Stabilire
con chiarezza le relazioni fra religione e politica è la condizione essenziale
per lo sviluppo di principi che sono il presupposto della democrazia
nell'accezione occidentale, quali la tolleranza, l’uguaglianza, il rispetto
della libertà di pensiero, nonché la libertà di culto. Corollario
dell'inesistenza nella cultura araba di una demarcazione fra fede e politica è
la mancanza di una corretta elaborazione del concetto di 'laicità', al
quale viene spesso erroneamente attribuito - come conseguenza dell'assenza di
pluralismo religioso - il significato di 'ateismo'. Fino a qualche decennio fa
in arabo la parola 'laicità' nemmeno esisteva. Attualmente con un neologismo
si dice al maniyya, ma questo termine nel suo esatto significato è
generalmente compreso solo dai musulmani che hanno avuto contatti con la
cultura occidentale. Il difetto di laicità ha come conseguenza che i poteri
dello Stato islamico sono considerati legittimi solo se sono rispettosi della
religione, diversamente dallo Stato moderno che si fonda sul principio di
legalità, ovvero sulla sovranità della legge. La parola 'libertà' aveva
invece in passato solo un significato legale e non politico, in quanto indicava
l'assenza di limitazioni o restrizioni individuali: il suo opposto era quindi
la schiavitù. Il contrario della tirannia non era libertà e la democrazia, ma
la giustizia, con la precisazione che al dovere del capo di amministrare
equamente non corrispondeva il diritto del suddito di essere trattato
giustamente. La libertà da un punto di vista politico era solo una condizione
collettiva e non personale, e quindi coincideva con il concetto occidentale di
'indipendenza' dello Stato, che è cosa diversa dalla democrazia. Quando gli
echi della Rivoluzione Francese giunsero nel mondo arabo la parola libertà
assunse anche un'accezione politica; tuttavia, con connotazioni negative in
quanto gli autori musulmani la adottarono come sinonimo di libertinaggio, licenziosità
ed anarchia, e quindi, in sintesi, come potenziale strumento di eversione
dell'ordine morale religioso. Il principio della separazione dei poteri venne
introdotto in alcuni Paesi islamici nei primi anni del Novecento (a partire
dalla Turchia). Con il nazionalismo, per porre l'accento sulla necessità che la
sovranità dello Stato fosse svincolata dalle tentazioni imperialiste di nazioni
straniere, la libertà tornò ad essere sinonimo di indipendenza dello Stato. Il
pluralismo partitico, presupposto della democrazia parlamentare, viene
tuttora considerato dal pensiero fondamentalista in contrasto con l'unità e la
compattezza della Umma, la comunità musulmana; la libertà di opinione avrebbe
infatti una connotazione negativa perché sarebbe causa di disorientamento
politico e religioso, premessa di un ritorno al caotico mondo pagano precedente
alla nascita dell'Islam. In ultimo, l'intangibilità della tradizione religiosa
unita alla sua continua invasività sulla sfera politica costituisce un
freno all'iniziativa individuale e collettiva strumentale alla
modernizzazione istituzionale. Roberto Rapaccini