Tra le tante proposte per combattere il terrorismo di matrice islamica
in alcuni 'media' è stata formulata anche quella di istituire 'un unico
ministro dell'interno europeo'. Il tema non è nuovo. La questione della
creazione di organi centrali europei per la repressione dei reati e dei loro
relativi poteri - che generalmente comportano limitazioni delle sovranità
nazionali in quanto impongono forme di collaborazione forzata - ha sempre avuto
un'importanza centrale. Per verificare la fattibilità e l'opportunità di questa
opzione, è necessario ripercorrere le tappe della storia della cooperazione di
polizia fra gli Stati europei e considerare quanto prescrivono attualmente le
norme del Trattato sull'Unione Europea vigenti in materia, che delineano
normativamente il quadro entro il quale deve essere contenuta ogni nuova
iniziativa. Una cooperazione europea di polizia fu avviata da alcuni Stati nel
1976 mediante un accordo denominato 'Trevi', che si avvaleva di una rete di
rappresentanti dei ministri della giustizia e degli affari interni. Ancora non
esisteva l'Unione Europea e quindi si trattava di una collaborazione
strutturata su un accordo intergovernativo, cioè fondata sui reciproci impegni
delle parti contraenti. Un'organizzazione intergovernativa - come era quella
creata dall'accordo Trevi - non prevede l'istituzione di organi sovranazionali
e ogni decisione pertanto viene presa all'unanimità. Si comprende facilmente
come in questo ambito sia sempre difficoltosa l'adozione di determinazioni, in
quanto è sufficiente il veto di un solo Stato per bloccare una proposta.
L'accordo 'Trevi' inizialmente era finalizzato a coordinare l'azione dei
governi europei nella lotta al terrorismo, ma successivamente fu esteso a molte
altre questioni di polizia, soprattutto quelle di carattere transfrontaliero.
Con la creazione dell'Unione Europea con il Trattato di Maastricht nel
1992 (in vigore dal novembre 1993), le politiche comuni vennero divise in tre
aree denominate 'pilastri'. L'Unione Europea è un ente con una personalità
giuridica distinta da quella degli Stati membri, i quali, pertanto, con la
firma del Trattato hanno accettato di limitare la loro sovranità. Tecnicamente
questo avviene attraverso 'la comunitarizzazione'. Con il metodo comunitario,
che costituisce la regola generale, le decisioni sono adottate attraverso una
procedura che prevede l'uso del voto a maggioranza qualificata. Tuttavia con il
Trattato di Maastricht si mantenne il metodo intergovernativo per gli aspetti
della politica estera e della cooperazione giudiziaria e di polizia, con la
conseguenza che le relative delibere in materia dovessero essere adottate
ancora all'unanimità, tenendo presente la necessità di rispettare le diverse
peculiarità nazionali, che ogni Stato pertanto, con l'eventuale esercizio del
veto, poteva tutelare bloccando una decisione. La cooperazione di polizia
quindi venne destinata ad uno specifico pilastro, il terzo, sottraendola al
processo di 'comunitarizzazione', che avrebbe invece comportato il totale
trasferimento della politica del settore alle istituzioni comunitarie, creando
un unico sistema per tutti i Paesi. Per agevolare la collaborazione fra 'law
enforcement' degli Stati membri, si è sempre perseguita la progressiva
riduzione delle differenze nazionali nella struttura degli apparati giudiziari
e di polizia e nelle normative penali sostanziali e procedurali. Con il
Trattato di Lisbona, per rafforzare l'azione dell'Unione Europea, vennero
aboliti i tre pilastri. Tuttavia, sussistendo l'opportunità di garantire
l'autonomia dell'azione degli Stati membri nel settore della giustizia e di polizia,
il metodo intergovernativo è stato mantenuto per quanto riguarda la
cooperazione operativa, in questi termini: "Il Consiglio, deliberando
secondo una procedura legislativa speciale, può stabilire misure riguardanti la
cooperazione operativa.......Il Consiglio delibera all'unanimità previa
consultazione del Parlamento europeo..... " (art 87, Capo V, Titolo V -
Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea). Pertanto, la cooperazione di
polizia e giudiziaria in materia penale, sebbene sia stata integrata nel regime
di diritto comune, continua a valersi dell’applicazione di procedure
particolari in cui gli Stati membri conservano poteri importanti. In
conclusione allo stato attuale si deve escludere la previsione di un organo
centrale che possa assorbire le competenze degli Stati espropriando le
sovranità nazionali. Da un punto di vista formale un vertice cogente (come un
ministro europeo) è escluso dalla sopravvivenza del metodo intergovernativo, in
quanto un organo centrale con pieni poteri presupporrebbe la completa
comunitarizzazione della materia, mentre da un punto di vista sostanziale
appare opportuno mantenere, pur nella massima implementazione della
cooperazione di polizia (ad esempio rafforzando Europol o prevedendo nuovi
mezzi), l'autonomia delle forze nazionali. Roberto Rapaccini