Com'è noto la Primavera araba ebbe inizio in Tunisia con la cosiddetta ‘Rivoluzione del gelsomino’, ovvero con i disordini che seguirono al suicidio di un universitario disoccupato, Mohammed Bouazizi, costretto per sopravvivere a fare il venditore ambulante. Il giovane si diede fuoco in segno di protesta per le condizioni economiche del Paese davanti alla sede del governatorato di Sidi Bouzid dopo aver subìto umiliazioni dalla polizia a seguito di un alterco. I tumulti motivati soprattutto dalla disoccupazione, dall'elevato costo dei beni primari, dalla corruzione, dalla disoccupazione e dalle cattive condizioni di vita si estesero a tutto il Paese nonostante la polizia cercasse di soffocare i moti locali con la solita repressione violenta che in pregressi casi era stata sufficiente a ristabilire l’ordine con successo. Le manifestazioni di piazza a gennaio del 2011 costrinsero il Presidente Ben Alì a porre termine anticipatamente al suo mandato con una repentina fuga a Gedda in Arabia Saudita. Questo evento acquisì subito un grande significato: per la prima volta nella storia recente un popolo arabo riusciva a sbarazzarsi di un dittatore. Nell’ottobre del 2011 si svolsero le elezioni per la formazione della prima assemblea costituente; le consultazioni decretarono il successo del movimento islamico Ennahda (il Movimento della Rinascita) che, nonostante le sue pregresse posizioni radicali fondamentaliste, affermava di ispirarsi a un modello di Stato laico di tipo turco. Ennahda nel marzo del 2011 si costituì in partito politico: in questa nuova veste auspicava, rinunciando all'inserimento della Sharia nella Costituzione, l’avvento di una via tunisina all’Islamismo che avrebbe dovuto riconoscere la legittimità di un sistema pluripartitico e ripudiare l’uso di qualsiasi forma di violenza. Le consultazioni elettorali, alle quali si registrò un'affluenza alle urne superiore al 90%, sancirono la vittoria di Ennahda, che ottenne oltre il 40% delle preferenze. L'Assemblea nazionale costituente approvò una Costituzione provvisoria che consentì la designazione di un nuovo governo che resse il Paese fino alle successive elezioni generali e alla promulgazione della Costituzione definitiva. Dopo incerte vicende che tuttavia sancirono il definitivo passaggio del Paese alla democrazia, nel 2014 si svolsero le previste elezioni, che inaspettatamente registrarono l'affermazione del partito laico di ispirazione liberale Nidaa Tounes. Gli islamisti moderati di Ennahda risultarono la seconda forza politica, mentre terza forza fu l'Unione Patriottica Libera, un partito sostenitore del libero mercato e di valori modernisti. Al momento il Paese è retto da un governo di unità nazionale, una condizione difficilmente esperibile nel mondo arabo. Sicuramente la Tunisia è l'unico Paese che a seguito della Primavera araba ha cambiato la sua leadership con elezioni libere. Con la Primavera araba si ripristinò la libertà dei mezzi di comunicazione; i giornali si moltiplicarono e anche il Web tornò ad essere uno strumento di diffusione di opinioni senza restrizioni, a differenza di quello che avvenne durante il regime di Ben Alì. Inoltre fu messa al bando qualsiasi forma di tortura. Tuttavia il Paese ha pagato la recente rifondazione con una fragilità istituzionale e una vulnerabilità che si sono concretizzate nell'esplosione della contestazione sociale a causa della grave crisi economica e in cruenti attacchi terroristici come quello al museo del Bardo e al resort di Sousse rispettivamente nel marzo e nel giugno del 2015. La mancanza di sicurezza ha inoltre determinato una drastica contrazione dei turisti e degli investitori stranieri, con gravi ripercussioni negative nell'economia nazionale. In apparente contraddizione con il processo di democratizzazione la Tunisia è il Paese nel quale maggiormente si formano i più radicali jihadisti. Dalla Tunisia sono partiti per la Siria e l'Iraq più di 3000 individui per combattere nelle file dell'Isis; si stima che circa 500 di questi individui, indottrinati da un'ideologia carica di odio e violenza, siano rientrati nel Paese, pronti a compiere azioni terroristiche in Tunisia o all'estero. Secondo alcuni analisti, i jihadisti tunisini costituiscono la fetta più importante tra i combattenti stranieri che si sono affiliati all'Isis sia in Siria che in Libia. In proposito, dalla piccola città di Remada (5000 abitanti) nel sud est tunisino, a soli 50 chilometri dal confine con la Libia, nei mesi scorsi in pochi giorni sono partiti 90 giovani in direzione dei campi di addestramento libici dello Stato Islamico, nonostante le autorità avessero chiuso i confini rafforzandoli con la costruzione di un fossato e di un muro di sabbia. In Tunisia l'Islam radicale ha trovato un fertile terreno soprattutto nelle periferie delle città dove la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli molto elevati. Questa situazione può causare un'involuzione, ovvero il rischio che le autorità usino la lotta al terrorismo e ai disordini per ripristinare forme di controllo sull'esercizio dei fondamentali diritti di libertà. Ad esempio, nel mese di luglio del 2015 il governo ha approvato misure di lotta all'eversione che consentono l'arresto di persone senza specifiche accuse e prevedono una forte limitazione delle garanzie a difesa dell'accusato. La Tunisia, nonostante le difficoltà economiche e istituzionali, resta tuttavia per il mondo arabo un modello da seguire, un'eccezione da difendere. In proposito, l'attuale presidente tunisino Essebsi ha dichiarato che "la Tunisia racchiude più identità, laiche e religiose, abituate a convivere nel rispetto reciproco…". Per il Presidente Essebsi inoltre "l'islamismo non è un movimento religioso bensì politico il cui unico intento è la conquista del potere. Si tratta di persone violente, di terroristi che non hanno nulla che vedere con i musulmani perché l'Islam è per il rispetto di tutti, nei testi fondamentali dell'Islam non c'è nulla di quanto i terroristi predicano all'unico fine di imporre il loro potere sugli altri". Roberto Rapaccini