La manifestazione di
ieri Not in my name ripropone il tema dei rapporti fra l’Islam
e lo Jihadismo, soprattutto se quest’ultimo, ovvero una ridotta
frangia che pratica il ricorso alla violenza come strumento di affermazione di
una malintesa fede religiosa, possa essere considerato una fisiologica
espressione dell’Islam. I gruppi di matrice integralista - a maggior
ragione se violenti - di norma non sono il correlato della corrispondente
religione, soprattutto qualora questa abbia un’ampia e complessa articolazione.
Per quanto l’esempio sia improprio e non corretto poiché si riferisce ad un
fenomeno sostanzialmente diverso, considerare lo Jihadismo coincidente
con l’Islam sarebbe come ritenere un limitato gruppo tradizionalista, come
i lefebvriani, il precipitato del cattolicesimo ufficiale. La
questione è un’altra, ovvero quella di riuscire a conoscere la reale
valutazione del Fondamentalismo da parte delle comunità dei musulmani. Infatti,
ad essi viene rimproverato un atteggiamento di non chiara e adeguata
dissociazione dal terrorismo, in particolare dai progetti sanguinari del
neocaliffato islamico. La partecipazione non particolarmente consistente in
relazione all’entità della comunità musulmana in Italia, di musulmani
‘moderati’ alle manifestazioni di sabato può indurre in alcuni il sospetto
dell’esistenza di una riserva mentale di parte degli islamici, cioè di una
divergenza fra le dichiarazioni e i reali convincimenti. Questa congettura
purtroppo potrebbe trovare conferma nell’ignobile comportamento di quei tifosi
turchi che in occasione dell’incontro di calcio Turchia - Grecia hanno
fischiato sonoramente durante il minuto di silenzio in ricordo delle vittime
degli attentati di Parigi intonando anche il coro ‘Allahu Akbar’ (Allah è
grande). Non si è trattato di una voce isolata o dei soliti ‘quattro teppisti
stupidi’, ma di una parte consistente dello stadio. Una vergogna, senza nessuna
giustificazione, che crea dubbi sulla reale entità dei musulmani ‘moderati’. Tuttavia,
la manifestazione ‘not in my name’ resta un segnale positivo in quanto ha
lanciato un appello ad una svolta nei rapporti fra Islam e società civile
italiana, di cui i musulmani affermano di sentirsi parte integrante. Sono
altresì molto timidi i segnali di solidarietà nei confronti delle
discriminazioni e del martirio che i cristiani subiscono in alcune aree del
mondo non di rado sotto l’influenza di regimi islamici. Il confronto fra Islam
e Occidente risale alla nascita di questa religione. L’Islam, come detto più
volte, prescrive il jihad, che fra le varie interpretazioni ha
quella di una mobilitazione collettiva per la sottomissione, con ogni mezzo,
degli infedeli. Questo principio religioso supportato da una collaudata
combattività spinse i popoli arabi fin dal VII secolo a intraprendere
iniziative di conquista territoriale sia verso oriente, sia verso occidente.
Queste incursioni furono irrefrenabili: gli arabi nei secoli successivi
crearono un immenso dominio dirigendosi in Asia, in Africa e in Europa.
Conquistarono la Siria, l’Egitto e smembrarono l’Impero persiano; si spinsero
in India, in Africa del Nord, e occuparono la Spagna. Con le conquiste militari
si è nello stesso tempo diffusa la fede musulmana. Questo impero, a seguito
della disfatta del califfato ottomano subita nella Prima Guerra Mondiale,
fu definitivamente sciolto nel 1922. Le Crociate furono un momento di grande
crisi nei rapporti fra mondo occidentale cristiano e mondo musulmano. Le
vicende storiche hanno reso palese che Islam e Occidente sono mondi
completamente diversi. L’Occidente, venendo a contatto con la società
musulmana, ha avuto il limite di stimare la nuova civiltà con i propri
parametri di valutazione. Si è così consolidata l’immagine di un Islam
dispotico e violento, nonostante la convivenza pacifica in molte zone d’Europa
– come in Spagna – con le altre due religioni monoteiste, ovvero l’Ebraismo e
il Cristianesimo; si è radicata anche la congettura che l’Islam sia rozzo,
nonostante l’apporto arabo alla cultura e all’arte. Tuttavia, come ha precisato
la scrittrice somala Ayaan Hirsi Ali, criticare l’Islam non significa rifiutare
i fedeli, ma soltanto quei precetti islamici che, ove tradotti in
comportamenti, hanno conseguenze disumane. In altri termini la libertà di culto
non può costituire un’area franca, che assicura l’impunità, ma presuppone, per
il suo legittimo esercizio, il rispetto delle norme dell’ordinamento giuridico.
Come dire che piuttosto che di Islam ‘tollerante’, sia più pragmatico parlare
di Islam ‘tollerato’, intendendo con questa poco felice espressione l’Islam che
legittimamente si esprime entro i limiti positivi della legge. Roberto
Rapaccini
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
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