L'attualità
ci ha abituato a considerare fisiologico il confronto politico con i Paesi
islamici. In realtà i miei coetanei sanno che questa situazione ha un'origine
recente. Fino agli anni '70 infatti la cultura musulmana era oggetto di
attenzione solo per gli studiosi della materia, mentre la maggior parte delle
persone, convinta del proprio etnocentrismo, guardava con distacco e con
superficiale curiosità ad un mondo caratterizzato da consuetudini così diverse
dalle nostre; il loro interesse si concentrava esclusivamente sulle apparenze,
sulle sovrastrutture, sugli aspetti esotici. Inoltre, gli arabi che allora
immigravano nei Paesi europei cercavano di integrarsi abbandonando
spontaneamente l’abitudine a portare indumenti tradizionali, mentre attualmente
il ritorno all’uso del niq?b, del chador, del burqa e del qamis (la tunica
maschile) è diventato un mezzo per manifestare il rifiuto all’omologazione
occidentale. L'Islam in quei tempi non aveva una valenza politica; nella
Turchia, fin dai tempi di Kemal Ataturk, e nell'Iran, governato dalla
famiglia Palhevi, erano in atto processi di modernizzazione e di
occidentalizzazione, mentre nei Paesi arabi, a cominciare dall'Egitto di
Nasser, si affermava un socialismo di stampo laico. La situazione è cominciata
a cambiare nel 1979 con la Rivoluzione Iraniana di Khomeini, che indicava una
via musulmana al futuro, che - come è stato autorevolmente osservato (Franco
Cardini) - non coincideva con un ritorno al passato, ma al contrario aspirava a
costruire "sulla base dell’Islam un domani politicamente, economicamente,
finanziariamente, tecnologicamente e scientificamente alternativo".
Da allora per chi come me è cresciuto nel contesto politico della guerra
fredda la contrapposizione che si andava delineando fra il mondo islamico
fondamentalista e l’Occidente sostituiva il vuoto creato dal crollo dell’Unione
Sovietica. Diventavano familiari termini come jihad, sebbene nella erronea
traduzione di guerra santa (dal momento che il termine arabo per 'guerra santa'
è Al Harb al Qdsiyah mentre jihad significa genericamente
massimo sforzo, da identificarsi, secondo l'opinione prevalente fra gli
studiosi del Corano, nella lotta interiore e individuale che il fedele
sosterrebbe in ogni momento della vita per predisporsi alla comprensione dei
misteri divini e per resistere alle pulsioni estranee o contrarie alla morale
religiosa, adeguando così la propria condotta ai precetti dei testi sacri). Da
allora l'Islam è divenuto una realtà geopolitica contrapposta ad un Occidente
agnostico (impropriamente definito cristiano dalla propaganda fondamentalista).
I Paesi Islamici uscivano da una pregressa eclisse del sacro. Questo
cambiamento epocale, che, malinteso, è stato terreno fertile per la genesi
della minaccia fondamentalista e terrorista di matrice islamica, dovrebbe
essere occasione per un'autocritica dell'Occidente, per verificare l'esistenza
di elementi di una propria responsabilità. Ma la Storia ha bisogno di tempo per
riflettere su sé stessa. Frettolosamente si dice che in passato i rapporti fra
Islam e Occidente sono sempre stati difficili. Se pure fosse così, non
dovremmo rassegnarci, ma promuovere una nuova Storia, cosicchè nel
comune interesse quello che non è stato possa essere. Roberto Rapaccini