Le
considerazioni di cui al commento precedente sull'islamizzazione del
radicalismo formulate da Michel Onfray - ovvero che il proselitismo musulmano
in occidente trovi un fertile terreno nelle fasce sociali nelle quali è forte
il malessere per la crisi economica, sociale e politica - ridimensiona le tesi
che pongono alla base della conflittualità in atto fra Islam e Occidente
rispettivamente uno 'scontro di civiltà', o gli errori, nel mondo arabo, della
politica postcoloniale dei Paesi europei. Queste due tesi, infatti,
culturalista la prima, terzomondista la seconda, pur restando interessanti
chiavi interpretative, evidenziano un limite: se il conflitto fra l'Islam e
Occidente è strutturale (come dovrebbe desumersi dalle due teorie), non si
spiega perché l'affiliazione al radicalismo jihadista riguardi solo una parte
minima, circoscritta e ben definita dei musulmani che vivono in occidente
(mentre questa situazione è comprensibile in base alle intuizioni
sull'islamizzazione del radicalismo). La tesi di Michel Onfray
sull'islamizzazione del radicalismo trova di fatto una conferma pratica in
alcuni studi portati a termine lo scorso anno in Francia, che hanno evidenziato
che il reclutamento jihadista riguarda quasi esclusivamente due categorie
sociali, cioè i musulmani di seconda generazione e i neoconvertiti all'Islam.
Per quanto riguarda i musulmani 'francesi' di seconda generazione, si argomenta
che la prima generazione di musulmani immigrati nei Paesi europei ha cercato di
integrarsi abbandonando spontaneamente tra l'altro l’abitudine di portare
indumenti tradizionali. Nella seconda generazione invece è affiorato il
malessere per i problemi endemici della società, e per un esito insufficiente
delle politiche di integrazione che non sono state facilitate dalla
distribuzione e dall'alta concentrazione della minoranza islamica in quartieri
periferici, come le banlieue di Parigi, Lione, Marsiglia, dove spesso gli
islamici costituiscono la maggioranza degli abitanti. Dalla terza generazione
invece ha prevalso l'integrazione e l'omologazione dei giovani nella cultura
occidentale. In sintesi, i musulmani di seconda generazione non vogliono la
cultura dei genitori, ma nemmeno la cultura occidentale, nella quale
identificano l'origine dei mali e del loro disagio. Nello stesso tempo chi si
converte all'Islam di fatto manifesta un'avversione all'occidente. L’Islam,
infatti, è una religione 'politica', in quanto la fede produce gli effetti di
un’ideologia, poiché è tensione per l’affermazione di un nuovo assetto sociale
ispirato a un’etica confessionale. L’adesione alla fede musulmana è vissuta dai
convertiti come una militanza, come un impegno collettivo rivolto a cambiare,
anche con il ricorso alla violenza, le strutture della società.
Conseguentemente chi si converte all'Islam non opta per una religione 'di
compromesso', ma sceglie la 'purezza' dell'estremismo dell'opzione salafita,
che maggiormente esprime la rottura e l'avversione per 'l'odiato' l'occidente,
e integra uno strumento di lotta politica. Sembrerebbe quindi desumersi che il
fondamentalismo jihadista sia il prodotto di una rivolta generazionale prodotta
dalla mancata integrazione di specifiche categorie di giovani. Si giunge così
alla paradossale conclusione che l'Islam, nella radicalizzazione dei musulmani,
sia solo un fattore contingente e non essenziale. Un'ulteriore prova che sia
più corretto parlare di islamizzazione del radicalismo piuttosto che di
radicalizzazione dell'islamismo, come afferma Michel Onfray. Roberto Rapaccini