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PAESI DELLA LEGA ARABA

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La differenza tra propaganda e istruzione viene spesso così definita: la propaganda impone all’uomo ciò che deve pensare, mentre l’istruzione insegna all’uomo come dovrebbe pensare. (Sergej Hessen)

martedì 16 febbraio 2021

LA MAPPA DEL TERRORISMO ISLAMICO - 3. LA COMUNE STRATEGIA DEGLI ATTENTATI SUICIDI (26-3-2016)


I recenti gravi fatti di Bruxelles hanno tragicamente reso di nuovo attuale la questione del terrorismo suicida. Com'è noto, l’attività terroristica determina una situazione di guerra definita asimmetrica per sottolineare il suo carattere non convenzionale, in quanto in essa non si contrappongono due eserciti, espressione di realtà nazionali, strutturati in forma rigidamente piramidale, che si avvalgono di armamenti e mezzi bellici tradizionali. I movimenti terroristici infatti diversamente dalle forze armate di uno Stato, sono organizzazioni clandestine, che per i loro fini ricorrono anche a iniziative – come dirottamenti, attentati, omicidi, stragi, rapimenti, sabotaggi – che in genere non si riscontrano comunemente in contingenze belliche ordinarie. Il terrorismo di matrice islamica, oltre ai mezzi appena menzionati, utilizza un’arma che è di grande efficacia nel diffondere terrore in maniera indiscriminata in virtù della sua imprevedibilità e della difficoltà a contrastarne gli effetti: si tratta dell’impiego di individui imbottiti di esplosivo che si fanno detonare presso un obiettivo sensibile - come la stazione della metro di Maalbeek o l'aeroporto di Zaventem a Bruxelles - causando gravi danni alla comunità civile. Il fenomeno del terrorismo suicida viene considerato analogo a quello dei kamikaze, i piloti giapponesi (prevalentemente di aerei), che durante la Seconda Guerra Mondiale procuravano ingenti perdite ai nemici attraverso l’esplosione del proprio mezzo. I kamikaze giapponesi erano motivati da un forte sentimento patriottico: l’appartenenza allo Stato nipponico radicava in loro il dovere etico di difendere la comunità dei connazionali con ogni mezzo, anche estremo come il sacrificio della vita. Peraltro questa condotta, oltre ad arrecare onore e prestigio alla propria famiglia, era una via che per l’alto valore morale si riteneva conducesse alla pace eterna. I kamikaze erano parte integrante dell’esercito regolare giapponese e operavano nel contesto di una guerra convenzionale; corollario del carattere segnatamente bellico delle loro iniziative era la volontà di progettare queste azioni in maniera da evitare che nell’esplosione venissero coinvolti obiettivi civili. Premessi questi aspetti, non sembra che ci siano molti punti di contatto fra il suicidio dei kamikaze e il sacrificio dei terroristi fondamentalisti. Gli atti suicidi con finalità terroristiche sono generalmente considerati monopolio della cultura religiosa, in particolare islamica. Infatti siamo abituati a ritenere che i fedeli islamici siano più versati al martirio e al sacrificio della propria vita rispetto agli appartenenti ad altre religioni o culture. Tuttavia, in epoca moderna gli attentati suicidi per la prima volta sono stati attuati da terroristi di estrazione laica, ovvero le Tigri Tamil operanti in India. È controversa la relazione fra il sacrificio della vita in nome dell’Islam e i conseguenti privilegi che garantirebbe Allah in Paradiso. In proposito il Corano considera la vita sempre sacra e inviolabile e pertanto in linea di massima non giudica lecita nessuna forma di suicidio. Tuttavia il Corano obbliga i fedeli al cosiddetto 'Jihad difensivo': ogni musulmano ha il dovere di difendere le terre dell’Islam dall’attacco di infedeli o liberarle dalla loro presenza. Uno studioso americano, Robert Pape, analizzando gli attacchi suicidi relativamente a decenni recenti ha rilevato empiricamente che il loro incremento esponenziale non è causato dalla crescita del fondamentalismo religioso o dall’acuirsi di contingenze socio-economiche, ma è correlato alla percezione dei terroristi islamici che il proprio Stato si trovi in una condizione di occupazione o di dipendenza militare o anche soltanto ideologica da parte di una potenza straniera. In proposito, per occupazione non si deve intendere soltanto l’insediamento straniero in un territorio, ma anche la semplice presenza di una potenza occidentale che intende interferire con la cultura locale o imporre la propria. Questa condizione di asservimento è avvertita come una situazione in grado di snaturare la società islamica; per questo genera nel fedele il dovere di attivarsi per contrastare questo pericolo, supposto o reale. Si è anche rilevato che spesso la nazionalità dei terroristi suicidi è quella di un Paese che ospita truppe provenienti da Paesi occidentali come, ad esempio, l’Arabia Saudita. Quindi si è dedotto empiricamente che l’iniziativa suicida sembra essere una reazione (piuttosto che un’azione) strumentale alla difesa della terra dell'Islam; conformemente all'istituto del 'Jihad difensivo' prescritto dal Corano, la consapevolezza dell’occupazione del proprio territorio nazionale richiede al fedele di attivarsi. Analogamente si è anche riscontrato che, quando l’atto è compiuto dal terrorista al di fuori del territorio di nascita o provenienza, la nazionalità del terrorista è in linea di massima quella di un Paese il cui territorio è oggetto di presenza o di attacco da parte di un Paese occidentale. Si tratta di rilevamenti statistici ed empirici che tuttavia forniscono indicazioni sulle motivazioni consapevoli o inconsapevoli di questi atti.  Allo studioso americano Robert Pape va pertanto il merito di aver inserito l’atto suicida nell’ambito di una logica strategica. Un interessante contributo alla comprensione di questo fenomeno è fornita dal film palestinese 'Paradise Now' di Hany Abu-Assad, nel quale vengono esposte in dettaglio le vicende di due giovani che sono scelti dalla comunità per compiere un attentato suicida. Roberto Rapaccini