Nonostante
le buone prospettive dell'intesa sul programma nucleare iraniano, con un po' di
coraggio e di scaltrezza politica si poteva provare di dare un ulteriore
contributo alla 'distensione' mondiale. Nel pacchetto dell'accordo infatti si
poteva inserire, ovvero tentare di ottenere, il riconoscimento di Israele da
parte di un Iran desideroso di essere sollevato dalle sanzioni internazionali e
di tornare ad essere un interlocutore dell'Occidente, o meglio, l'unico
interlocutore affidabile del mondo islamico. Probabilmente il presidente degli
Usa Barack Obama - di cui non vanno tuttavia disconosciuti i meriti nella
circostanza - ha temuto che sollevare questa problematica potesse
compromettere le trattative in corso. Anche Israele, poco incline al dialogo
con il governo dello Stato persiano non ha sufficientemente individuato questa
opportunità. Va detto che l'Iran - probabilmente condizionato dal timore di
perdere il consenso della base popolare - non fa mistero di aspirare alla
distruzione dello Stato israeliano. Tuttavia, la posizione fortemente
antisemita dei vertici politici della Repubblica islamica, presa da più
pressanti problematiche, sembra essere strumentale solo ad esigenze demagogiche
interne, piuttosto che un reale interesse. In altri termini è un leit motiv per
rassicurare gli iraniani sulla fedeltà agli ideali politico-religiosi e
sulla loro continuità. Il riconoscimento di Israele avrebbe dovuto essere
condizionato ad una soluzione accettabile della questione palestinese, ovvero
al riconoscimento dello Stato della Palestina, dando soddisfazione alla sempre
più emergente esigenza di pacificazione che viene dalla base popolare delle due
etnie, quella ebrea e quella palestinese. Fantapolitica? No, è semplicemente
ricordarsi che l'obiettivo dell'attività politica - come precisò Giovanni Paolo
II - è il benessere degli uomini, che richiede il rispetto dei diritti di tutti
e il correlato generale adempimento dei doveri. Roberto Rapaccini