Sul
sito arabo 'El Watan', dedicato alla stampa algerina, qualche giorno fa è stato
pubblicato un articolo di Soufiane Djilali - il politico presidente del Partito
riformista Jil Jadid - sul dibattito suscitato in Algeria dalla proposta di
introdurre nelle scuole la Darija, ovvero l’arabo dialettale. È noto che
l’Islam non è una monade dai tratti definiti in quanto in esso convivono tante
confessioni che assumono posizioni spesso divergenti fra di loro. Da un punto
di vista culturale, a partire dall'aspetto linguistico, si riscontra la stessa
mancanza di omogeneità: questa condizione è sintomatica della difficoltà dei
popoli arabi di definire una loro generale uniformità. Riflettendo sulla
paradigmatica situazione dei Paesi del Maghreb, l'uso dell'arabo, la lingua
ufficiale, al contrario di quanto si ritiene, non è così radicato nel comune
patrimonio da poter essere utilizzato nei rapporti sociali di quotidiana
abitualità. L'arabo ha una valenza unificante ideologica, in quanto è la
lingua sacra, ovvero l'unica lingua dell'Islam dal momento che si ritiene che
qualsiasi traduzione del Corano in altre lingue esponga all’introduzione di
elementi di ambiguità se non di un vero e proprio travisamento: ogni musulmano
quindi, anche se non vive o non è nato in una nazione nella quale si parla
l’arabo come lingua primaria o di minoranza, avrebbe il dovere di conoscere
questo idioma. Accanto all'arabo classico esiste l’arabo moderno standard, che
è una sorta di koinè utilizzata nei consessi ufficiali e internazionali.
La lingua araba originaria si è modificata nel corso dei secoli nelle singole
regioni interagendo con gli idiomi locali, dando luogo a lingue nazionali a
matrice araba. La Darija è dunque la variante araba dialettale parlata nella
zona del Maghreb (più precisamente con questo termine si indica comunemente
solo il dialetto parlato in Marocco, sebbene sia molto simile a quelli diffusi
in Algeria, Tunisia e Libia). Le varianti dialettali della lingua araba sono
talvolta molto diverse tra loro. Nonostante l’esistenza di un arabo
ufficiale standard, usato per la comunicazione scritta e in situazioni formali,
per la comunicazione informale vengono usati sempre i dialetti, alcuni dei
quali sono solo parzialmente comprensibili agli arabi che provengono da regioni
diverse. Anche se le persone con un discreto grado di istruzione sono in genere
in grado di esprimersi nell’arabo ufficiale, la maggioranza usa e comprende
generalmente solo la variante dialettale. Il tamazight, che è invece la lingua
berbera, con le sue numerose varianti è usato in situazioni informali orali, ma
ha una ridotta diffusione. Il francese è ampiamente conosciuto ma ha un uso
elitario, e porta con sé una carica fortemente negativa essendo l'idioma dei
colonizzatori. La Darija, pur essendo la lingua maggiormente
radicata nel patrimonio etnico, è considerata volgare; con l'emancipazione e
l'ascesa sociale individuale viene acquisita la padronanza dell’arabo classico
e del francese, e l'utilizzo della Darija cede il passo. Questo processo di
svalutazione dialettale crea una frattura fra un’élite, che utilizza
espressioni artificiose mutuate dal francese e dall'arabo standard, e il popolo
che molto più pragmaticamente ha bisogno di uno strumento pratico per
comunicare. Un atteggiamento di rivalutazione delle varianti dialettali
dell'arabo non è contrario al Corano, che precisa che "...Tra i Suoi
segni, c’è stata la creazione dei cieli e della terra, la diversità delle
vostre lingue, dei vostri colori...". In conclusione, si è più volte
constatato che non esiste un Islam ma tanti Islam; così un altro luogo comune
da sfatare è quello della uniformità identitaria dei popoli arabi fondata sul
potere unificante della lingua araba. Roberto Rapaccini