Ne
2013 un esperto e noto pubblicista americano, Robin Wright, scrisse sul New
York Times un articolo, Imagining a Remapped Middle East (clikka qui), nel
quale ipotizzava che in futuro il Medio Oriente sarebbe stato oggetto di
significativi smembramenti, che avrebbero riguardato in particolare la Siria,
l'Arabia Saudita, la Libia, lo Yemen e l'Iraq. L'opinione, seppur interessante,
sembrò una delle tante analisi su un'area geopolitica soggetta a rapide ed
imprevedibili evoluzioni. Oggi, rileggendo quelle previsioni, si deve
constatare che quella profezia si è in buona parte avverata. La Libia, come
previsto, si è divisa in Cirenaica (sotto il governo laico di Tobruk,
riconosciuto a livello internazionale), la Tripolitania (con l'ascesa
dell'importanza di Misurata) e il Fezzan, l'area sud-occidentale per lo più
desertica ma ricca di petrolio. Analogamente lo Yemen è travagliato da una
guerra intestina, che di fatto lo ha diviso in due entità, un'area a nord di
influenza scita e una a sud di influenza sunnita. Per la Siria e l'Iraq Wright
ipotizzava la loro probabile disgregazione con la conseguente genesi di quattro
zone autonome, ovvero il Kurdistan (dal confine turco al Kurdistan iracheno),
lo Shiitestan, caratterizzato da una popolazione di confessione Sciita e
coincidente con il sud dell'Iraq, il Sunnistan, a prevalenza sunnita
comprendente il vasto nord-ovest dell'Iraq e parte della confinante Siria, e
l'Alawitestan, la rimanente area occidentale della Siria. Questa previsione
trova riscontro nella realtà attuale. Il Sunnistan coincide con il
sunnita Califfato dell'Isis, che ormai è organizzato come un vero e proprio
Stato, e procede nella sua avanzata territoriale. Lo Shiitestan include invece
l'area che attualmente controlla il governo di Bagdad e che di fatto è limitata
alle zone di quella regione a maggioranza sciita. L'Alawitestan è la parte
della Siria che è ancora gestita dal governo di Damasco. L'Arabia Saudita, pur
non essendo divisa, tuttavia vive un periodo di destabilizzazione; la sua
egemonia nell'area è sempre più minacciata dall'Iran. Inoltre, la monarchia
saudita potrebbe subire i venti di una tardiva primavera araba, che potrebbe
insidiare le frange del governo che sostengono l'estremismo sunnita e nello
stesso tempo contrastare l'attuale politica conservatrice che va perdendo il
pregresso indiscusso consenso. Il Kurdistan, pur non essendo uno Stato, è
sempre più nazione, ovvero sta acquisendo una connotazione politica molto
incisiva. In questo nuovo disegno geopolitico emerge in maniera chiara che le
divisioni etniche e confessionali hanno assunto un ruolo determinante. Questo
assetto è destinato a consolidarsi? Come diceva un noto statista
italiano, in politica i tempi del sole e della pioggia cambiano rapidamente e,
aggiungerei, inaspettatamente. Roberto Rapaccini