Secondo
l'ormai consolidato principio per cui ogni emergenza si sovrappone alla
precedente tacitandola, in questo periodo, occupati da altre questioni -
l'Expo, i flussi migratori, l'Italicum, la Coppa dei Campioni - abbiamo
allontanato dai nostri pensieri l'attenzione per l'ascesa dell'Isis, che
continua a consolidare il suo status. Per alcuni aspetti il silenzio dei media
evita di supportare involontariamente le iniziative di propaganda di cui si
avvale lo Stato Islamico nel reclutamento dei foreign fighters. L'Iran continua
ad essere il vero alleato dell'Occidente contro il Califfato, supportando un
esercito iracheno che va progressivamente sgretolandosi e perdendo ogni reale
capacità difensiva e offensiva. Nello Stato persiano, peraltro, nonostante le apparenze,
sono forti le istanze di modernizzazione e di apertura all'Occidente, anche a
causa del sedimento lasciato dal laico e secolarizzato regime dello Shah.
Alcuni Paesi Occidentali, Stati Uniti e Francia in testa, attuano in proposito
una politica del doppio binario, cioè, da una parte negoziano sul nucleare con
la sciita Repubblica Islamica, ma nello stesso tempo, soprattutto con forniture
di armi, rassicurano della loro amicizia le monarchie sunnite del Golfo -
soprattutto l'Arabia Saudita, superpotenza emergente della regione - che
combattono Teheran in maniera indiretta in Siria, in Iraq e nello Yemen. Nei
confronti dello Stato Islamico alcuni Paesi del Golfo, nonostante una
dichiarata ostilità di facciata, mantengono un atteggiamento ambiguo e probabilmente
di sostegno finanziario attraverso propri potentati. Peraltro, il mondo sunnita
anche per ragioni storiche è tutt'altro che compatto. Nel tempo si è costituita
un'area turco-egiziana, caratterizzata da un Islam aperto ai commerci e quindi
anche ai contatti culturali, e una regione integrata dai Paesi della Penisola
Arabica, isolata e fertile terreno per il Fondamentalismo. Nella regione
turco-egiziana (nella quale devono essere considerati di fatto i Paesi del
Maghreb, la Siria, l'Iraq e il Libano) si sono affermati movimenti nei quali
l'Islam si è coniugato con rivendicazioni nazionaliste di stampo socialista
(con posizioni allora filosovietiche) e a carattere panarabo* (il panarabismo
auspicava il potenziamento dei valori arabi comuni al fine della creazione di
un califfato arabo). Da un punto di vista religioso ivi si è sviluppato il
Salafismo, che coniugava Islam e politica, e dal quale ebbe origine la
Fratellanza Musulmana. Al contrario le monarchie del Golfo maturarono un
atteggiamento panislamico* (il panislamismo mirava all’unione politica di tutti
i popoli islamici), dichiaratamente filoccidentale; dal punto di vista
confessionale, l'orientamento tradizionalista è stata la culla della dottrina
Wahabita, che predicava il ritorno alla purezza dell’Islam originario e
all’interpretazione letterale del Corano. Questa situazione composita e
complessa forse è la ragione della mancanza di iniziative concrete di contrasto
dell'Isis da parte degli Stati Uniti e dell'Europa, che pericolosamente temporeggiano,
mentre in altre aree - Libia e Nigeria in particolare - vi è stata da parte di
alcuni Paesi una inopportuna e mal coordinata tempestività nell'intervenire
militarmente, dettata da interessi economici egoistici. Sullo sfondo la banale
ma essenziale affermazione che i musulmani non possono essere ridotti ad
un'unica identità. Roberto Rapaccini
*
Le parole panarabo e panislamico traggono il loro significato dalla differenza
fra arabo e islamico. Il termine arabo sottolinea l’appartenenza a una comunità
etnico-linguistica. Politicamente sono considerati Paesi arabi i Paesi che
aderiscono alla Lega Araba. Il termine islamico indica invece solo l’adesione
alla fede religiosa islamica.