In questi giorni è
sempre più insistente la voce di chi nei mass media e nei
contesti politici manifesta la necessità di una reazione forte nei confronti
dell’Isis, che si rende ulteriormente necessaria dopo l’iniziativa
criminale jihadista in Mali, che si concreti almeno in azioni
operative come bombardamenti nelle zone siriane e irachene occupate dallo Stato
Islamico. In proposito, la questione va affrontata cercando di evitare
l’influenza della comprensibile emotività del momento. Prescindendo dalle
considerazioni etiche relative all’incidenza del lancio di bombe su civili e
dalle valutazioni relative all’efficacia di bombardamenti alla cieca –
tali sarebbero se non fossero supportati dalle necessarie informazioni sugli
obiettivi da colpire che possono essere fornite solo da una presenza
militare on the ground –, devono essere svolte alcune
valutazioni strategiche. Innanzitutto va considerato che, se in questi anni
l’Italia non ha subito gravi atti terroristici a differenza di altri Paesi
(Usa, Francia, Regno Unito, Spagna, etc.,), tutto questo è dovuto probabilmente
non solo alla professionalità dell’apparato di sicurezza, ma anche ad una
politica estera che, fin dai tempi dei governi Andreotti, ha mantenuto una
prudente e talvolta pilatesca equidistanza nella questione
israelo –palestinese, e non ha mai intrapreso crociate nei
confronti del mondo islamico. Emblematico il famoso episodio di Sigonella.
Naturalmente questo non significa che l’Italia per opportunismo politico e
interessi egoistici debba sottrarsi ai suoi impegni internazionali, tuttavia ci
si deve chiedere se valga la pena esporsi facendo parte di una coalizione che
non ha una strategia e una vera leadership, che è guidata da un
Paese, gli Usa, che ha responsabilità sulla nascita dello Stato Islamico e
sulla carriera di Al Baghdadi e che ha un ruolo ambiguo nella
questione, che comprende 5 Stati arabi sunniti (Giordania, Arabia Saudita,
Barhein, Emirati Arabi Uniti e Qatar) che, a parte un atteggiamento di
facciata, non si sa da che parte stiano (o forse si sa), e che è integrata
dalla Turchia che preferisce colpire i curdi o il PKK (che combattono l’Isis)
piuttosto che lo Stato Islamico. In realtà, oltre alla Francia, all’Iran e ai
curdi, solo la Russia sta svolgendo una coerente e lineare politica di
contrasto nei confronti dell’Isis. Il cinico e sinistro Putin può essere il
reale alleato dell’Occidente contro l’Isis? Sicuramente Putin non è un
benefattore né un filantropo, ha un suo progetto in testa. Ma gli alleati in
politica estera non devono essere belli, buoni, migliori degli altri, ma è
necessario e sufficiente che condividano l’avversione per uno stesso nemico. Roberto
Rapaccini
Grammatica del mondo islamico, Medio Oriente, dialogo interreligioso, interetnico e multiculturale, questioni di geopolitica, immigrazione.
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