La
laicità dello Stato è una delle più significative conquiste delle democrazie
moderne. La separazione fra la sfera politica e quella religiosa in concreto
tutela la libertà di religione, compresa la visione atea o semplicemente
agnostica, in quanto ha come corollario un atteggiamento di equidistanza dei
pubblici poteri da convinzioni religiose, spirituali e filosofiche. La
secolarizzazione dello Stato nella realtà si declina variamente, ma tutte le
modalità possono essere ricondotte in linea di massima a due modelli, ovvero ad
una rigida separazione tra lo Stato e le confessioni religiose, oppure ad un
‘favor’ o attenzione accordata ad una determinata confessione (generalmente in
relazione alla sua maggiore diffusione) senza tuttavia creare reali
discriminazioni. Naturalmente il proselitismo religioso – cioè la propaganda della
propria fede compresa quella ateistica e agnostica (art.19 Costituzione
italiana) – è consentito, ma è confinato nella sfera delle relazioni private,
spesso individuali, e deve mantenersi estraneo ad attività riconducibili a
pubblici poteri. Il concetto di laicità è sconosciuto alla cultura islamica ed
è spesso confuso con la nozione di ateismo. Negli Stati Islamici si attribuisce
rilievo all’esistenza di una sola religione, l’Islam: non essere musulmano,
pertanto, equivale a non essere un credente. Non è ammessa una terza
possibilità, ovvero essere fedele di un altro credo religioso. Per questo
motivo il termine ‘infedele’, originariamente riservato a politeisti e pagani,
nel mondo arabo comunemente è stato esteso anche agli altri monoteisti. La
mancata conoscenza del concetto di laicità può essere anche una conseguenza
dell’assenza, nella storia dei popoli arabi, di un movimento analogo
all’Illuminismo, che in Occidente ha enfatizzato i diritti di libertà,
affermando la necessità che essi si strutturino in maniera affrancata da schemi
prestabiliti. L’Islam è una religione con un’indubbia matrice politica e
ideologica, in quanto postula l’affermazione di un assetto sociale ispirato a
un’impronta confessionale. L’assenza di un pluralismo religioso nel mondo arabo
è anche una diretta conseguenza della più generale mancanza di libertà
religiosa tipica dei regimi teocratici. In essi, infatti, la libertà religiosa
può essere un pericoloso strumento di potenziale eversione; non c’è spazio per
forme di legittimità democratica di tipo occidentale in quanto l’unica
legittimità viene dal letterale rispetto della legge coranica. Quando la fede è
vissuta come ideologia il proselitismo è surrogato dalla militanza, cioè
dall’impegno collettivo dei fedeli per promuovere con ogni mezzo
l’instaurazione di un ordine sociale nel quale le leggi civili sono
progressivamente sostituite da un ordinamento plasmato sulla legge divina.
Anche nei Paesi a maggioranza islamica che cercano di percorrere la via della
democrazia e della laicità (come la Tunisia), il Corano rimane un riferimento
irrinunciabile, in quanto in questi ordinamenti in maniera esplicita o
implicita sono previsti meccanismi istituzionali che in concreto evitano che la
vita civile si articoli in maniera contraddittoria o semplicemente autonoma dai
principi dell’Islam. In questi ultimi anni secondo un’indagine svolta
dall’istituto di ricerca Arab Barometer [1] nel mondo arabo si sta assistendo
ad un aumento, ancora molto contenuto, di atteggiamenti di indifferentismo religioso,
che si concreta in un cauto atteggiamento critico nei confronti dell’Islam e
nella non condivisione di un’adesione esteriore di tipo legalistico. Secondo
Arab Barometer la frangia di arabi che si dichiarano ‘non religiosi’ è ancora
molto esigua, ma in ripresa. Dal 2013 al 2019 sarebbe passata dall’8% al 13%.
Il dato è particolarmente significativo se si considera che si colloca in anni
di ‘risveglio islamico’. In dettaglio l’incremento di questo atteggiamento che
può preludere alla diffusione di una moderata laicità ma in crescita, si è
registrato in Tunisia (dal 16% al 35%), in Libia (dall’11% al 25%), in Algeria
(dall’ 8% al 13%), in Marocco (dal 4% al 12%), in Egitto (dal 3 al 12%). Il
dato non specifica quale fede sia in diminuzione, ma, considerata l’esigua
presenza di Cristiani o di fedeli di altre religioni in questi Paesi, si può
fondatamente desumere che il dato si riferisca all’Islam. Gli studiosi non
concordano nell’individuazione delle cause; peraltro, le realtà politiche dei
Paesi arabi in cui si è registrato questo dato differiscono molto fra di loro.
Sembra che la deriva terroristica di matrice islamica sia estranea
all’incremento del fenomeno, mentre assumerebbero particolare rilievo
motivazioni personali che originano da crisi religiose individuali. Questi dati
anche nelle motivazioni personali che li originano indubbiamente avvicinano il
mondo arabo alle realtà occidentali. Roberto Rapaccini
[1]
Arab Barometer è un network politicamente neutro che svolge ricerche e sondaggi
per monitorare le variazioni politiche e sociali in Paesi del Nord Africa e del
Medio Oriente (i cosiddetti Paesi compresi nell’acronimo MENA – Middle East and
North Africa – cioè Algeria, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Emirati Arabi
Uniti, Iran, Iraq, Israele, Giordania, Kuwait, Libano, Libia, Marocco, Oman,
Qatar, Siria, Cisgiordania, Tunisia, e Yemen). È il più grande archivio di dati
pubblicamente disponibili sugli orientamenti dell’opinione pubblica nel mondo
arabo. Il progetto è governato da un comitato direttivo che include accademici
e ricercatori dei Paesi MENA e degli Stati Uniti.