RASSEGNA STAMPA S.

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PAESI DELLA LEGA ARABA

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TESTO SC.

La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 6 giugno 2023

INTERNET NEI PAESI ARABI (5-8-2015)

 


Da tempo il mondo arabo ha scoperto l'importanza della Rete: tuttavia cresce la diffusione e l’utilizzo di Internet ma non la libertà di espressione. Secondo i dati dell’Anhri (l’Arabic Network for Human Rights, un'organizzazione non governativa con sede in Egitto che si occupa della promozione della libertà di espressione in Medio Oriente e nel nord dell’Africa) sono 157 milioni circa i 'cybernauti' nel mondo arabo, metà dei quali possiede un account 'Facebook'. In crescita è anche l’utilizzo dell’altro principale social network, cioè 'Twitter', che registra oltre 10 milioni di account solo tra Egitto e Arabia Saudita; solo in Tunisia ed in Palestina il livello di libertà di informazione è sufficiente. Non potendo contenere l’interesse nei confronti delle potenzialità della Rete, alcuni governi islamici hanno promosso la creazione di un Web dai contenuti controllati. Basso è il livello di libertà in Paesi come l'Arabia Saudita e il Bahrain, protagonisti di eclatanti episodi di censura. Ad esempio, il blogger Raif Badawi è stato condannato dal regime saudita a mille frustate e dieci anni di carcere per insulti all’Islam. Nabeel Rajab, un attivista per i diritti umani, ha scontato due anni per dei tweet in cui commentava l’arruolamento nelle file dello Stato Islamico di agenti delle forze di sicurezza del Bahrein e la situazione precaria dei diritti umani nel suo Paese. Quello arabo è generalmente un Internet con siti che corrispondono agli omologhi occidentali, ma informati ai valori della religione musulmana e depurati da qualsiasi depravazione e immoralità. In questo modo ? si sostiene nel mondo arabo ? si eviterebbe il 'far west' che caratterizzerebbe la Rete in Occidente, laddove la libertà talvolta diverrebbe anarchia e licenza. Moralizzare, attraverso sottili operazioni di cosmesi ispirate al rispetto dei valori dell’Islam, spesso equivale a censurare, ad annullare le possibilità di Internet, che peraltro hanno avuto una considerevole importanza nell’avvio della Primavera Araba. Così è stata creata Dahsha, la Wikipedia dedicata interamente al mondo islamico e al servizio degli utenti di lingua araba; è in Rete Salamworld, l’alternativa araba a Facebook, che ha una particolare sensibilità per i precetti del Corano ed è strutturato - dicono i promotori - per consentire ai giovani di navigare in un contesto nel quale non debbano confrontarsi con idee lontane dalla loro cultura. Conformemente al concetto politico di Umma (ovvero di una comunità ideale che unisce tutti gli uomini di fede musulmana), Salamworld costituisce una parallela comunità virtuale islamica. Il primo quesito che viene naturale porsi è se i 'cybernauti' arabi fruiscano di libertà di espressione. Nelle nazioni islamiche condizioni sociali (ad esempio, l’omosessualità), cause politiche (la contestazione dei regimi al potere), motivi religiosi (l’appartenenza a fedi diverse dall’Islam) da sempre penalizzano le voci fuori dal coro, impedendo il loro accesso ai mass-media: Internet sembrava poter restituire le libertà in precedenza negate. Sono stati impiegati software di filtraggio, blocchi e sospensioni di Rete, esercitate pressioni sugli operatori delle telecomunicazioni nelle ipotesi in cui gli organismi statali non disponessero direttamente delle infrastrutture di connessione. Al fine di esercitare un diretto controllo sulle comunicazioni, alcuni Stati arabi, come l’Arabia e Tunisia, hanno concesso il monopolio della gestione dei servizi di Internet ad aziende di Stato. In aggiunta si è anche ricorso a soluzioni tradizionali, ovvero perseguire il titolare dell’utenza che viola il limite del lecito (secondo la legge locale), configurando le condotte sgradite come forme di diffamazione, di danneggiamento della reputazione dello Stato, o come violazioni della pubblica moralità. Altri governi hanno risolto il problema aprioristicamente, privando i cittadini di accesso a Internet con le più varie motivazioni. Nel 1991 la Tunisia è stata la prima nazione ad avere accesso a Internet, che invece è stato introdotto negli altri Paesi all’inizio della seconda metà degli anni ’90 ad eccezione dell’Arabia Saudita e dell’Iraq che hanno fornito i propri cittadini di questo servizio rispettivamente nel 1999 e nel 2000. All’inizio gli organismi governativi, non rendendosi conto delle potenzialità del nuovo strumento, hanno incoraggiato la diffusione dell’informatica. Da un po’ di tempo si è assistito a un aumento della trattazione dei temi religiosi nelle pagine web in arabo, che si limitano a favorire la diffusione della conoscenza dell’Islam o contengono note interpretative. La maggior parte di questi siti di ispirazione confessionale risultano ubicati principalmente nella regione del Golfo Persico, nella quale le disponibilità finanziarie consentono uno sfruttamento ottimale delle risorse tecnologiche. Generalmente queste pagine web sono di confessione sunnita: le pagine web di contenuto religioso sono il 65% di tutte quelle in lingua araba. Alcuni di questi siti hanno un contenuto fortemente integralista e sostengono anche la necessità dello scontro per motivi religiosi non solo con i non musulmani, ma anche con altri gruppi islamici. Pur essendo messi al bando dalle autorità, questi siti riescono a bypassare i divieti e i filtri predisposti dagli apparati istituzionali. Molti governi inoltre applicando una censura selettiva, che cioè valuta specificamente ogni singolo caso, considerano manifestazioni di libertà di espressione i siti che, pur essendo estremisti e fortemente integralisti, hanno un contenuto che i poteri al governo discretamente condividono. Questi siti hanno progressivamente adottato un linguaggio meno aggressivo e più formalmente corretto, soprattutto dopo l’11 settembre, a cui è seguito un più incisivo monitoraggio della Rete da parte degli Stati Uniti e dei governi di alcuni Stati arabi. I gruppi antagonisti dei regimi arabi hanno presto individuato in Internet uno strumento per infiltrare nel web articoli e notizie che esprimessero le posizioni critiche della dissidenza; la Rete è quindi di fatto un mezzo di propaganda alternativo ai più inaccessibili media tradizionali (giornali e canali radiotelevisivi). La conseguente attività repressiva delle istituzioni pubbliche ha portato all’adozione di rigide misure restrittive della libertà personale nei confronti di giornalisti e attivisti per la democrazia. La repressione non ha ridotto tuttavia l’opposizione che, non trovando più spazio nei rispettivi Paesi, ha cominciato a operare anche dall’esilio, utilizzando postazioni situate all’estero per mobilitare all’interno dei Paesi la dissidenza e diffondere all’estero la conoscenza delle pratiche antidemocratiche e inique dei governi. I regimi attualmente raddoppiano i loro sforzi per la repressione della libertà in Rete, anche se formalmente dichiarano di combattere solo la pornografia e gli atti contrari alla moralità pubblica. I software utilizzati per bloccare i siti dell’opposizione consistono in un servizio che numerose aziende informatiche offrono a pagamento. I primi filtri vennero utilizzati negli USA nei primi anni ’90 per evitare l’utilizzo improprio dei computer pubblici che poteva concretarsi nell’accesso a siti porno grafici. Oggi questo tipo di servizio viene utilizzato da Paesi come il Bahrein, lo Yemen, il Qatar, gli Emirati Arabi per bloccare le pagine web che criticano i rispettivi governi e provvedono al raccordo fra i manifestanti ai fini dell’organizzazione di iniziative di protesta. È paradossale che questi programmi siano per lo più prodotti da aziende statunitensi; in altri termini provengono dallo Stato che formalmente è maggiormente impegnato a promuovere la libertà di parola e di dissentire, e che finanzia inoltre massicciamente programmi per la diffusione di informazioni per aggirare i blocchi: una tipica schizofrenia occidentale. Roberto Rapaccini