati su un rigido
controllo della popolazione, sulla repressione di qualsiasi accenno di moti
contrari e su criteri personalistici nella gestione del potere. La dinastia
degli Assad, essendo di estrazione sciita - alawita, è espressione di una minoranza
poiché la popolazione siriana è in prevalenza sunnita. Gli Alawiti vivono in
tutte le grandi città della Siria e sono 2 milioni circa, ovvero il 20% della
popolazione. Dopo le prime manifestazioni che reclamavano condizioni di
vita più eque, nel 2011 il regime di Bashar Al Assad intraprese apertamente la
via della repressione, con una conseguente drastica riduzione del consenso
popolare soprattutto nelle regioni lontane dalla capitale, distanti non solo
geograficamente ma anche politicamente, e divenute particolarmente ostili al
regime essendo penalizzate da una gestione del potere che privilegiava altre
aree del Paese. Nelle attività di repressione anche la tecnologia e
l'istruzione hanno svolto un ruolo importante: dopo essere stati
promossi l’apprendimento e l’uso di Internet e dell’inglese, si è intrapreso un
controllo capillare dell’informazione e della Rete. La Siria ha una grande
importanza strategica per l’Iran. L’Iran, com'è noto, pur essendo la maggiore
potenza islamica, soffre una condizione di isolamento dovuta all’assoluta
prevalenza nel suo territorio del credo sciita (in Iran gli Sciiti sono il 95%
della popolazione, mentre il rimanente 5% è sunnita; diversamente nel cosmo
islamico i Sunniti sono il 90% circa, mentre i seguaci dello Sciismo sono il
10% circa). Così, mentre gli altri Stati arabi mediorientali, che sono di
confessione sunnita, hanno come polo di riferimento politico e religioso
l’Arabia Saudita, potenza egemone dell’area, la Siria, il cui sovrano Bashar al
Assad - come si è detto - è sciita di confessione alawita, ha per l’Iran
una particolare importanza, in quanto è l’unico modo per il Paese persiano di
essere presente e attivo nello scenario mediorientale. L’Iran sostiene
Assad, ma, nella malaugurata ipotesi della sua caduta o ritiro, è pronto ad
un’eventuale transizione che gli sia favorevole e che gli consenta di
proteggere i propri interessi nell’area, anche contando su una rete di milizie
fedeli di stanza in Siria. Con la crisi siriana è cresciuta l’importanza strategica
del gruppo Hezbollah, un movimento fondamentalista islamico libanese di fede
sciita, alleato dell’Iran, che ha sede nel Libano. Gli Hezbollah - il termine
significa in arabo Partito di Dio - sono strutturati come un partito politico,
ma sono dotati di un’ala militare; nacquero nel 1982 come milizia armata per
contrastare l’invasione israeliana del Libano. Il partito Hezbollah svolge una
funzione filantropica finanziando servizi sociali, come scuole e ospedali;
esercita una particolare influenza politica e amministrativa soprattutto nella
parte meridionale del Libano. Gli Hezbollah sono considerati da Stati
Uniti, Egitto, Israele, Australia e Canada un’organizzazione terroristica.
Nella crisi siriana la milizia sciita Hezbollah, che combatte al fianco del regime
di Assad, è finanziata dall’Iran. Il Libano, essendo nato dall’unione di zone
eterogenee, è sempre stato politicamente e militarmente debole, e ha spesso
costituito lo scenario nel quale si sono consumate fasi di scontri fra altri
Stati. Anche il conflitto siriano attualmente sconfina nei territori libanesi.
La Siria, in proposito, permeata da uno spirito nazionalista, ha sempre
rivendicato di fatto un’egemonia sul Libano, in parte costituito da zone in
origine legate amministrativamente alla Siria ottomana. Nel Libano vivono anche
circa 100 mila Alawiti. Attualmente il Libano vive un’emergenza sociale dovuta
all’afflusso di profughi provenienti dalla vicina Siria. Il modello
multiculturale libanese può ambiziosamente indicare che l’evoluzione della
società musulmana può conseguire l'obiettivo del superamento della concezione
dello Stato confessionale, ovvero è possibile che maturi una nuova coscienza
sociale, politica e religiosa, che favorisca la definizione di una via araba
alla democrazia, mediante la costituzione di “una società del vivere insieme”,
come l'ha definita il noto intellettuale e politico libanese cristiano-maronita
Samir Frangieh. Roberto Rapaccini