Negli
ultimi giorni si è registrato un cambiamento di rotta significativo nella
politica estera della Turchia. In precedenza, il governo turco aveva deciso di
non prendere parte attivamente all'alleanza anti-Isis, giustificando
implicitamente questa posizione con la volontà di non supportare indirettamente
il regime alawita siriano dell'ex amico e ora nemico Bashar Al Assad (che dal
2013 combatte l'Isis), e di non trovarsi dalla stessa parte dei curdi (siriani
e iracheni), molto attivi nella guerra allo Stato Islamico. Il carattere
ambiguo della politica del presidente Erdogan si intuiva anche dal prevalente
uso delle frontiere turche da parte di migliaia di 'foreign fighters' diretti
in Siria per unirsi ai gruppi di ribelli o all’Isis. Il confine
turco-siriano inoltre è impiegato anche per un fiorente contrabbando di
petrolio che finisce per finanziare lo Stato Islamico. La politica poco chiara
di Erdogan probabilmente era la conseguenza delle sue ambizioni di fare della
Turchia - che in passato ha supportato a questo fine molti movimenti di rivolta
anche vicini ai Fratelli Musulmani - la potenza leader nella regione mediorientale.
La Turchia nei giorni scorsi sembra che abbia invece consentito alle forze
statunitensi l'impiego futuro delle basi militari prossime al confine siriano
per effettuare attacchi aerei anti-Isis. Il 24 luglio per la prima volta la
Turchia ha inoltre bombardato obiettivi dello Stato Islamico. La violenza
dell'Isis non aveva risparmiato la Turchia: il 20 luglio almeno 32
persone erano state uccise in un attacco suicida rivendicato dall’Isis in un
centro culturale della città di Suruc. Resta da chiarire le motivazioni di
questa svolta in favore degli alleati occidentali. Forse, considerate le
ambizioni di Erdogan, la disponibilità militare di supportare le forze
americane serve a bilanciare l'idillio nascente fra Occidente e Iran: la
Turchia, infatti, essendo sempre alla ricerca di un ruolo centrale nella
regione, teme l'ascesa persiana. Peraltro, sarebbe opportuno dissociare il
popolo turco da Erdogan, dal momento che nelle recenti elezioni l'opzione che
avrebbe determinato una svolta autoritaria in suo favore ha subito una
bocciatura: come mi ha fatto notare un amico la Turchia nell'occasione ha dato
un'importante (e inaspettata) prova di democrazia. Quindi potrebbe nuovamente
tornare attuale il ruolo di mediazione geografica, politica e culturale della
Turchia fra Europa e mondo arabo, e potrebbe esserci in futuro un ritorno di
interesse per un suo possibile ingresso nell'Unione Europea, che negli ultimi
tempi sembrava definitivamente archiviato. Roberto Rapaccini