È
prematuro fare previsioni sulle scelte di politica estera che saranno compiute
dal neopresidente USA Donald Trump nello svolgimento del suo mandato. Non
possono essere considerate dirimenti le indicazioni fornite durante la campagna
elettorale: come è nella logica dell'essenzialità della propaganda, che è
strumentale solo ad ottenere il consenso degli elettori, tali indicazioni sono
state enfatizzate a prescindere dagli aspetti problematici conseguenti alla
pratica attuazione nella specificità dei contesti. Si deve tener presente che
le scelte di Donald Trump risentiranno della sua esperienza professionale: il
neopresidente americano non proviene dalla politica, né dall'alta
amministrazione, ma è esclusivamente un imprenditore di successo:
presumibilmente quindi sarà la logica della convenienza economica a guidare le
sue opzioni strategiche. Donald Trump, come parte dell'opinione pubblica
americana, considera negativamente l'accordo raggiunto con Teheran sul
programma nucleare. Questa posizione riflette un atteggiamento di diffidenza
nei confronti dell'Iran, condiviso dallo staff dei suoi collaboratori
recentemente nominati. Il dossier iraniano tuttavia va valutato con molta
attenzione. L'Iran sta uscendo dall'isolamento nel quale lo avevano relegato
l'embargo e l'interruzione delle relazioni commerciali, per tornare ad essere
un interlocutore per molti Paesi europei. La Repubblica iraniana potrebbe
essere quell'alleato strategico nel mondo islamico di cui l'Occidente ha un
bisogno vitale: la sua adesione all'Islam di tipo sciita la rende un partner
affidabile per contrastare le derive jihadiste e le ambiguità delle monarchie
sunnite del Golfo, che con difficoltà dissimulano la loro pericolosa prossimità
ideologica con gli ambienti del fondamentalismo islamico; questa 'contiguità'
si concreta in un supporto politico ed economico. È noto che l''Iran è stato in
passato una centrale del terrorismo internazionale finanziando gruppi sciiti,
in particolare gli Hezbollah, e movimenti sunniti, segnatamente Hamas:
l'integrazione nel contesto geopolitico renderà difficile queste pregresse
derive. È probabile che l'amministrazione americana subirà pressioni per il
mantenimento dell'accordo da parte di multinazionali e colossi industriali, che
hanno concluso accordi commerciali con partner iraniani. È comprensibile che
anche Israele consideri l'accordo con l'Iran un grave errore. Tuttavia i tempi
sono maturi per la stabilizzazione e la normalizzazione delle relazioni di
Israele con il mondo arabo attraverso l'implementazione degli accordi di Oslo,
per il riconoscimento dello Stato palestinese, e quello di Israele da parte dei
Paesi arabi e islamici. Sarebbe auspicabile, anche se appare poco probabile,
che gli Stati Uniti, con l'eventuale supporto del neoalleato russo, svolgano
una mediazione finalizzata a questa composizione di interessi. Con l'ascesa di
Donald Trump Israele tornerà ad essere un alleato fondamentale per la
diplomazia statunitense. Se questo però si tradurrà in un appoggio al leader
del Likud Netanyhau, si allontanerà la prospettiva di un accordo fra Israeliani
e Palestinesi, che sembra avere come unica possibilità la costituzione di due
Stati, ovvero quello palestinese accanto a quello israeliano. In proposito la
reiterata attualità del paventato spostamento dell'ambasciata statunitense
presso Israele da Tel Aviv a Gerusalemme non è un atto di distensione che va in
questa direzione, dal momento che i Palestinesi rivendicano Gerusalemme come
loro capitale. La crisi siriana ha un'importanza centrale nell'attuale contesto
geopolitico. Trump eredita la gestione poco incisiva, incerta, poco
lungimirante del suo predecessore. L'amicizia di Trump con Putin e la
prospettiva di una reciproca collaborazione cambia completamente lo scenario
consentendo di ipotizzare azioni militari congiunte, soprattutto per
contrastare lo Stato Islamico. L'alleanza fra Russia e Usa rafforza Bashar Al
Assad e avvicina la prospettiva di una soluzione negoziata del conflitto
siriano. Gli Stati Uniti, attraverso l'intesa con la Russia, si ritrovano di
fatto ad essere alleati dell'instabile Turchia e dell'Iran, in un contesto,
quello del vicino Medio Oriente, caratterizzato da delicati equilibri. Donald
Trump, dopo il riavvicinamento degli Usa all'Iran (a seguito dell'accordo sul
nucleare) dovrà trovare il modo di rassicurare della sua amicizia le monarchie
sunnite del Golfo, che presumibilmente continueranno ad essere strategicamente
alleate degli Usa, e che si contendono con l'Iran la leadership nel mondo
islamico. L'appoggio alla Siria non inciderà sui rapporti con Israele, che è
sempre rimasto fuori dai conflitti di difficile gestione e ad esito incerto,
soprattutto se non interessano direttamente la propria integrità territoriale:
ricorrono le condizioni che inducono lo Stato ebraico a rimanere estraneo alle
vicende belliche siriane. Roberto Rapaccini