Femminismo
e Islam sembrano a prima vista un ossimoro, cioè una contraddizione in termini.
In realtà, la questione femminile nel mondo musulmano è molto varia e
complessa. Per la prima volta ne ho preso atto qualche anno fa leggendo un
libro di Lilli Gruber, 'Figlie dell'Islam', che conteneva gli esiti
dell'indagine con la quale la nota giornalista aveva esplorato l'universo
femminile nel mondo arabo. Accanto a donne - ed erano la maggioranza - vittime
di profondi e, talvolta, drammatici condizionamenti - come un'egiziana che a
quattro anni aveva subito la recisione del clitoride con un rasoio - ce ne
erano altre che avevano percorso positivamente un cammino di emancipazione,
come una Yemenita, docente universitaria, che era riuscita a rifiutare il
marito scelto per lei. Sono state intervistate inoltre alcune donne che
occupavano posti di vertice e di responsabilità perfino in realtà
istituzionalmente arretrate e maschiliste come quella saudita. Successivamente,
da uno sguardo affrettato alla cinematografia mediorientale (compresa quella
israeliana) mi sono reso conto che spesso protagonisti di quei film erano
personaggi femminili. Alcuni esempi: 'Caramel' e 'Ora dove andiamo?' della
regista libanese Nadine Labaki, 'Il Giardino dei Limoni' dell'israeliano Eran
Riklis e 'Free zone' del suo connazionale Amos Gitai, gli iraniani 'Il Cerchio'
di Jafar Panahi, 'Persepolis' di Marjane Satrapi e 'Donne senza uomini' di
Shirin Neshat; solo per citarne alcuni. Pertanto, pur non potendo disconoscere
la subordinazione della donna nella società araba, tuttavia la problematica mi
è sembrata spesso risolta semplicisticamente, banalizzata dagli stereotipi
delle specifiche realtà nazionali particolarmente influenzate dalle tradizioni
locali, il femminismo islamico è un movimento trasversale di tutta la comunità
musulmana - in virtù del presunto carattere universale degli ideali coranici -
che approfondisce l'esegesi del Corano al fine di evidenziare le disposizioni
che dichiarano l'uguaglianza di tutti gli uomini: in altri termini, si sostiene
la parità di genere come corollario del proclamato principio di uguaglianza di
tutti gli 'insan' (gli esseri umani). Si evidenzia pertanto anche in questo
ambito la sovrapposizione, ricorrente nell'Islam, fra religione e politica, in
quanto la soluzione di una questione sociale, quale la precisazione dei
contenuti del rapporto uomo - donna, richiede un approfondimento teologico,
ovvero una rilettura del Sacro Testo, a differenza degli analoghi movimenti
occidentali che avevano e hanno estrazione laica. Il femminismo islamico
sostiene infatti che non è il Corano ad essere contro le donne, ma
l'interpretazione che ne è stata data e le tradizioni patriarcali consolidate
nel tempo. Le prime voci di scrittrici e intellettuali che hanno sollevato la
questione femminile nel mondo arabo risalgono alla fine dell'Ottocento: anche
se è innegabile che nei Paesi islamici le donne subiscano ancora gravi
discriminazioni, questo dato storico contrasta con il convincimento di noi
europei di detenere in maniera esclusiva il monopolio dei movimenti di
liberazione ed il primato nella promozione della democrazia e dei diritti di
libertà. Tutto questo mentre in Europa il femminismo è spiazzato da una
'femminilizzazione' del modello maschile, che già dall'aspetto estetico
(depilazione, orecchini ed orpelli vari, uso di creme di bellezza) si ispira a
stereotipi attribuiti, per pregiudizi consolidati, all'universo femminile. Roberto
Rapaccini