Dopo la Tunisia e l'Egitto di cui si è detto in due precedenti commenti (quelli del 27-4-2016 e del 11-4-2016), il Bahrain è stato un altro Paese arabo interessato dai moti della Primavera araba. Il Bahrain è un arcipelago del Golfo Persico costituito da cinque isole principali e altre più piccole. La sua principale ricchezza è lo sfruttamento di ingenti giacimenti di petrolio, con il quale è stata finanziata l'industrializzazione del Paese, recentemente potenziata anche per compensare il futuro probabile esaurimento delle risorse petrolifere. Il Paese ha una particolare importanza strategica per la coalizione occidentale, in quanto una sua isola ospita una base statunitense nella quale è di stanza la quinta flotta americana. Gli Usa conseguentemente seguono con molto interesse gli eventi politici del Bahrain, che considerano un importante alleato 'non Nato' . La base in questione é stata di fondamentale importanza nelle vicende belliche in Afghanistan e in Iraq. Da lì inoltre è possibile ‘seguire' i traffici che transitano per lo stretto di Hormuz, compreso il commercio illecito di armi, ed esercitare con questa presenza una pressione psicologica sull'Iran. L'aspetto problematico del Paese alla base delle tensioni e dei moti che si sono manifestati con rinnovata intensità dopo le rivolte arabe in Tunisia e in Egitto, è la contrapposizione fra sciiti e sunniti. In questa piccola monarchia gli sciiti sono la netta maggioranza, ovvero circa il 70% della popolazione, ma hanno pochissimo potere e sono discriminati socialmente, in quanto governati da una monarchia sunnita, espressione pertanto di una minoranza. L'Iran sciita e l'Arabia Saudita sunnita si fronteggiano indirettamente nel Paese attraverso le divisioni fra le due confessioni religiose: è probabile che l’Iran e gli Hezbollah libanesi sobillino gli sciiti del Bahrain che aspirano all'uguaglianza sociale e politica, spingendoli alla resistenza al fine di imporre la transizione verso una monarchia di tipo costituzionale che attribuisca il giusto potere alla maggioranza; nello stesso tempo il regime saudita sostiene la monarchia al potere. Probabilmente il regime di Teheran solo apparentemente auspica la fine delle divisioni fra sciiti e sunniti, in quanto le tensioni fra le due confessioni religiose sono un elemento di grave instabilità che può influenzare le vicende interne di altri Paesi del Golfo indebolendo di fatto la coalizione sunnita. Si applica il solito e collaudato principio di politica estera (e non solo.): 'divìde et impera'. Dopo la rivoluzione iraniana si è sospettato un tentativo dell'Iran, fallito nonostante l'appoggio del Fronte Islamico per la Liberazione del Bahrain, di 'esportare' la rivoluzione islamica in quel Paese per rovesciare la monarchia al potere. Peraltro le autorità iraniane hanno in alcune occasioni affermato di considerare il Bahrain una propria provincia, sia da un punto di vista geografico che demografico, pur precisando di rispettarne la sovranità: queste affermazioni sicuramente incidono e alimentano le conflittualità nell'arcipelago. Il regime degli Al Khalifa, con la complicità della comunità internazionale - che, per non turbare la suscettibilità saudita, non ha mai sollevato problemi sulle dure modalità della repressione, sull'inesistente rispetto dei diritti dell'opposizione, sulle ripetute violazioni delle libertà di espressione, di religione, di stampa, e sull'elevato numero di prigionieri politici in Bahrain - è riuscito a contenere le manifestazioni del 2011 e tuttora mantiene il controllo del Paese nonostante le latenti tensioni. La Primavera araba quindi qui non ha prodotto cambiamenti, ma ha incoraggiato l'opposizione a manifestare per i propri diritti, introducendo elementi di instabilità, che si ripercuotono sui fragili equilibri dell'area mediorientale. Da quanto detto emerge che i moti in questo Paese, pur avendo tratto un forte stimolo dai fermenti libertari in altri Paesi arabi, hanno avuto proprie specifiche connotazioni e motivazioni che non si sono ancora esaurite. Roberto Rapaccini